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Partiamo da una domanda: a chi giova tanto rumore e, in buona sostanza, chi è che canta vittoria ai quattro venti per la recente entrata in vigore del DDL 3270 “in materia di professioni non regolamentate in Ordini o Collegi”?

Diciamolo chiaramente: la professione di psicologo è nata attorno al “peccato originale” del cannibalismo professionale. Professione nel suo complesso non già orientata verso la società, verso l’intercettazione dei bisogni del proprio contesto, una professione la nostra che ha nel proprio DNA una vocazione al sovrapporre – e forse al confondere colpevolemente – autopoiesi con autofagia.

Il vero business non è mai stata la professione in sé, ma il formare altri psicologi.

83 mila (ottantatremila) psicologi iscritti all’albo, in continuo trend positivo (si fa per dire), di cui solo 36 mila (trentaseimila) iscritti all’Enpap. Cosa significa questo dato? Semplice, che la gran parte dei colleghi che si iscrivono all’albo, (depurati da quel 6% di colleghi che lavora come dipendente pubblico), i restanti, a conto fatti, non esercita la professione.

I numeri parlano chiaro. E lo possiamo ben vedere nella tabella qui sotto. La forbice fra gli iscritti all’ordine e gli iscritti all’Enpap, a partire dal 1999 ad oggi, si stia ampliando enormemente e, soprattutto, è destinata ad aumentare se, come è prevedibile, proseguirà il trend attuale.

Ora, a fronte di questi numeri, il silenzio è assordante, proprio da parte di chi canta vittoria. Non una parola, non una, non un commento, non una riflessione sui numeri attuali della nostra professione. Non una parola sul fatto che ottantatremila psicologi italiani, in continua crescita, vivono come comunità professionale una situazione a dir poco complessa, fatta di disoccupazione, o di (se va bene) sottoccupazione, nella quale la categoria più segnata è senza ombra di dubbio quella dei più giovani.

E’ quindi in mezzo a questo silenzio che si odono i canti di vittoria di chi trova in questa legge la possibilità di formare pseudo-psicologi, ma questa volta all’infinito, senza limiti. Diventa anche tu counsellor, basta che tu lo voglia. Serve la laurea? No. Serve un diploma? All’occorenza.

I cantori della vittoria sono in definitiva i cosiddetti “formatori di cousellor”, non gli psicologi, ed è davvero stucchevole ascoltarne le argomentazioni.

Argomentazioni che viaggiano sull’onda del liberalismo economico, per cui lo stato non deve porre limiti se non minimi al libero mercato (soprattutto il loro), e argomentazione (per così dire) ancor più stucchevoli, in stile “all’estero già è così”, dimenticandosi poi di specificare all’estero dove, tralasciando gli aspetti di contesto e prendendo pezzi qua e la per come conviene, assemblandoli in un patchwork di pura convenienza.

In definitiva, sono i mercanti di formazione, pronti a tutto per ampliare, sostenere e difendere la loro professione: che è quella di formatori, non di psicologi, perlomeno per come interpreto io la professione di psicologo.