Dimezzare il tirocinio: una buona idea?

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Le ultime dal CNOP narrano di un incontro del Presidente Fulvio Giardina con i rappresentanti ministeriali per parlare di un problema cruciale per gli psicologi italiani: la via crucis che si intraprende subito dopo la laurea per arrivare all’abilitazione.

Non credo di esagerare affermando che tra tirocinio e prove eds, dal giorno della laurea a quello dell’iscrizione all’albo possono passare fino a 18 mesi, ossia quasi due anni…

Le proposte portate al MIUR, allora, sono:

  • riduzione delle prove d’esame da 4 a 2.
  • tirocinio accorciato di 6 mesi.

Se si può essere sostanzialmente d’accordo sulla prima proposta, che nei fatti potrebbe rendere l’eds non più lungo di 2 settimane, sul dimezzamento del tirocinio ho forti perplessità, non solo attinenti alla modalità poco trasparenti e partecipate con cui le strategie vengono decise all’interno del CNOP (il Presidente dell’Ordine Lazio, Nicola Piccinini, che in CNOP ci siede, ci racconta tutto in questo articolo).

Dimezzare il tirocinio per accelerare l’ingresso degli psicologi nel mondo del lavoro.

Due domande sorgono spontanee:

  1. Quale mondo?
  2. Quale lavoro?

Il mondo non è più quello di 25 anni fa, agli albori della professione, fatto di speranze, globalizzazione, benessere economico.

Il lavoro non è  più lo stesso di quando la professione è nata, quando si poteva aspirare al posto fisso senza troppa concorrenza.

Ora il mondo è attraversato da una crisi economica grave e la posizione lavorativa cui può aspirare un giovane (psicologo o no) non è più quella di un dipendente che riceve lo stipendio ogni fine mese, ma quella di un libero professionista che il lavoro se lo costruisce ogni giorno rischiando sulla propria pelle al 100%.


2ad0ysDimezzare il tirocinio ha il sapore di un contentino
, un’idea che semmai può trovare sostanza se e solo se inserita in una revisione corposa di tutto il percorso formativo che porta all’abilitazione.

Gli psicologi, pure quelli più talentuosi, studiosi, volenterosi, arrivano al famigerato numerino con molte solide ed essenziali conoscenze teoriche, qualche esperienza pratica (quella che si riesce a fare in 12 mesi di tirocinio, figuriamoci in 6…) e spesso un totale caos rispetto a tutto ciò che attiene normative, legislazione, burocrazia, deontologia, macroeconomia, marketing.

E con questo bagaglio devono affrontare un mondo sempre più complesso e rapido nei suoi cambiamenti.

Se davvero vogliamo sostenere gli psicologi nell’ingresso nel mondo del lavoro, la durata del tirocinio è davvero la puntina, nemmeno la punta, di un iceberg di criticità che se non sono affrontate a livello politico in maniera complessa e incisiva, talvolta forse anche impopolare, faranno affondare la professione.

Vogliamo davvero aiutare gli psicologi a non gravare sulle tasche di mamma e papà?

Pensiamo a inserire nei piani universitari insegnamenti trasversali su tutte quelle skills che sono necessarie ad affrontare il mondo del lavoro, quello reale.

Monitoriamo la qualità dei tirocini, l’effettiva aderenza ai piani formativi, che troppe se ne sentono di studenti che finiscono a fare le fotocopie e a portare caffè.

E questo per tacere di tutto il resto che attiene al sostegno del neoprofessionista nello start up professionale…

Siamo lontani anni luce da qualcosa che possa davvero essere incisivo per lo sviluppo della professione: pensare che sia questo il modo per aiutare l’ingresso nel mondo del lavoro è un contentino buono solo per i palati grezzi.

Una ricetta facile, ma indigesta per la professione.

 

Ps: questo post riceverà commenti su “il tirocinio deve essere retribuito” in 3-2-1….