Eccoci, infine, giunti all’ultimo atto della nostra storia (vedi Atto 1 e Atto 2), del quale è protagonista, anche se non esclusivo, la FAIP, associazione della quale fino ad un anno fa ignoravo l’esistenza, ma che, con la sua sola presenza, prima ancora che con la sua attività, rende lo scenario della psicologia e della psicoterapia in Italia affatto diverso e molto meno rassicurante di come viene ufficialmente descritto agli aspiranti ed ai giovani psicologi e psicoterapeuti.
Alla FAIP (Federazione delle Associazioni Italiane di Psicoterapia) sono arrivato perché l’organizzazione che gestisce la Libera Università del Counseling, così come numerose altre scuole di counseling delle quali avevo nel frattempo visitati i siti web, esibivano invariabilmente come loro credenziali l’«iscrizione allo CNEL» e l’accreditamento da parte, appunto, della FAIP.
Sulla fantomatica «iscrizione»allo CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro) è stato scritto tutto ed il contrario di tutto, lasciando spesso intendere che si trattasse di una sorta di riconoscimento legale o di un passaggio della procedura per ottenerlo, ma in buona sostanza essa non comporta altro che la registrazione all’interno di una banca dati finalizzata a censire la parte emersa delle professioni non regolamentate, basandosi sulla documentazione fornita dalle stesse associazioni di professionisti.
Per quanto riguarda, invece, l’accreditamento presso la FAIP, non gli avrei forse dato gran peso se non avessi trovato curioso che, con tutto l’impegno che i “counselors” dedicano a distinguere il loro operato da quello degli psicoterapeuti, molte scuole di counseling facessero riferimento ad un’organizzazione che, almeno stando al nome, si occupava proprio di psicoterapia.
Quando ho visitato per la prima volta il sito internet della FAIP non avevo ancora letto La triste storia di un counselor che voleva fare il terapeuta, pubblicato dalla redazione di AP solo successivamente, tuttavia nel vedere denominata Federazione delle Associazioni Italiane di Psicoterapia un’associazione costituita da un centinaio di associazioni e scuole di counseling, ma neanche una di psicoterapia, ho provato il medesimo stupore del suo autore. Solo che il mio, di stupore, si è immediatamente dissolto, lasciando il posto ad un intensa irritazione, quando nell’home page di allora – che curiosamente non era la prima pagina ad aprirsi! –, potevo leggere che la FAIP si è costituita nel 1996 «[…] per ovviare a una situazione legata a delle applicazioni restrittive della legge 56/89.» ovvero, in breve, per raggruppare tutte quelle scuole di psicoterapia che, non essendo state riconosciute dall’apposita commissione del MURST, non potevano più definirsi tali, ma che intendevano proseguire comunque la loro attività e contrastare l’azione delle scuole riconosciute, le quali, a loro giudizio, «si organizzarono per controllare il mercato (il mercato!?!?) totale della formazione psicoterapica» costituendo la FIAP (Federazione Italiana delle Associazioni di Psicoterapia).
Purtroppo non avrete più occasione di leggere l’illuminante presentazione che vi ho riassunto e da cui ho tratto le citazioni, perché all’indomani del convegno che la FAIP ha tenuto il 6 ottobre 2010 a Palazzo Marini, di essa è scomparsa ogni traccia; o meglio, la pagina in sé esiste ancora, ma se la aprite – FAIP – ci trovate solo più l’indice delle sezioni del sito, perché la presentazione è stata rimossa ed ho potuto ricontrollarne il contenuto ed estrarre le citazioni testuali solo perché ne conservo una copia stampata.
Da allora e per un po’ di tempo, la prima pagina che si apriva andando a visitare il sito conteneva una roboante celebrazione del grande successo del convegno ed i ringraziamenti a mezzo mondo per la sua buona riuscita. Fra questi un ringraziamento alla FIAP, insieme alla quale avrebbero constatato «come fra le due professioni il conflitto non esista più poiché si è evoluto in una dinamica collaborazione nel completo rispetto reciproco»; un ringraziamento a «l’Ordine dei Medici, che parla di “presa d’atto” e di “buon senso”, già utilizzati in passato e riproposti oggi.»; un ringraziamento «alla Presidente dell’Ordine Psicologi della Toscana, che lealmente ha espresso a viso aperto il Suo dissenso, dandoci modo di spiegare e farci conoscere.»; ecc….Gli altri ringraziamenti li lascio leggere da voi.
Ma cosa è successo? A leggere tutti questi ringraziamenti sembrerebbe quasi che la FAIP, con tutte le scuole di counseling che la compongono, siano state riconosciute come legittimi interlocutori dalla FIAP ed accettate, magari a denti stretti con una “presa d’atto”, dall’Ordine degli Psicologi della Toscana (come se gli altri Ordini Regionali ed il Consiglio Nazionale non esistessero neppure), dall’Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri (di quale Provincia?), dalle Istituzioni Nazionali, ecc… Ma come stanno davvero le cose?
È difficile trovare una risposta, perché, almeno per quanto mi riguarda, non avrei neppure saputo dell’esistenza della FAIP se non avessi intrapreso la mia personale ricerca sul “mondo dei counselors”; le uniche informazioni che il mio Ordine Regionale abbia mai diffuso in merito sono contenute nella “posizione ufficiale” che ha pubblicato all’inizio del 2010 sul suo sito internet, la quale concerne la generica figura del “counsellor” e non fa alcun riferimento ad associazioni o federazioni che li raggruppano, non modificando quindi di una virgola la falsa impressione dell’ignaro lettore, il quale continua a pensare che i “counselors” siano uno sparuto gruppo di curiosi personaggi che saltano fuori qua e là casualmente e si mettono a giocare allo psicologo. Mi sembra un po’ poco rispetto all’entità del fenomeno!
Sì, signori, perché questi della FAIP ci raccontano che lavorano per far riconoscere la “professione del counselor”, e già la questione di quanto essa si sovrapponga a quella dello psicologo configurandosi come un abuso mi sembra tutt’altro che chiarita, ma l’esistenza stessa di questa federazione, i motivi per cui si è costituita e gli atti che sta compiendo ci raccontano una storia ben diversa. Provo a ricostruirla, magari in modo un po’ semplicistico, ma a mio giudizio credibile.
Torniamo all’inizio. La L.56/1989 istituisce la professione di psicologo definendo i requisiti che chiunque voglia esercitarla deve possedere – Laurea in psicologia ed iscrizione all’Albo dell’Ordine –, in modo da escludere tutti coloro che fino al giorno prima, pur non possedendo curricula di studi, esperienze e competenze adeguati, si presentavano comunque come psicologi. Allo stesso modo vincola l’esercizio dell’attività di psicoterapeuta al conseguimento di uno specifico diploma di specializzazione presso una scuola riconosciuta dal MURST ed all’abilitazione concessa dall’Ordine di appartenenza.
Qualcuno che, per un motivo o per l’altro, non riesce ad adeguarsi ai dettami della legge non solo continua a svolgere la sua attività “professionale” esattamente come faceva prima, ma non potendosi più definire “psicologo”, comincia ad organizzarsi insieme ad altri per inventare una definizione che gli restituisca la veste di legittimità di cui è stato privato dal divieto di usare a sua discrezione tale titolo: «Se non posso più fare lo psicologo allora faccio… faccio.. il counselor, ecco! Suona bene con quella sua aria di nobiltà anglosassone ed è sufficientemente vago da permettermi di dirne più o meno tutto quello che mi conviene»; in una seconda fase cerca poi una strada per dare a questa definizione un riconoscimento legale: costituzione di associazioni, stesura di un “codice deontologico”, registrazione presso lo CNEL, ecc…
Qualcuno che riesce ad ottenere il riconoscimento dei propri titoli come psicologo e/o psicoterapeuta, si trova invece di fronte al grosso problema di gestire una “scuola di psicoterapia” che non viene riconosciuta dalla commissione del MURST, ma che non intende in alcun modo chiudere e la trasforma quindi in una “scuola di counseling”.
Come se non bastasse, ad infoltire questa schiera contribuiscono paradossalmente le stesse scuole di specializzazione riconosciute dal MURST, molte della quali, non volendo arrendersi all’inevitabile riduzione del numero degli allievi dei loro corsi di specializzazione in psicoterapia, ormai riservati a psicologi e medici chirurghi, organizzano corsi di formazione per “counselor”, ai quali può accedere chiunque sia in possesso di un semplice diploma di scuola superiore.
Dall’unione di molti di questi “esclusi” dalla professione di psicologo, dall’esercizio o dall’insegnamento della psicoterapia, nasce la FAIP, la quale, stando alla presentazione di cui parlavo all’inizio ed ormai scomparsa, inizialmente intende opporsi alle «applicazioni restrittive della legge 56/89» per tutelare i diritti delle scuole in psicoterapia non riconosciute, ma di fatto raccoglie nel tempo “scuole” della più varia provenienza e si adopera in tutti i modi per far riconoscere la “professione del counselor”.
In direzione di questo obiettivo la FAIP sembra al momento aver ottenuto almeno due risultati, i quali non hanno forse il significato ed il valore che essa vorrebbe attribuirgli, ma non possono essere ignorati:
- Il fatto di figurare nel V Rapporto di Monitoraggio sulle Professioni non Regolamentate dello CNEL, dove risulta che ha anche depositato un codice deontologico[2].
- Il “grande successo” del convegno del 6 ottobre, che comunque la vogliamo vedere si è tenuto in una prestigiosa sede concessa dalle Pubbliche Istituzioni.
A questi dobbiamo aggiungere l’accreditamento della FAIP presso l’EAP (Europea Association for Psychotherapy) come NAO (National Awarding Organization) e come NUO (National Umbrella Organisation), esattamente alla pari con la FIAP. Ciò significa che entrambe le federazioni sono legittimate a rilasciare lo European Certificate of Psychotherapy, ma, mentre la FIAP lo rilascia solo agli psicoterapeuti abilitati dall’Ordine di appartenenza ed attenendosi a determinati criteri – che potete vedere sul sito FIAP –, la FAIP lo rilascia tranquillamente ai propri iscritti anche se non sono psicoterapeuti (e talvolta neppure medici o psicologi!) e questi lo includono altrettanto tranquillamente fra i propri titoli nelle presentazioni dei convegni, sui volantini, sui biglietti da visita, ecc…, in barba alla L.56/1989, al C.D. degli Psicologi Italiani ed alla corretta informazione all’utenza.
Se a tutto questo aggiungiamo che dopo il convegno del 6 ottobre la FAIP ha modificato la propria struttura, articolandosi in una Divisione Psicoterapia (!!!) e in una Divisione Counseling, mi pare che il quadro sia abbastanza completo.
Traendo le conclusioni, mi sembra evidente come, contrariamente a quanto normalmente si crede, i “counselor” non solo non spuntano qua e là come i funghi, nè sono “professionisti dell’aiuto alla persona” che, conseguito il loro specifico diploma presso l’apposito corso tenuto da una scuola di psicoterapia, cominciano a svolgere la loro attività qualificandosi come differenti dallo psicologo, al limite non sono neanche una “nuova figura” apparsa negli ultimi anni. Al contrario sono la creazione di tutto un sistema che si è venuto a creare all’indomani della promulgazione della Legge 56/89 e che per 21 anni ha cercato tutte le strade possibili per aggirarne i vincoli.
Il rischio che vedo profilarsi all’orizzonte è che, se mai la FAIP, con la forza della convinzione che ha finora mostrato, riuscisse nel suo intento di ottenere un qualche riconoscimento legale della figura del “counselor”, creando di fatto un duplicato dello psicologo, dirigerebbe poi i suoi sforzi al tentativo di ottenere per questa medesima figura un riconoscimento nello svolgimento dell’attività psicoterapeutica, duplicando anche la figura dello psicoterapeuta e vanificando, quindi, di fatto, tutta l’opera di regolamentazione dei servizi psicologici che con la Legge 56/89 si è cercato di fare al fine di garantirne la qualità e di tutelare l’utenza. Ed è un rischio da non sottovalutare, perché l’Ordine degli Psicologi non sembra mostra la medesima risolutezza nel tutelare la professione dello psicologo dagli abusi, né nel promuoverne l’immagine e l’attività.
Se questo scenario non vi spaventa ancora abbastanza, andate a dare un’occhiata alle “scuole”, “centri studi” ed associazioni che aderiscono alla FAIP, ci trovate davvero di tutto.
Dr. Massimiliano Gàbboli
psicologo
Anche se è stata sufficiente a provocare la reazione di una associazione di “counselors”, la quale ha denunciato l’Ordine in questione all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato per “violazione delle regole della concorrenza, abuso di posizione dominante, pubblicità ingannevole”. La questione si è risolta il mese scorso, quando l’Autorità Garante ha deliberato l’archiviazione del caso, stabilendo che l’Ordine aveva legittimamente messo in evidenza i punti critici della “professione del counselor” in relazione a quella dello psicologo, senza commettere alcuna violazione.
La storia di questo “codice deontologico” rivela un’altra vignetta di rara sfacciataggine. Dopo avere invano cercato di leggerlo clickando tutti i link riferiti ad esso su molti siti di “counselors” ed associazioni e trovandomi regolarmente di fronte a una pagina vuota, sono finalmente riuscito a trovarlo sul sito della FAIP e … sorpresa! Non era altro che una copia del Codice Deontologico degli Psicologi Italiani dal quale erano stati espunti tutti gli articoli “scomodi”, tra cui quelli riguardanti l’abuso della professione (art. 8) ed il divieto di insegnamento di tecniche e metodi psicologici a chi psicologo non è (art.21), e per i restanti articoli il termine “psicologo” era stato sostituito da “counselor”. Recentemente tale codice deontologico è stato sostituito da un “codice etico FAIP”, ma anche questo “dettaglio” la dice lunga su quanto la “professione del counselor” sia indipendente da quella dello psicologo.
Ottimo lavoro, ora speriamo che gli ordini si diano una svegliata.
Ciao Franca
Ti ringrazio per l’apprezzamento, per l’attenzione con cui segui i miei articoli e per il contributo che hai dato alla mia ricerca segnalandomi siti e blog che non conoscevo.
Quella che gli Ordini si mostrino più risoluti nel tutelare e promuovere la professione di psicologo, pretendendo il rispetto della normativa vigente, è una speranza che condividiamo in molti e che in alcune regioni pare stia cominciando a concretizzarsi. Non so se quanto ho scritto possa contribuire a favorire questo processo, perché credo che presso gli Ordini molti conoscessero la realtà che ho descritto ben prima di me; piuttosto mi auguro che serva ad informare i colleghi di quali sono i reali termini della questione “counselors” e ad accrescere la loro consapevolezza che la tutela della professione è un compito mai concluso che richiede anche una loro attiva partecipazione.
Vorrei poterti contattare privatamente. Puoi lasciarmi la tua mail?
Ciao grazie
Franca
m.gabboli@live.it
L’autorevolezza e la specificità della professione di psicologo vanno ribadite in continuazione. Inoltre vista anche l’enorme quantità di psicologi non si capisce la ragione per cui debba diventare psicoterapeuta un medico chirurgo che, per quanto mi riguarda, sa di psicologia più o meno quanto ne può sapere un idraulico, o un ingegnere, un chimico o un fattorino. Poichè la psicoterapia è una parte della psicologia e uno psicologo di entrambe non può che saperne (e saper usare, e saper essere) molto più di un medico, sarebbe ora che il CNOP e gli ordini regionali affrontino questo imbarazzante problema, osando a scontrarsi con la lobby dei medici, invece di continuare con questa surreale farsa.
(Massimo D’Angeli – psicologo)
Complimenti per il resoconto articolato che condivido. Solo una precisazione. La presidente della Toscana è andata al convegno FAIP, dove ha sostenuto posizioni molto vicine a quelle espresse in questo articolo, con lo stesso spirito conoscitivo con cui l’autore ha girato sui siti FAIP e di sicuro non per accreditare o riconoscere questi “soggetti”. Siccome l’ordine degli psicologi della Toscana è da anni attivo nella tutela della professione nei confronti delle “sedicenti nuove professioni”, non voglio certo essere usata da parte di questo gruppo di “soggetti” allo stesso modo con cui usano il fantomatico riconoscimento del CNEL !
Cordiali saluti
Sandra Vannoni- presidente dell’Ordine degli Psicologi della Toscana
La ringrazio i complimenti e sono lieto che condivida la mia ricostruzione degli eventi, perché mi autorizza a credere che la mia ipotesi sia molto vicina alla realtà. Le assicuro che già leggendo “i ringraziamenti” avevo presunto che la Sua posizione fosse ben più critica di quella ivi rappresentata e, nel riportare testualmente alcuni di essi nel mio articolo, il mio intento era proprio quello di mostrare il puerile tentativo, operato da questi “soggetti”, di presentare anche le critiche e manifestazioni di dissenso più evidenti come blande forme di riconoscimento.
Mi fa comunque piacere che Lei abbia colto l’occasione per esprimere la sua posizione in merito alle sedicenti “nuove professioni” e ribadire l’impegno dell’Ordine degli Psicologi della Toscana nella tutela della professione.
Cordiali saluti
Trovo molto ben documentato e molto ben fatto. La FAIP in effetti, secondo me, è una delle peggiori relatà in gioco.
Il tema invece è piuttosto complesso e vi riporto un commento di un collega, Alberto Mucelli ,comparso su altra lista, e che io condivido in pieno:
Condivido la simpatia per Altra Psicologia per gli stessi motivi esposti da Rolando Ciofi, perciò saluto con favore l’emergere di un conflitto che possa essere giocato su un piano di chiarezza. Mi sono occupato di politica professionale fino ai primi anni ’90 ed allora si condivideva la fantasia che la psicologia potesse essere protetta “per legge”. Penso che troveremo sempre in campi contigui al nostro persone più e meno serie (come d’altra parte sono più o meno seri anche psicologi, architetti, medici….) che “invaderanno” i nostri spazi professionali.. dovremo reagire con un atteggiamento dignitoso e determinato, che non spera nell’aiuto di “mamma legge”, volto a posizionare la nostra professione nel mercato, distinguendola dagli altri per affidabilità ed uso di metodologie validate… per la clinica il discorso è più delicato, però la protezione che già c’è in quel settore basta ed avanza, nessuno può essere tutelato fino in fondo da maghi, praticoni e lestofanti, nemmeno i medici che hanno ben altra tradizione di protezionismo professionale. Quindi ben vengano i counselor, i formatori ed i life coach che si accorgono della limitatezza della loro preparazione e vengono da noi a lavorare su se stessi in psicoterapia oppure a formarsi… se poi non sapremo individuare delle precise politiche di informazione al pubblico sulla professione e vere e proprie strategie di marketing e di promozione professionale prendiamocela con noi stessi e con chi eleggiamo ai consigli dell’Ordine, non con la legge che non ci tutela…
Sono lieto che anche lei, come la Presidente Vannoni, abbia apprezzato gli esiti della mia ricerca, riguardo alla quale ritengo però opportuno ribadire come il principale risultato a cui mi ha condotto sia stato quello di dimostrare come, contrariamente a quanto viene abitualmente affermato da counselors e formatori di counselors, la loro “professione” non si distingua affatto da quelle dello psicologo e dello psicoterapeuta e non abbia una sua storia di sviluppo autonomo, ma nasca precisamente come “travestimento” finalizzato a permettere a chi psicologo o psicoterapeuta non è di svolgerne comunque le funzioni.
Da questo punto di vista, il fatto che la FAIP sia «una delle peggiori realtà in gioco» a mio giudizio non legittima automaticamente altri a formare counsellors solo perché sostengono di farlo in modo più “serio” e ritengo che puntare il dito su singole organizzazioni o cercare di discriminare i counselors “buoni” da quelli “cattivi” sia un atteggiamento inutile e controproducente, anche perché alcune delle figure che animano la storia che ho voluto raccontare esibiscono contemporaneamente iscrizioni in diverse associazioni, federazioni, ecc…, alcune delle quali ben note, mentre altri “migrano” abbastanza liberamente da una all’altra o ne creano di nuove in continuazione.
A questo proposito apprezzerei se volesse chiarire il significato ed il senso della citazione da Lei riportata, perché ai miei occhi pare giustificare la presenza di “professioni limitrofe” a quella dello psicologo semplicemente per il fatto che la regolamentazione della professione non è sufficiente a farli desistere dai loro propositi. Volendola vedere in un contesto più ampio è un po’ come se si sostenesse che, siccome i criminali esistono comunque, la Legge è inutile ed i cittadini che ancora ci credono sono dei bambini sprovveduti che si rivolgono ad essa come ad una mamma falsamente protettiva, mentre dovrebbero esibire «un atteggiamento dignitoso e determinato» ed, incuranti delle ingiustizie subite, sforzarsi di essere ancora più onesti. Mi pare un po’ svalutativo del nostro ordinamento sociale e non capisco davvero come potrebbe funzionare. Se ho capito male la prego di correggermi.
Infine, se sono d’accordo che la promozione della nostra professione debba attuarsi attraverso il miglioramento costante delle competenze e della validazione scientifica dei metodi, l’informazione al pubblico e le strategie di marketing; resto tuttavia dell’opinione che, per quanto adeguatamente informato, il cittadino (a meno che non sia psicologo lui stesso) non potrà mai essere messo in condizione di valutare autonomamente l’«affidabilità» dello psicologo o dello psicoterapeuta a cui si rivolge e l’uso da parte di questi di «metodologie validate» e che spetti quindi agli Ordini il compito di tutelarlo esercitando le dovute attività di controllo sulla condotta professionale dei propri iscritti ed una più incisiva azione di contrasto all’abusivismo.
Bene.. perchè tutti gli Psicologi, che hanno fatto il loro bravo percorso che va dai 6 ai 10 anni di studio con annessi 5 anni di tirocinio a loro spese, non chiediamo il risarcimento al MURST???
No perchè se avessi saputo ciò che sta accadendo in Italia, quando invece era chiaro negli anni 90 per fare lo Psicologo le strade erano 2 per LEGGE e cioè laurea in Psicologia o Medicina, non avrei certo scelto la lunga strada della laurea, rinunciando nel frattempo alla possibilità di una famiglia se non dopo i 35 anni o ad altre professioni, cosa che ho fatto in nome di una scelta sentita..
Oggi un parrucchiere in crisi esistenziale può tranquillamente fare il mio lavoro con una decina di Week end all’anno per tre anni di formazione!!!!!??? quando di anni ne ha 40???? Io invece la vedo dura diventare parruchiere a 40!!
Perchè davvero non pensiamo a qualche azione forte per esporre il problema alla luce dell’opinione pubblica??? se 50.000 Psicologi chiedessero il risarcimento allo stato per truffa nei confronti della nostra categoria sarebbe poi così sbagliato???? D’altronde lo stato ci aveva raccontanto che c’era una legge ed un percorso obbligato … oggi non è più così???
Condivido ed approvo il contenuto dell’articolo. La professione di Psicologo ha a che fare con una materia tanto difficile da identificare quanto sfuggente da trattare. Io esercito da diversi anni e mi ritrovo spesso a dover precisare gli ambiti di competenza ed i limiti di accesso all’esercizio della professione. Noi Psicologi sappiamo come questioni di ordine apparentemente pratico sottendano invece struttura e sostanza dell’intervento psicologico e chi non ha un percorso formativo serio ed adeguato, non ne può cogliere la differenza. Proprio ieri mi sono trovata a discutere con due medici, fra i quali vi era uno stimatissimo neurologo, dell’importanza di mantenere il setting non potendo lo psicologo prendersi in luglio una settimana di vacanza per poi “recuperare” tale buco nelle terapie lavorando una settimana ad agosto. Parlare di deontologia, di abbandono del paziente nonostante il contratto terapeutico, di costanza del setting, era inutile in quanto mi sono resa conto che mancava la mentalità per cogliere l’importanza terapeutica di esserci come stabilito. E se non capisce un bravissimo neurologo…figuriamoci un counselor.
Monia Gattuso, Psicologo, Psicoterapeuta (M.U.R.S.T.)
sono veramente contenta che la lotta all’abusivismo dei counselor vada avanti! nella mia città ce ne son alcuni che vantano competenze “superiori” agli psicoterapeuti e trovo la cosa sconcertante!
ivana siracusa psicologa-psicoterapeuta carpi
Da antropologo, leggendo gli interventi, definisco le vostre posizioni quanto meno discutibili, sia sul piano scientifico che, conseguenzialmente su quello legislativo. Mi chiedo: ma come si fa a relegare negli angusti spazi di una legge l’enorme patrimonio umano costituito dal comportamentismo? Mi chiedo: cosa c’entrino gli urologi, gli ortopedici, i cardiologi e così via, con il comportamentismo, la psicologia, la psicoterapia, la psicoanalisi? Se non il frutto di un compromesso tra lobby? Mi chiedo: come è possibile radicalizzare la difesa di un professione quando in molti ormai mettono in dubbio che si possa parlare di psicoterapia separatamente dalla cultura? Ricordo brevemente che in un mondo in rapido cambiamento e movimento, il famoso, e per certi versi formulario in continua rstrutturazione, DSM, non viene accettato e riconosciuto da moltissime culture nel mondo, le quali dispongono di un loro approccio. Mi domando: cosa fa l’ordine degli psicologi italiano, imporrà ad un cinese, anche di seconda e terza generazione, di essere curato nei suoi disagi, o disturbi mentali, da uno psicoterapeuta abilitato dall’albo professionale istituito dalla legge 56/89? Confesso che tanta audacia e presunzione mi fa sorridere. Il problema secondo me è un altro. Nessuna quanto la professione di psicoterapeuta è determinata da caratteristiche personali dell’operatore, insomma un talento particolare che nessuna scuola autorizzata può offrire a chicchessia. La questione, come tutti sappiamo, si muove su un asse molto diverso da quello della tutela dell’utente. E’ quello della importanza che assume l’istituzione dell’albo nel nostro paese, precipuamente borbonico nell’impianto principale della burocrazia. In tutto ciò viene dimenticato l’essere umano, che rimane sullo sfondo privato della possibilità di scegliere, in nome di una registrazione di qualità, di un obbligo del tipo di intervento e della unidirezionalità scientifica di questo. Si dimentica l’enorme patrimonio culturale che sovraintende, questa volta si legittimamente, il comportamento degli esseri umani, patrimonio nel quale salute e malattia, assumono confini e possibilità che certamente non possono essere stabilite e certificate da un albo, il cui scopo è assai diverso e diversificato. Personalmente percepisco il reazionismo degli psicologi nel fare della legge 56/98 un ombrello sotto il quale assicurarsi un lavoro protetto, forse più di quanto ciò possa proteggere l’utenza, come ormai anacronistico nella nostra società, e privato di dell’opportunità di un confronto realistico sul campo con altre scienze, altri modi di pensare e concepire le dinamiche del comportamento. Personalmente non sono iscritto al FAIP o ad altre strutture organizzate, perchè ritengo che l’organizzazione della scientificità equivalga allo scientismo e rappresenti uno stop all’effettivo libero movimento necessario alla scienza. Sarei daccordo nel far rientrare tra le professioni che si occupano del disagio e della malattia mentale ( termine ormai sacralizzato e impronunciabile) tutte le competenze delle lauree umanistiche come sociologi, filosofi, antropologi. Nello spazio dell’approccio culturale all’uomo, non vedo conflitti particolari.Ultima e inquietante domanda che mi pongo riguarda la senenza recente della cassazione sulla disquisizione tra psicoanalisi e psicoterapia. In tal caso mi chiedo: ma come fanno dei giudici a definire questi confini? Chi ha fatto da consulenti a questi giudici? Le risposte mi interessano meno, esse sono iìentrinseche alle domande e spiegano molto sul clima inquisitorio nel quale la 56/89 sta palesandosi. Gli psicologi dimenticano che i maghi svolgono un ruolo preciso nelle società, ruolo che non va sottovalutato in nessun senso. Ruolo che, hai loro, non sarà eradicato facilmente perchè funzionale e strutturale all’agire umano, forse funzionale anche alla giustificazione di un albo.
Scusa, ho letto solo fino a metà il tuo intervento, ma gli psicologi non sono solo DSM, sono d’accordo che non siamo solo portatori di tecniche e conoscenza, ma siamo noi i primi strumenti di terapia.
Non ci va (se permetti) che per svolgere una professione ci sia alle spalle tanta formazione universitaria prima e di specializzazione poi, e tirocinio (gratuito), per non parlare del nostro percorso personale obbligatorio. Tu ti faresti togliere un dente da un non dentista? Credimi, non lo accetteresti neppure se gli mancasse solo l’iscrizione all’Albo.
E’ come dire a chi viene derubato “di cosa ti lamenti? forse i ladri avevano bisogno della tua roba”…. Non possiamo neppure indignarci secondo te? Noi siamo obbligati PER LEGGE a rispettare un codice deontologico.
Perdonami luisa, ma è un pò pochino. Senza contare che non hai risposto alla questione centrale del mio intervento. Quello della posicoanalisi e delle legittimità è un dibattito lungo e complesso che non ha nulla a che vedere con l’esempio, riduttivo e semplificativo, del dentista che toglie il dente senza essere iscritto all’albo. Io credo che la psicologia sia molto di più di un albo. Del resto la legge 56/89 presenta delle vistose incongruenze con le disposizioni comunitarie in materia. Ripeto, i laureati in materie umanistiche possono, perchè ne hanno scientifica preparazione, dedicarsi alla psicoanalisi, previa ovviamente una scuola post universitaria di preparazione sulla clinica. Che in ambito psicoanalitica è da moltoi esperti ritenuta ininfluente sul rapporto dialettico tra psicoanalista e paziente. Non è possibile pensare un riduzionismo di tale, pervasiva, incisività sociale e personale, chiudendo gli ambiti del disagio all’interno di una scatola sigillata. La societò deve prevedere soprattutto la libertà del paziente di muoversi in una società che gli garantisca la pluralità della cura. Poi se la questione si riduce ulteriolmente ad un problema di mercati, bè allora il paradigma della psicologia in Italia deve essere studiato su altri ben più pratici piani di discussione.
saluti
Scusa, Massimo, ma se la «questione centrale» del tuo primo intervento era la tua obiezione alla collocazione della psicoanalisi fra le psicoterapie (e ti assicuro che davvero non si capiva!) non era più opportuno postarlo nei commenti ad un articolo che riguarda questo argomento? Ce ne sono un paio proprio sulla sentenza di cassazione n. 14408 cui fai riferimento.
Saluti
Ho solo tanta rabbia dentro. Psicologo, specialista in psicologia clinica (quella universitaria), master di II livello in risorse umane…. gli unici lavori che ti offrono sono da educatore presso le cooperative, se cerchi altrove ti definiscono iperskillata, e non ti offrono nulla perchè sanno che prima o poi te ne andrai…..
In effetti era comodo tenermi il diploma, trovare lavoro, magari in qualche amministrazione pubblica (visto che 15 anni fa ancora ci si poteva entrare benone), usare le 150 ore di diritto allo studio, e fare il counselor senza tante ansie…. forse pagando più soldi (perchè se esistono è perchè ci sono psicologi e psichiatri senza scrupoli che ci vogliono guadagnare!!!!). SONO STANCA!!!!!!!!!!!!!!!!
Complimenti anche da parte mia per la puntuale ed articolata “ricostruzione dei fatti”.
Mi preme una precisazione: ho collaborato (ahimè) per anni con una di queste scuole di counselling a Torino (loro lo scrivono con due elle all’americana, fa più chic…) e me ne sono andata sbattendo la porta e con i capelli dritti un anno e mezzo fa, non potendone più delle oscenità che sentivo insegnare e che vedevo vendere agli iscritti.
Preciso che nel frattempo mi sono laureata in psicologia (nonostante non sia più giovanissima) e sto frequentando il 2 anno di Laurea Magistrale in Psicologia Criminale a Torino. Se è vero, come diceva il maestro Alberto Manzi nella sua trasmissione “Non è mai troppo tardi”, non escludo che farò anche la Scuola di Psicoterapia…
Ops, non mi sono presentata, sono un’insegnante da 35 anni, con una non poca esperienza nel campo degli adolescenti…
Bene, a proposito della tua frase che cito:
“organizzano corsi di formazione per “counselor”, ai quali può accedere chiunque sia in possesso di un semplice diploma di scuola superiore”
in questa scuola ed in molte, molte altre, si sostiene che non sia necessario per legge (pare abbiano fatto delle ricerche in merito) possedere un diploma di scuola superiore per ottenere un diploma di counseling (requisito necessario solamente per chi vuole iscriversi alle varie associazioni di Counseling esistenti sul mercato, quali SiCo, ReiCo etc, tutte affiliate al sopracitato CNEL, che vantano come garanzia di legalità di ciò che dispensano in giro), ma che è sufficiente il diploma di SCUOLA MEDIA INFERIORE, essendo il counseling un’attività non riconosciuta e non regolamentata da alcunchè. E di questo avvertono i loro iscritti, dicendo che se vogliono fare i counselor privatamente, senza essere affiliati da nessuna parte, possono tranquillamente farlo, possono aprire partita IVA sotto la dicitura “altre attività” e lavorare senza temere accuse di abuso di professione, che “tutti possono fare tutto” e quant’altro (li ho visti con i miei occhi i diplomati con la 3 media uscire da lì con un diploma di counseling, ma ai tempi ero ignara ed impotente…).
Di queste scuole se ne vuole occupare l’Ordine degli Psicologi o continuiamo ad andare avanti così?
Grazie Massimiliano per averci aperto gli occhi ancora di più!
Paola
Sono io che ti voglio fare i miei complimenti, Paola, per la presenza di spirito che ti ha permesso di tenere gli occhi bene aperti sull’assurdità di quanto vedevi insegnare e ti ha dato il coraggio di «sbattere la porta», rinunciando magari ad una fonte di guadagno, per proseguire la lunga, faticosa ed incerta strada che ti condurrà ad essere psicologa e forse psicoterapeuta, piuttosto che continuare a “giocare” a fare l’una o l’altra, illudendo altri di poter fare lo stesso.
Credo che se ci fossero più persone dotate dell’indipendenza di pensiero e dell’onestà che hai mostrato, l’entità del problema di fronte al quale ci troviamo sarebbe di gran lunga inferiore. Purtroppo, come leggo anche dal tuo commento, pare che a molti “formatori” di “counselors” piaccia “vincere facile”, reclutando i loro allievi fra persone che, anche a causa del loro basso titolo di studio (ma non solo…!) si trovano nell’assoluta impossibilità di esercitare una qualunque riflessione critica su quanto viene loro insegnato e possono, perciò, più facilmente essere illuse e manipolate.
Ti ringrazio per aver voluto condividere con noi la tua esperienza personale.
Effettivamente dopo anni di collaborazione non è stata una decisione facile, ma era necessaria…avrei dovuto farlo prima, ma come si dice meglio tardi…
Purtroppo il problema è che non sono solo i formatori di counselors che amano “vincere facile”, ma anche coloro che si iscrivono in queste scuole.
L’idea di poter cambiare un lavoro che sta stretto o di trovare un lavoro, in un mondo di disoccupazione, con un corso il più breve possibile e che ti lanci subito sul mercato a chi non fa gola?
Quante volte mi sono sentita dire: “Ma chi te lo fa fare di faticare tanto? Non serve niente…”.
Non è che abbiano tutti i torti, visto che c’è chi glielo consente.
Non ci sono sufficienti controlli su queste persone che tranquillamente aprono studi o collaborano con psicoterapeuti e psichiatri (quanti ne ho conosciuti…), affiancandoli o addirittura ricevendo da loro degli invii.
E quanti lavorano su casi che non sono di loro competenza (depressioni, disturbi alimentari, DAP, fobie e quant’altro?), facendo tranquillamente abuso di professione?
I danni iatrogeni che possono causare (e che sono sicura, causano), chi li riparerà?
Beh, ognuno ha la propria coscienza, ma mi chiedo quante persone ignare che si affidano a queste persone, pagano con la loro pelle e poi, debbono correre ai ripari, alla ricerca di un professionista serio che li aiuti a riparare i danni, che oramai sono stati fatti…e nel frattempo, magari, hanno perso la fiducia nella possibilità di guarire o nella psicologia stessa…
Ieri ho spedito la raccomandata per disdire l’abbonamento televisivo. Il 31 gennaio invece chiudo la partita iva e smetto di versare all’Enpap i miei soldi per pagare la pensione ai vecchi baroni della psicologia italiana. Il prossimo passo (probabilmente questa estate, quando obbligatoriamente dovremo assicurarci per la rc) sarà di cancellarmi dall’ordine. Già comincio a sentirmi più leggera!!! Più libera di scegliere cosa fare nella vita e come farlo! Meno vessata! Questo Paese dà più possibilità a chi agisce fuori dalle regole che a chi le rispetta…quindi io mi sono stancata di essere “cretina” e ricomincio daccapo, offrendo la mia professionalità con altro nome, e magari senza che il mio lavoro vada ad arricchire le tasche di qualcun altro. In Italia si può fare tutto! Tutto tranne essere seri! Io la mia protesta l’ho iniziata, dando un seguito alle chiacchiere fatte in questo forum. Chissà se qualcun altro riesce ad avere lo stesso coraggio, e soprattutto se qualcuno ha ancora il senso della dignità e della giustizia
Fai come credi; ognuno è responsabile delle sue decisioni. Con tutto il rispetto per la tua disperazione e senza il benché minimo intento di critica, mi permetto solo di osservare che la tua scelta, piuttosto che un atto di protesta, sembra essere una resa incondizionata. La mia dignità (personale e professionale) ed il mio senso di giustizia mi spingono a rispettare le regole, a contrastare chi non lo fa e ad attivarmi per cercare di cambiare “legalmente” le regole che ritengo inique. Per me, il solo fatto che molti di quelli che agiscono in modo scorretto e disonesto restino impuniti, non è una giustificazione sufficiente per comportarmi nello stesso modo a discapito dei miei concittadini.
Nutro qualche dubbio anche sull’effettiva “convenienza” delle tue scelte. Sotto quale fantasioso nome hai pensato di offrire la tua “professionalità”? Se già ti pesa pagare l’iscrizione all’Ordine ed i contributi all’ENPAP, quando aprirai una nuova P.I. con “altro nome”, non ti peserà di più dover caricare sulle tue parcelle il 21% di IVA e dover versare all’INPS il 26,72% dei tuoi introiti? Perché, invece di attuare semplicemente i tuoi propositi, hai sentito il bisogno di farcelo sapere postando il tuo commento tutte queste volte?
Buon Anno e Buona Fortuna
Massimiliano