Un profilo Facebook poco “social”

Il collega Fabrizio Miraglia ci segnala una situazione incresciosa nella gestione della pagine Facebook dell’Ordine Emilia Romagna. Una situazione che purtroppo pare ripetersi.

Qui sotto l’intera storia condivisa con noi da Fabrizio:

Un profilo Facebook poco “social”

A fine agosto 2018 ho commentato un post della pagina Facebook dell’Ordine degli Psicologi Emilia Romagna con il semplice ed unico scopo di evidenziare alcuni aspetti tralasciati dall’autore che, a mio avviso, meritavano maggiore attenzione perché essenziali rispetto al tema in oggetto. Come da abitudine, mi sono attenuto in modo puntuale alle norme sulle modalità di interazione con la pagina suggerite dal comune buonsenso ed educazione e ribadite dagli stessi amministratori del profilo (il post e il commento originale li potete leggere in fondo)
A brevissima distanza di tempo dalla sua pubblicazione mi accorgo che il commento era stato rimosso da un amministratore della pagina (un collega) che, contestualmente, tramite una e-mail ufficiale dell’Ordine Psicologi dell’E.R., mi “ammonisce” per il commento e sollecita in modo direttivo “… ad astenersi dal commentare direttamente per evitare che Facebook diventi uno spazio di possibili polemiche di fronte ai cittadini, potenziali nostri clienti/pazienti che non avrebbero sicuramente piacere di vederci in conflitto“.
Quello stesso collega, dopo aver risposto in maniera evasiva e inconsistente a varie e-mail informali con le quali chiedevo spiegazioni per la censura immotivata e per quello sgradevole “ammonimento ufficiale inusuale” (una sorta di provvedimento disciplinare irregolare), interrompe le comunicazioni e si rifiuta di rispondere alla contestazione formale finale, nonostante la normativa e il regolamento interno impongano il contrario. Bisogna aggiungere che è stato altrettanto infruttuoso il tentativo di ottenere spiegazioni ufficiali da parte dell’Ordine Psicologi E-R che, ad oggi, non ha ancora risposto a nessuna delle ulteriori 3 contestazioni formali inviate tramite P.E.C.
Sembra un paradosso il fatto che, a livello teorico, l’Ordine esprima l’intenzione di offrire un’immagine di categoria professionale unita, coesa, capace di avere/offrire una visione multifocale della realtà e di comunicare in maniera efficace, di accogliere e mediare le posizioni differenti (utilizzando come strumenti elettivi l’ascolto attivo e il compromesso), ma nella concretezza finisca per fare esattamente il contrario, come nel caso del proprio profilo Facebook, utilizzato in modo davvero poco “social” e, anzi, proposto (al pubblico e, soprattutto agli iscritti) come uno spazio vetrina statico e inavvicinabile (come un totem sacro intoccabile), gestendolo in modo “autoritario” e cercando di ottenere uniformità di pensiero, tramite la censura e il ricorso a preoccupanti forme di ammonimento inusuale verso ogni collega che, “osando” infrangere il ” tabù” imposto, provasse ad esprimere civilmente un proprio libero pensiero personale.
Quale modello di psicologo e di Ordine pensano di offrire agli utenti Facebook, presentando un profilo social statico e poco frequentato dai suoi iscritti (perché censurati e ammoniti appena “osano” esprimere una semplice opinione personale)? Siamo davvero sicuri che, così facendo si riesca a “…. far conoscere la Professione alla cittadinanza e diffondere la cultura psicologica”?;
Davvero pensano che censurare sia meglio che confrontarsi pubblicamente e mediare le varie opinioni? Non si rendono davvero conto del fatto che la censura (anche se fatta su un profilo Facebook) sia una grave lesione del diritto di espressione e non favorisca la crescita e la  conoscenza, ma produca solo pensiero stagnante, autoreferenziale, unilaterale e rigido che potrebbe indurre iscritti a non sviluppare un senso di coesione e comunità professionale, ma ad allontanarsi dalla partecipazione attiva alla vita dell’Ordine?
Che forma di trasparenza e correttezza pensano di applicare nei confronti degli iscritti, gestendo in questo modo brusco, censorio e direttivo lo spazio Facebook e le comunicazioni con gli iscritti?
Davvero pensano che un iscritto debba necessariamente e perennemente “celebrare” e “osannare” pubblicamente ciò che l’Ordine propone? È così difficile sostenere l’idea che un iscritto possa e debba avere la facoltà e, soprattutto, la libertà di esprimere civilmente la propria opinione personale?
La disavventura personale potrebbe essere considerata per certi versi banale, ma, di fatto, ha svelato un lato poco piacevole e per niente condivisibile della modalità di interazione tra gli amministratori dell’Ordine Psicologi E-R e i suoi iscritti (censura e ammonizioni non dovrebbero essere gli strumenti elettivi) e ha fatto emergere una sottostante “idea” di categoria professionale e di ordine limitante, limitata e sgradevole, quasi come se questa fosse considerata una comunità passiva, allineata su pensiero unilaterale, fortemente desiderosa di essere gestita in modo autoritario. Spero che queste riflessioni possano diventare uno stimolo per avviare un confronto pubblico tra colleghi sul tema e possa incrementare la nostra partecipazione attiva alla gestione dell’Ordine e della sua pagina Facebook che, al di là delle ovvie e necessarie divisioni di compiti e ruoli istituzionali, appartengono pur sempre a tutti gli iscritti.

 

Dott. Fabrizio Miraglia

Il commento originale al post:
“Piuttosto che chiamarlo bonariamente scoraggiamento ci sarebbe da chiamarlo con il vero nome, ossia depressione (dalle forme lievi a quelle gravissime che, molto/troppo spesso, portano al suicidio).
Consentitemi rispettosamente di fare un paio di osservazioni 1 ) è vero che il supporto psicologico individuale sarebbe necessario e utile per tamponare le difficoltà “emotive” dei disoccupati, ma questo potrebbe accadere se ci fosse un sistema sanitario più efficace, più efficiente e gratuito che garantisse l’accesso alle cure: mi sembra osservazione ovvia e banale rimarcare il fatto che i disoccupati non possono pagarsi una psicoterapia o terapia di sostegno (individuale e/o di gruppo) effettuata da privati e, ancor più banale mi sembra il ricordare che pochi privati (quasi nessuno) sarebbero disposti a lavorare gratuitamente e per il tempo necessario..
2) per avere un sistema sanitario pubblico efficiente (soprattutto nel campo psicologico/psicoterapeutico) servirebbe che il sistema politico/amministrativo (locale, regionale e nazionale) decidesse di potenziare i servizi esistenti, assumendo un numero maggiore di professionisti (magari offrendogli spazi e tempi adeguati per svolgere il proprio delicato lavoro), in modo da garantire alla popolazione un maggiore accesso ai servizi psicologici/psicoterapeutici e, quindi, consentire anche ai disoccupati di avere il supporto emotivo di cui si parlava
3) Viviamo in un sistema politico, economico, sociale, culturale profondamente iatrogeno che preferisce mantenere volutamente il livello di disoccupazione molto alto e, beffa delle beffe, colpevolizza ogni individuo che non riesce a trovare lavoro per lungo tempo o non riesce a ricollocarsi, spingendolo a pensare che sia lui ad avere un difetto e non il sistema. Non sarebbe più terapeutico per i disoccupati se si denunciassero pubblicamente e si evidenziassero le ingiunzioni paradossali di un sistema malato che, da un lato incita l’individuo al perseguimento del benessere individuale e della ricchezza materiale e, dall’altro, si consente l’accesso ai benefici e privilegi di una vita agiata e perfino adeguata, solo ad un numero ristretto di “fortunati”? Davvero pensiamo che a livello di comunità la psicologia (in senso astratto) e gli ordini professionali (in modo concreto) non possano essere maggiormente proattivi nell’innesco di cambiamenti di macrosistema (politico, economico, culturale) positivi che, a cascata, abbiano effetti benefici sul maggior numero possibile di individui e gli consentano un benessere psicofisico costante ed elevato, oltre che, ovviamente, trovare e mantenere un lavoro stabile e ben retribuito?”