La valutazione delle funzioni genitoriali rappresenta uno degli ambiti più delicati in cui operano anche gli psicologi.
Siamo chiamati con frequenza ad esprimere valutazioni sulle capacità delle persone di occuparsi dei loro figli, nei più vari contesti: CTU e CTP, servizi sanitari e sociali, nei centri antiviolenza, oltre che nella realtà professionale privata.
Le nostre valutazioni possono impattare in modo radicale sulla vita di intere famiglie, sui minori, sui genitori.
A fronte di questa enorme responsabilità che abbiamo, disponiamo di strumenti concettuali e metodologici che scontano limiti importanti.
Il maggiore dei limiti è rappresentato dalla frammentazione: sulla valutazione delle funzioni genitoriali c’è una situazione così variegata da avvicinarsi molto al caos.
UNA PANORAMICA SUL CAOS
La valutazione delle funzioni genitoriali incrocia svariati territori, oltre a quello meramente psicologico: sociale, culturale, giuridico, economico, penale. Spesso il terreno di lavoro è spurio per la presenza di violenze fra i genitori, di violenza di genere, di violenza assistita, di abusi sui minori.
A livello internazionale esistono indirizzi sovraordinati come la convenzione di New York (1989), la convenzione europea sui diritti dei minori o convenzione di Strasburgo (1996), la convenzione di Istanbul sulla violenza sulle donne in particolare all’articolo 31, la Carta di Nizza, la Convenzione di Lanzarote.
I vari documenti italiani non si contano più: Carta di Civitanova, Protocollo di Milano, Carta di Noto, le Linee di Indirizzo Nazionali del Ministero del Lavoro per i bambini e le famiglie in situazione di vulnerabilità, protocollo del Tribunale di Perugia, linee guida SINPIA, che non sono vere linee guida (2007).
Esistono poi svariate iniziative locali, realizzate da operatori dei servizi, come il documento metodologico toscano realizzato con la Fondazione Zancan, la DGR 19/2018 e del 19/01/2010 della Regione Piemonte, il Protocollo di Napoli, le linee provinciali di Bolzano.
Ed esiste una cornice normativa nazionale, che traccia alcune direttrici di cui tenere conto quando si identificano le conclusioni e si tracciano, ad esempio, le direttrici per una nuova organizzazione familiare.
Ci sono poi questioni molto controverse.
Due su tutte: la questione della PAS e quella della genitorialità in presenza di violenza familiare.
Ho sicuramente dimenticato qualcosa.
LA CONDIZIONE DELL’OPERATORE DI FRONTE AL CAOS
Ora: cosa dovrebbe fare un operatore di fronte a tutto questo?
Con una tale messe di indicazioni, a volte in contraddizione fra loro e non sempre fondate su solide acquisizioni scientifiche, il singolo professionista è automaticamente in difetto.
Non potendo infatti contare sul consenso generale della comunità scientifica e professionale, si trova a dover scegliere in autonomia.
Tale scelta, in assenza di qualunque criterio realmente consolidato, espone il singolo operatore al rischio di errore in un ambito in cui l’errore può creare grave danno.
Ne parla Mauro Grimoldi in QUESTO ARTICOLO, ‘L’estinzione delle CTU’, sulle recenti pronunce della Cassazione, fortemente critiche sulle metodologie utilizzate anche da noi psicologi.
Tutto questo ricade ovviamente sulla qualità delle valutazioni, in ultima analisi sulla vita delle persone.
I fatti di cronaca, le sentenze, gli scandali si susseguono in interrottamente.
Recente la Cassazione, ma i vari Veleno, Bibbiano eccetra sono lì a ricordarci, al di là del dolo, che c’è un terreno fertile di indeterminatezza su cui il dolo e la colpa possono prosperare meglio.
COSA POSSIAMO FARE COME COMUNITÀ PROFESSIONALE?
La nostra comunità professionale è esposta: non abbiamo criteri certi per guidare il nostro lavoro e valutare gli errori che si presentano, non abbiamo raggiunto un consenso attorno alle direttrici concettuali e metodologiche che sarebbe più utile applicare.
I motivi sono storici, ideologico, ma anche dovuto alla complessità del campo di intervento.
Quali che siano i motivi, è probabilmente il momento di lavorare ad una soluzione.
Che non può essere l’ennesima redazione di linee guida o indicazioni locali, realizzate da singoli gruppi rappresentativi solo di se stessi.
È probabilmente il momento di lavorare a qualcosa di più solido, su cui convergere con un accordo ampio che coinvolga comunità professionale, acquisizioni scientifiche, gli attori sociali e giuridici.
Per una situazione di questo genere, lo strumento più adatto potrebbe essere una Consensus Conference.
Perché non sia un fallimento annunciato, una Consensus Conference non può essere iniziativa di un singolo soggetto. Non può essere, in altre parole, soltanto un Ordine, il CNOP, un servizio, un piccolo gruppo, una realtà scientifica o accademica, singole associazioni di cittadini o professionisti.
Occorre partire con il piede giusto.
Serve almeno un comitato promotore misto, ampio, multiprofessionale, riconosciuto e realmente partecipato. Si tratta di perseguire un obiettivo comune e sovraordinato, in cui tutti dovrebbero fare la propria parte.
CONCLUSIONI
Per quanto sia un obiettivo ambizioso, un’iniziativa come una Consensus Conference su questo tema produrrebbe un risultato sociale e professionale di grande rilevanza.
Le istituzioni di categoria sono chiamate, in questi casi, a farsi promotori attivi di uno sviluppo partecipato in modo ampio.
Verissimo, è un problema poco considerato e molto sottovalutato dal nostro Ordine. Tanti fanno seminari sull’argomento ma non valgono niente in sincerità.
Io, psicologa forense che lavora nei vari tribunali, sono costretta a seguire i corsi dell’Ordine Forense – corsi di 1-2 anni sulla Mediazione, sui minori e tanto altro – solo che poi l’Ordine mi rilascia solo gli attestati di frequenza mentre x es. i corsi di Mediazione durati 2 anni non mi permettono di fare la Mediazione Familiare, sicché mi sono dovuta iscrivere a un corso on-line x essere iscritta all’Albo dei Mediatori Familiari.
Problema che ora discuto con la Commissione Deontologica: il termine Mediazione viene da noi usato in 2 meta-significati (psicologia linguistica di Levy Strauss e Chomsky): quello da vocabolario: mediare fra la coppia genitoriale; e mediare una separazione come Mediatore Familiare. Propongo di kiamare quest’ultimo come Mediatore Legale, tanto x non incorrere – come sta accadendo – nella forca della Commissione Deontologica.
grazie margherita marra iscritta APLazio al n. 6840