Uno, nessuno, centomila counsellors atto III. A volte Ritornano…

Eccoci, infine, giunti all’ultimo atto della nostra storia (vedi Atto 1 e Atto 2), del quale è protagonista, anche se non esclusivo, la FAIP, associazione della quale fino ad un anno fa ignoravo l’esistenza, ma che, con la sua sola presenza, prima ancora che con la sua attività, rende lo scenario della psicologia e della psicoterapia in Italia affatto diverso e molto meno rassicurante di come viene ufficialmente descritto agli aspiranti ed ai giovani psicologi e psicoterapeuti.

Alla FAIP (Federazione delle Associazioni Italiane di Psicoterapia) sono arrivato perché l’organizzazione che gestisce la Libera Università del Counseling, così come numerose altre scuole di counseling delle quali avevo nel frattempo visitati i siti web, esibivano invariabilmente come loro credenziali l’«iscrizione allo CNEL» e l’accreditamento da parte, appunto, della FAIP.

Sulla fantomatica «iscrizione»allo CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro) è stato scritto tutto ed il contrario di tutto, lasciando spesso intendere che si trattasse di una sorta di riconoscimento legale o di un passaggio della procedura per ottenerlo, ma in buona sostanza essa non comporta altro che la registrazione all’interno di una banca dati finalizzata a censire la parte emersa delle professioni non regolamentate, basandosi sulla documentazione fornita dalle stesse associazioni di professionisti.

Per quanto riguarda, invece, l’accreditamento presso la FAIP, non gli avrei forse dato gran peso se non avessi trovato curioso che, con tutto l’impegno che i “counselors” dedicano a distinguere il loro operato da quello degli psicoterapeuti, molte scuole di counseling facessero riferimento ad un’organizzazione che, almeno stando al nome, si occupava proprio di psicoterapia.

Quando ho visitato per la prima volta il sito internet della FAIP non avevo ancora letto La triste storia di un counselor che voleva fare il terapeuta, pubblicato dalla redazione di AP solo successivamente, tuttavia nel vedere denominata Federazione delle Associazioni Italiane di Psicoterapia un’associazione costituita da un centinaio di associazioni e scuole di counseling, ma neanche una di psicoterapia, ho provato il medesimo stupore del suo autore. Solo che il mio, di stupore, si è immediatamente dissolto, lasciando il posto ad un intensa irritazione, quando nell’home page di allora – che curiosamente non era la prima pagina ad aprirsi! –, potevo leggere che la FAIP si è costituita nel 1996 «[…] per ovviare a una situazione legata a delle applicazioni restrittive della legge 56/89.» ovvero, in breve, per raggruppare tutte quelle scuole di psicoterapia che, non essendo state riconosciute dall’apposita commissione del MURST, non potevano più definirsi tali, ma che intendevano proseguire comunque la loro attività e contrastare l’azione delle scuole riconosciute, le quali, a loro giudizio, «si organizzarono per controllare il mercato (il mercato!?!?) totale della formazione psicoterapica» costituendo la FIAP (Federazione Italiana delle Associazioni di Psicoterapia).

Purtroppo non avrete più occasione di leggere l’illuminante presentazione che vi ho riassunto e da cui ho tratto le citazioni, perché all’indomani del convegno che la FAIP ha tenuto il 6 ottobre 2010 a Palazzo Marini, di essa è scomparsa ogni traccia; o meglio, la pagina in sé esiste ancora, ma se la aprite – FAIP – ci trovate solo più l’indice delle sezioni del sito, perché la presentazione è stata rimossa ed ho potuto ricontrollarne il contenuto ed estrarre le citazioni testuali solo perché ne conservo una copia stampata.

Da allora e per un po’ di tempo, la prima pagina che si apriva andando a visitare il sito conteneva una roboante celebrazione del grande successo del convegno ed i ringraziamenti a mezzo mondo per la sua buona riuscita. Fra questi un ringraziamento alla FIAP, insieme alla quale avrebbero constatato «come fra le due professioni il conflitto non esista più poiché si è evoluto in una dinamica collaborazione nel completo rispetto reciproco»; un ringraziamento a «l’Ordine dei Medici, che parla di “presa d’atto” e di “buon senso”, già utilizzati in passato e riproposti oggi.»; un ringraziamento «alla Presidente dell’Ordine Psicologi della Toscana, che lealmente ha espresso a viso aperto il Suo dissenso, dandoci modo di spiegare e farci conoscere.»; ecc….Gli altri ringraziamenti li lascio leggere da voi.

Ma cosa è successo? A leggere tutti questi ringraziamenti sembrerebbe quasi che la FAIP, con tutte le scuole di counseling che la compongono, siano state riconosciute come legittimi interlocutori dalla FIAP ed accettate, magari a denti stretti con una “presa d’atto”, dall’Ordine degli Psicologi della Toscana (come se gli altri Ordini Regionali ed il Consiglio Nazionale non esistessero neppure), dall’Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri (di quale Provincia?), dalle Istituzioni Nazionali, ecc… Ma come stanno davvero le cose?

È difficile trovare una risposta, perché, almeno per quanto mi riguarda, non avrei neppure saputo dell’esistenza della FAIP se non avessi intrapreso la mia personale ricerca sul “mondo dei counselors”; le uniche informazioni che il mio Ordine Regionale abbia mai diffuso in merito sono contenute nella “posizione ufficiale” che ha pubblicato all’inizio del 2010 sul suo sito internet, la quale concerne la generica figura del “counsellor” e non fa alcun riferimento ad associazioni o federazioni che li raggruppano, non modificando quindi di una virgola la falsa impressione dell’ignaro lettore, il quale continua a pensare che i “counselors” siano uno sparuto gruppo di curiosi personaggi che saltano fuori qua e là casualmente e si mettono a giocare allo psicologo. Mi sembra un po’ poco rispetto all’entità del fenomeno!

Sì, signori, perché questi della FAIP ci raccontano che lavorano per far riconoscere la “professione del counselor”, e già la questione di quanto essa si sovrapponga a quella dello psicologo configurandosi come un abuso mi sembra tutt’altro che chiarita, ma l’esistenza stessa di questa federazione, i motivi per cui si è costituita e gli atti che sta compiendo ci raccontano una storia ben diversa. Provo a ricostruirla, magari in modo un po’ semplicistico, ma a mio giudizio credibile.

Torniamo all’inizio. La L.56/1989 istituisce la professione di psicologo definendo i requisiti che chiunque voglia esercitarla deve possedere – Laurea in psicologia ed iscrizione all’Albo dell’Ordine –, in modo da escludere tutti coloro che fino al giorno prima, pur non possedendo curricula di studi, esperienze e competenze adeguati, si presentavano comunque come psicologi. Allo stesso modo vincola l’esercizio dell’attività di psicoterapeuta al conseguimento di uno specifico diploma di specializzazione presso una scuola riconosciuta dal MURST ed all’abilitazione concessa dall’Ordine di appartenenza.

Qualcuno che, per un motivo o per l’altro, non riesce ad adeguarsi ai dettami della legge non solo continua a svolgere la sua attività “professionale” esattamente come faceva prima, ma non potendosi più definire “psicologo”, comincia ad organizzarsi insieme ad altri per inventare una definizione che gli restituisca la veste di legittimità di cui è stato privato dal divieto di usare a sua discrezione tale titolo: «Se non posso più fare lo psicologo allora faccio… faccio.. il counselor, ecco! Suona bene con quella sua aria di nobiltà anglosassone ed è sufficientemente vago da permettermi di dirne più o meno tutto quello che mi conviene»; in una seconda fase cerca poi una strada per dare a questa definizione un riconoscimento legale: costituzione di associazioni, stesura di un “codice deontologico”, registrazione presso lo CNEL, ecc…

Qualcuno che riesce ad ottenere il riconoscimento dei propri titoli come psicologo e/o psicoterapeuta, si trova invece di fronte al grosso problema di gestire una “scuola di psicoterapia” che non viene riconosciuta dalla commissione del MURST, ma che non intende in alcun modo chiudere e la trasforma quindi in una “scuola di counseling”.

Come se non bastasse, ad infoltire questa schiera contribuiscono paradossalmente le stesse scuole di specializzazione riconosciute dal MURST, molte della quali, non volendo arrendersi all’inevitabile riduzione del numero degli allievi dei loro corsi di specializzazione in psicoterapia, ormai riservati a psicologi e medici chirurghi, organizzano corsi di formazione per “counselor”, ai quali può accedere chiunque sia in possesso di un semplice diploma di scuola superiore.

Dall’unione di molti di questi “esclusi” dalla professione di psicologo, dall’esercizio o dall’insegnamento della psicoterapia, nasce la FAIP, la quale, stando alla presentazione di cui parlavo all’inizio ed ormai scomparsa, inizialmente intende opporsi alle «applicazioni restrittive della legge 56/89» per tutelare i diritti delle scuole in psicoterapia non riconosciute, ma di fatto raccoglie nel tempo “scuole” della più varia provenienza e si adopera in tutti i modi per far riconoscere la “professione del counselor”.

In direzione di questo obiettivo la FAIP sembra al momento aver ottenuto almeno due risultati, i quali non hanno forse il significato ed il valore che essa vorrebbe attribuirgli, ma non possono essere ignorati:

  1. Il fatto di figurare nel V Rapporto di Monitoraggio sulle Professioni non Regolamentate dello CNEL, dove risulta che ha anche depositato un codice deontologico[2].
  2. Il “grande successo” del convegno del 6 ottobre, che comunque la vogliamo vedere si è tenuto in una prestigiosa sede concessa dalle Pubbliche Istituzioni.

A questi dobbiamo aggiungere l’accreditamento della FAIP presso l’EAP (Europea Association for Psychotherapy) come NAO (National Awarding Organization) e come NUO (National Umbrella Organisation), esattamente alla pari con la FIAP. Ciò significa che entrambe le federazioni sono legittimate a rilasciare lo European Certificate of Psychotherapy, ma, mentre la FIAP lo rilascia solo agli psicoterapeuti abilitati dall’Ordine di appartenenza ed attenendosi a determinati criteri – che potete vedere sul sito FIAP –, la FAIP lo rilascia tranquillamente ai propri iscritti anche se non sono psicoterapeuti (e talvolta neppure medici o psicologi!) e questi lo includono altrettanto tranquillamente fra i propri titoli nelle presentazioni dei convegni, sui volantini, sui biglietti da visita, ecc…, in barba alla L.56/1989, al C.D. degli Psicologi Italiani ed alla corretta informazione all’utenza.

Se a tutto questo aggiungiamo che dopo il convegno del 6 ottobre la FAIP ha modificato la propria struttura, articolandosi in una Divisione Psicoterapia (!!!) e in una Divisione Counseling, mi pare che il quadro sia abbastanza completo.

Traendo le conclusioni, mi sembra evidente come, contrariamente a quanto normalmente si crede, i “counselor” non solo non spuntano qua e là come i funghi, nè sono “professionisti dell’aiuto alla persona” che, conseguito il loro specifico diploma presso l’apposito corso tenuto da una scuola di psicoterapia, cominciano a svolgere la loro attività qualificandosi come differenti dallo psicologo, al limite non sono neanche una “nuova figura” apparsa negli ultimi anni. Al contrario sono la creazione di tutto un sistema che si è venuto a creare all’indomani della promulgazione della Legge 56/89 e che per 21 anni ha cercato tutte le strade possibili per aggirarne i vincoli.

Il rischio che vedo profilarsi all’orizzonte è che, se mai la FAIP, con la forza della convinzione che ha finora mostrato, riuscisse nel suo intento di ottenere un qualche riconoscimento legale della figura del “counselor”, creando di fatto un duplicato dello psicologo, dirigerebbe poi i suoi sforzi al tentativo di ottenere per questa medesima figura un riconoscimento nello svolgimento dell’attività psicoterapeutica, duplicando anche la figura dello psicoterapeuta e vanificando, quindi, di fatto, tutta l’opera di regolamentazione dei servizi psicologici che con la Legge 56/89 si è cercato di fare al fine di garantirne la qualità e di tutelare l’utenza. Ed è un rischio da non sottovalutare, perché l’Ordine degli Psicologi non sembra mostra la medesima risolutezza nel tutelare la professione dello psicologo dagli abusi, né nel promuoverne l’immagine e l’attività.

Se questo scenario non vi spaventa ancora abbastanza, andate a dare un’occhiata alle “scuole”, “centri studi” ed associazioni che aderiscono alla FAIP, ci trovate davvero di tutto.

Dr. Massimiliano Gàbboli
psicologo


Anche se è stata sufficiente a provocare la reazione di una associazione di “counselors”, la quale ha denunciato l’Ordine in questione all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato per “violazione delle regole della concorrenza, abuso di posizione dominante, pubblicità ingannevole”. La questione si è risolta il mese scorso, quando l’Autorità Garante ha deliberato l’archiviazione del caso, stabilendo che l’Ordine aveva legittimamente messo in evidenza i punti critici della “professione del counselor” in relazione a quella dello psicologo, senza commettere alcuna violazione.

La storia di questo “codice deontologico” rivela un’altra vignetta di rara sfacciataggine. Dopo avere invano cercato di leggerlo clickando tutti i link riferiti ad esso su molti siti di “counselors” ed associazioni e trovandomi regolarmente di fronte a una pagina vuota, sono finalmente riuscito a trovarlo sul sito della FAIP e … sorpresa! Non era altro che una copia del Codice Deontologico degli Psicologi Italiani dal quale erano stati espunti tutti gli articoli “scomodi”, tra cui quelli riguardanti l’abuso della professione (art. 8) ed il divieto di insegnamento di tecniche e metodi psicologici a chi psicologo non è (art.21), e per i restanti articoli il termine “psicologo” era stato sostituito da “counselor”. Recentemente tale codice deontologico è stato sostituito da un “codice etico FAIP”, ma anche questo “dettaglio” la dice lunga su quanto la “professione del counselor” sia indipendente da quella dello psicologo.