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Lavoro nella ASL di Bari da quasi 25 anni in un consultorio familiare. Ormai penso di avere il polso della situazione del lavoro degli psicologi, almeno a livello locale.

A me non risulta assolutamente che – come affermato dal Presidente CNOP Fulvio Giardina in una recente intervista – un 20% dei colleghi iscritti all’albo in Italia lavori in ASL.

Il dato del 5% di dipendenti potrebbe essere realistico, ma del 15% di convenzionati francamente non vedo traccia. Sarebbero il triplo dei dipendenti. Non so forse cosa accada nelle altre regioni ma a me il dato pare del tutto sbagliato per eccesso.

La sua “nuova” ricetta sarebbe quindi far entrare nel SSN dei colleghi non specializzati con un rapporto di convenzione. Andrebbero ad affiancare i medici di base (o i pediatri di libera scelta) oppure a fare consulenze brevi nelle farmacie.

L’obiettivo sarebbe di sostenere il medico nelle patologie croniche e fare da primo momento di accoglienza della domanda, cui dovrebbe seguire invio agli psicoterapeuti specialisti ambulatoriali (e dove sono?). Il tutto aspettando “pratiche professionali vincolate alla firma dello psicologo“, tra quattro o cinque anni.

Penso che, osservando realisticamente la situazione del SSN attuale, sarebbe già molto ottenere un mantenimento dell’attuale numero di psicologi garantendo il turn-over dei pensionati.

Spero che il nostro Presidente CNOP non stia cercando di conquistarsi la platea degli psicologi non specializzati illudendoli di un futuro inserimento in ASL, specie dopo le posizioni assunte dal sindacato di categoria cui è stato storicamente vicino.

Adeguare le assunzioni al vincolo della specializzazione è stato uno degli obiettivi strategici dell’AUPI nei decenni passati, per restare nella dirigenza sanitaria con i conseguenti vantaggi professionali e contrattuali. Ma questo ha finito con il limitare l’accesso al SSN ai colleghi sprovvisti di specializzazione.

Davvero pensiamo che otterremo oggi questa rivoluzione della presenza dello Psicologo nel SSN con un “tavolo forte” con il Ministero della Salute? Che vorrà poi dire quel “forte”, al di la dell’effetto suggestivo?

Ma a mio avviso il punto di dissenso più importante è un altro. Se dovessi disporre di risorse per ampliare l’offerta di servizi psicologici nel SSN, seguirei una strategia più realistica e centrata sui bisogni di salute, e non utilizzerei un’ottica sindacale (piazzare tot numero di colleghi a determinate condizioni contrattuali).

Invertirei la strategia. Partirei dai problemi del Paese, dei cittadini, non da quelli degli psicologi. Partirei dai problemi veri, gravi e cogenti, individuando le priorità nei bisogni di salute, cercando alleanza con le associazioni di pazienti o con altre figure professionali sinergicamente coinvolte con noi nei percorsi di cura.

Ma davvero pensiamo che lo psicologo in farmacia possa trattare problemi rilevanti e soprattutto che poi lo pagherebbe il farmacista? O che la soluzione agli attuali problemi di salute mentale sia offrire una gran quantità di consulenze “di base”? Siamo certi di cogliere e dare risposta ai bisogni di salute più rilevanti?

Nella realtà italiana ad esempio l’età evolutiva non ha risposte soddisfacenti. I DCA non hanno affatto sufficiente risposta terapeutica. Interi settori come la psicopatologia dell’infanzia e dell’adolescenza sono quasi a zero. Anche per problematiche che godono di esposizione mediatica come la condizione dei figli entro le separazioni conflittuali o le vittime di abuso o di violenza non v’è alcuna garanzia di intervento o presa in carico psicoterapeutica. Perché allora concentrare le risorse presso i due ambiti designati da Giardina?

La cronicità, si, certamente un target importante. Ma non basta. Nella mia esperienza la collaborazione con i medici di medicina generale più “proficua” – anche “economicamente – è semmai per quei pazienti ansiosi ipocondriaci o inconsciamente simulatori che portano a troppe prescrizioni diagnostiche o terapeutiche costosissime.

Senza parlare del tema delle risorse. Per far funzionare i Servizi servono risorse oggi. Nell’attuale contesto organizzativo ed economico del SSN, in cui si fatica ad assumere anche gli infermieri per il pronto soccorso, chi crede ancora alla storia dei servizi che si ripagano da soli, con i risparmi che produrrebbero? La situazione è ben più complessa, e già oggi non ha senso proporre Servizi che non siano di comprovata efficacia, efficienza, affidabilità, che non permettano riscontro dei risultati.

Il resto è immagine per chi (beato) ci crede.