La voce degli psicologi? Un disturbo per gli Ordini

La democrazia si basa sul fondamentale assunto della rappresentanza, secondo il quale i rappresentanti eletti portano avanti, attraverso il lavoro istituzionale, le istanze dei cittadini che rappresentano.
Uno dei più gravi rischi per la democrazia è lo scollamento tra i governanti e i cittadini che li hanno votati. Chi ricopre ruoli di potere, con un preciso mandato, può dimenticare che parla ed agisce in nome e per conto di chi l’ha eletto proprio portavoce.
Succede, nei casi più eclatanti, che i cittadini manifestino a gran voce la loro volontà, chiedendo ai politici, cui sono legati dal patto democratico, di veicolarle attraverso il loro ruolo ai decisori, e che i rappresentanti invece perseguano altri obiettivi, ignorando le istanze della base. L’esito paradossale può essere addirittura che i governanti non solo non tengano conto della voce della base, ma la svalutino, la denigrino e la disprezzino. Si realizza così il rovesciamento della democrazia, la rottura del patto.
Inoltre, non sempre questo gravissimo sovvertimento delle regole democratriche è così palese. I rappresentanti contano infatti su un’arma segreta, da loro custodita con cura: l’ignoranza dei cittadini che rappresentano. Se le persone non conoscono, non capiscono, non possono valutare, non hanno gli strumenti per esprimere la loro opinione ed opporsi. Così i politici possono agire indisturbati, nei palazzi del potere, senza doversi confrontare con l’indignazione dei cittadini.
E’ quanto è successo con la proposta di legge sulla psicoterapia convenzionata e il famigerato emendamento sulla diagnosi psicologica.
Altra Psicologia e la mailing list orizzonti psy hanno promosso una petizione che ha raccolto più di 13000 firme. Attraverso la petizione gli psicologi hanno voluto far sentire la loro voce e chiedere ai loro rappresentanti (gli ordini regionali e il CNOP) di portare avanti le loro richieste. L’adesione straordinaria alla petizione, sia in termini del numero assoluto dei firmatari, sia rispetto alla presenza di colleghi che vantano un profilo professionale di eccellenza, dimostra quanto fosse forte per gli psicologi la necessità di trovare espressione.
Ebbene, i rappresentanti degli psicologi, tranne rare e tardive eccezioni, non hanno ritenuto la petizione, ovvero l’espressione della volontà dei cittadini che rappresentano, degna di nessuna attenzione. Non l’hanno pubblicizzata, non hanno informato in merito, nonostante le numerose sollecitazioni a loro giunte. La motivazione addotta è stata che la petizione ha disturbato la commissione parlamentare che si occupa della proposta di legge e il loro stesso lavoro istituzionale.
La voce degli psicologi che rappresentano e che li hanno votati è per questi signori un disturbo. Le figure istituzionali degli ordini hanno addirittura chiesto scusa ai componenti della commissione parlamentare che discute sulla proposta di legge per il fastidio arrecato dalla petizione e dalle comunicazioni inviate dagli psicologi. L’opinione di 13000 colleghi è stata ritenuta una puerile intemperanza, un’inopportuna interferenza, un intervento fuori luogo.
Ma molti colleghi non si sono accorti di nulla. Altra Psicologia ha ricevuto diverse mail che testimoniano la supposizione da parte dei colleghi che la petizione fosse stata appoggiata o addirittura promossa dagli ordini! I politici della professione si sono infatti guardati bene dall’offrire informazioni complete e tempestive. In questo modo si è ingenerato un equivoco: mentre alcuni psicologi pensavano di essere stati supportati dai loro ordini, erano invece stati ignorati, svalutati e trattati paternalisticamente da rappresentanti che chiedevano scusa per le loro azioni impudenti!
L’agire delle figure istituzionali è motivato da un’opinione spesso espressa dal presidente di uno degli ordini regionali: l’opportunità di non dare informazioni agli iscritti per non correre il rischio di allarmarli (!). La logica sottesa è che solo chi guida gli ordini sappia cosa è bene per gli psicologi, addirittura meglio di loro stessi. In questa asserzione si unisce una visione della comunicazione di tipo antidemocratico e demagogico (meglio che il popolo poco sappia, per portarlo dove vuole il regime) ad una visione delle persone paternalistica e autoritaria (le persone non sono in grado di valutare e decidere responsabilmente, ma hanno bisogno di un potere forte che sa quale è il loro bene e le guida).
Riteniamo invece doveroso informare con continuità e tempestività i colleghi, perché attraverso le informazioni cui hanno accesso possano sviluppare una propria idea sulle questioni di politica professionale, che li riguardano direttamente, e possano manifestare liberamente le proprie posizioni.




Spiegare la Carta Etica per le scuole di Psicoterapia (parte terza)

Parte prima: gli aspetti organizzativi (art. 4)

Nel valutare il rispetto di un’impostazione etica da parte delle scuole di psicoterapia, è a nostro parere fondamentale considerare gli aspetti organizzativi ed amministrativi. Spesso sono proprio questi i campi in cui si annidano le peggiori usanze che denotano scarso rispetto da parte delle scuole nei confronti degli specializzandi. Succede in alcuni casi che ad una rigorosa ed approfondita impostazione scientifico-culturale non corrisponda altrettanta attenzione a questioni che possono essere percepite come poco rilevanti in quanto “pratiche”, ma che incidono notevolmente sulla sostenibilità per gli specializzandi dell’esperienza formativa. Allo stesso tempo gli aspetti organizzativi della didattica e gli aspetti amministrativi comprendono alcuni dei temi forti su cui AltraPsicologia  da sempre si batte, e in particolare le modalità attraverso cui le scuole possono attivare un circolo vizioso di moltiplicazione dei proventi economici, attraverso il prolungamento del percorso di formazione, le psicoterapie personali obbligatorie con i docenti della scuola, l’attivazione di corsi collaterali che formano figure non regolamentate.

Per questo motivo abbiamo dedicato due specifici articoli della nostra Carta Etica, uno agli aspetti organizzativi ed uno agli aspetti amministrativi.

Art. 4 – Aspetti etici dell’organizzazione didattica

Il primo comma dell’articolo fa esplicito riferimento ad un criterio fondante dell’orientamento ad un corretto rapporto tra scuola e specializzandi: la trasparenza dell’informazione. Prevede quindi che gli specializzandi siano a conoscenza, con chiarezza ed in tempo utile, delle modalità di ammissione e partecipazione e del programma dei corsi e che, in caso di attività aggiuntive, ne siano a conoscenza con il dovuto anticipo.

Il secondo comma va a toccare un tasto dolente per molte scuole di psicoterapia: la capacità della scuola di fornire un numero di strutture convenzionate per il tirocinio adeguate al numero di studenti. Il compito del reperimento di posti di tirocinio, che compete alla scuola, è non di rado accollato completamente agli specializzandi, che devono procurarsene uno, spesso trovandosi nella paradossale condizione di insistere per lavorare gratis. Mentre alcune scuole che hanno buone relazioni sul territorio possono offrire una dovizia di posti che spesso blindano, dato che i loro specializzandi permangono nella medesima struttura per l’intero quadriennio, le scuole che hanno meno legami con i servizi territoriali lasciano agli specializzandi l’arduo compito di raccattare in completa autonomia (leggi: solitudine) ciò che non è stato già coperto dalle altre scuole. Inoltre, dato il funzionamento della nostra professione per parrocchie, in cui spesso le une (specie se più potenti) ignorano le altre (specie se meno potenti) i tirocinanti di approcci minori non solo hanno una possibilità pressochè nulla di svolgere il tirocinio in una struttura che condivida il loro orientamento, ma spesso si sentono rifiutare il posto perché il loro orientamento è sconosciuto (o valutato negativamente).

Il terzo comma si riallaccia a primo nel chiedere la trasparenza nell’informazione circa le modalità di valutazione dell’apprendimento.

Il quarto comma prevede che gli specializzandi non siano valutati in base a criteri non riconoducibili alla formazione direttamente proposta dalla scuola, e in particolare non siano richiesti parametri di performance.

Siamo stati messi a conoscenza di diverse situazioni in cui agli specializzandi è richiesto, per ottenere il diploma, di mettere in atto determinate prestazioni professionali: ad esempio portare avanti due psicoterapie con bambini o adolescenti, di durata ognuna almeno annuale, con frequenza bisettimanale e supervisione settimanale.

Questo genere di richieste, oltre ad essere decisamente discutibili da punto di vista formativo e clinico, sono insostenibili per lo specializzando, che si trova confrontato con una “missione impossibile” a fronte della quale avrà il premio dell’agognato diploma. L’ovvia conseguenza è il  prolungamento del percorso di formazione, che comporta la conseguenza ancora più ovvia (e desiderata?) di ulteriori iscrizioni ad anni posteriori al quarto, a pagamento.

Il quinto comma va ad incidere su un altro aspetto, come il precedente, non solo assai discutibile sul piano formativo, ma anche ad alto rischio di circoli viziosi dal punto di vista economico. Si parla del tema delle psicoterapie individuali obbligatorie, rispetto alle quali in un’impostazione etica lo specializzando deve essere libero di scegliere il terapeuta che preferisce, e non essere costretto a rivolgersi ad un terapeuta indicato dalla scuola stessa.

Il sesto comma è assolutamente centrale, e si focalizza su un tema sul quale AP ha

da sempre posto grande attenzione: la formazione, da parte delle scuole di psicoterapia, di figure non regolamentate, attraverso corsi paralleli, in particolare di counselling.

La formazione di counselor e affini mina alla base il rapporto di fiducia della scuola con lo specializzando, in quanto la scuola di psicoterapia che avrebbe il compito di formare psicologi psicoterapeuti con l’intento (si spera!) di facilitarne l’attività professionale, si premura di diplomare, allo stesso tempo, una miriade di counselor che andranno a lavorare, senza alcuna regolamentazione, nello stesso campo dei neo specializzati, spesso in un’ottica di competizione selvaggia e di confine labile con l’esercizio abusivo della professione di psicologo.

L’aspetto paradossale dell’operazione è che siano gli psicologi stessi, che dirigono le scuole, a preparare queste figure che vanno ad occupare spazi che potrebbero utilmente essere destinati agli specializzandi che sono i primi e naturali destinatari dei servizi delle scuole. Inoltre, anche gli stessi counselor ed affini sono spesso sfruttati dal medesimo meccanismo che stritola gli psicologi: in un mercato del lavoro in cui ci sono grandissime difficoltà per gli psicologi e gli psicoterapeuti, i counselor spesso si trovano a non riuscire affatto ad esercitare ciò per cui si sono formati.

Ma c’è chi gioisce del meccanismo: le casse delle scuole, che traggono dai corsi di counseling, aperti a chiunque abbia un diploma, una fonte di sostentamento fiorente e  in costante crescita.

Il settimo comma prevede l’istituzione di borse di studio, basate su criteri di merito e/o di reddito, ai fini di facilitare la partecipazione e premiare la qualità.

L’ottavo comma, in continuità con il primo e il terzo, pone l’attenzione sul diritto per gli specializzandi a visionare il CV dei docenti.

4. ASPETTI ETICI DELL’ORGANIZZAZIONE DIDATTICA

  • a. Le Scuole di Psicoterapia e i loro docenti si impegnano a fornire tutte le informazioni relative ai criteri di selezione/ammissione e partecipazione (previsti dalla normativa in vigore e quelli definiti dalla Scuola), ai programmi dei corsi, ai docenti che li terranno, ai tirocini, al tutoring, alle supervisioni in maniera accurata e prima dell’iscrizione. Per qualsiasi attività formativa organizzata in itinere vengono date precise informazioni non appena disponibili.
  • b. Le Scuole di Psicoterapia si impegnano a rendere disponibile un numero di strutture convenzionate per il tirocinio, come da normativa vigente, commisurato al numero degli studenti e, ove esistenti, in linea con gli orientamenti teorici insegnati.
  • c. Le Scuole di Psicoterapia stabiliscono tempi e processi, resi noti agli studenti all’inizio del programma formativo, con cui fornire feedback sul loro apprendimento. Esse valutano i candidati in relazione a criteri rilevanti, prestabiliti e resi loro noti con chiarezza e accuratezza. Tali criteri e le prove standard di verifica sono esplicitati all’inizio dell’anno accademico; in eguale maniera vanno comunicate eventuali modifiche agli stessi.
  • d. In nessun caso l’allievo sarà valutato in base al raggiungimento di obbiettivi di performance, di redditività, o comunque di aspetti non direttamente collegabili alla verifica dell’adeguatezza della preparazione e delle competenze trasmissibili direttamente attraverso l’attività didattica della scuola stessa.
  • e. Quando il programma formativo della Scuola di Psicoterapia richiede all’allievo una terapia individuale o di gruppo, si permette di scegliere autonomamente il terapeuta, anche tra quelli non affiliati alla Scuola.
  • f. Le Scuole di Psicoterapia si impegnano a non organizzare corsi – esclusi quelli in psicoterapia – che insegnino strumenti e tecniche specifici della professione psicologica (tecniche del colloquio, test e altri strumenti diagnostici, ecc.) ad allievi privi dell’abilitazione alla professione di Psicologo. Si impegnano altresì a non rilasciare titoli collegati a professioni non regolamentate.
  • g. Le Scuole di Psicoterapia valutano la possibilità, come aspetto qualificante, di istituire borse di studio legate ad aspetti meritori e/o economici per la partecipazione ai corsi e/o per l’attuazione di progetti di ricerca.
  • h. Le Scuole di Psicoterapia mettono a disposizione degli allievi una sintesi del curriculum vitae e del cursus studiorum del corpo docente, anche attraverso sezioni apposite dei siti internet dedicate a questo scopo.



Il servizio di tutoring all'inserimento professionale presso l'OPL

Facilitare l’inserimento professionale dei giovani psicologi è uno degli obiettivi prioritari del programma di Altra Psicologia. In Lombardia i consiglieri di Altra Psicologia hanno proposto iniziative concrete per la realizzazione di questo obiettivo all’interno dell’Ordine. In particolare la nascita della Commissione promozione e sviluppo, in cui tre dei cinque componenti (compresa la coordinatrice) appartengono ad Altra Psicologia, è stata l’occasione per avviare attività che potessero aiutare i giovani psicologi nell’affrontare la drammatica situazione lavorativa che ben conosciamo. Come commissione abbiamo innanzitutto voluto sondare le aspettative dei giovani iscritti attraverso un’indagine on line, che aveva come principale focus la valutazione della percezione di utilità di un servizio di tutoring all’inserimento professionale. Attraverso i risultati dell’indagine (vedi indagine) abbiamo verificato una percezione molto elevata dell’utilità di questo tipo di servizio, così come di iniziative informative e formative sull’imprenditorialità e la progettazione nel terzo settore, che ci proponiamo di avviare a breve.

Nella seconda metà di settembre è nato il servizio di tutoring all’inserimento professionale, gestito dalla commissione. Il servizio si propone di offrire orientamento, accompagnamento e sostegno, di agevolare i giovani colleghi nel cercare occasioni di lavoro. Fondamentale chiarire che non si tratta di un servizio di collocamento: come commissione di un ordine non abbiamo né la possibilità né il compito di trovare lavoro agli iscritti. La nostra funzione è quindi quella di raccogliere le domande degli iscritti e riflettere insieme sulle strategie, sulle modalità, sugli strumenti e le competenze che possono agevolare la ricerca del lavoro. Laddove ci sia una richiesta di informazioni, se non le abbiamo immediatamente disponibili, ci impegniamo a procurarle. Il servizio prevede il ricevimento dei colleghi iscritti per mezza giornata alla settimana da parte di uno dei componenti della commissione, presso la sede dell’OPL.

Dopo il primo ciclo di incontri, ci sentiamo già di proporre alcune riflessioni.

Innazitutto, risulta per noi evidente come la richiesta principale sia di carattere orientativo. Alcuni di noi prima di iniziare a ricevere i colleghi si aspettavano domande informative specifiche e puntuali, che richiedessero soprattutto da parte nostra un’attivazione in termini di reperimento dei dati e delle indicazioni. Nella stragrande maggioranza dei casi ci siamo invece trovati a partire da domande a largo raggio sulla difficoltà a capire come muoversi per cercare occasioni di lavoro. Alcuni colleghi ci hanno chiesto perché non riuscivano a trovare lavoro solo spedendo curriculum, o se ci sono concorsi nel pubblico, o come si fa a proporre un progetto e a chi rivolgersi. Domande che mettono in luce come i giovani siano ancora oggi poco a conoscenza del reale funzionamento del mondo del lavoro per gli psicologi, come spesso facciano riferimento a modalità (invio di CV, concorsi) di fatto marginali nella ricerca di lavoro in campo psicologico. In questi casi la necessità è prima di tutto capire come funziona, farsi un’idea il più possibile realistica di cosa succede là fuori e di come è possibile avvicinarsi al lavoro da psicologo.

Appare anche che le principali difficoltà dei colloqui di tutoring ruotino intorno a quanto sopra. Ad esempio è probabile che gli utenti del servizio si aspettino informazioni sempre e comunque, non comprendendo che i punti di debolezza si trovano su tutto un altro fronte, quello di un desiderio e di una competenza correlata che deve essere delimitato, specialistico e accuratamente coltivato. E, infine, della capacità di proporsi come competenti in senso sia generico che specifico. Qui i più dimostrano debolezze marcate.

Tuttavia, e per certi versi di contro, un pericolo correlato è di segno opposto. Si tratta del pericolo che ogni richiesta venga letta in questa ottica dalla commissione, complice l’attitudine professionale clinica di molti di noi, rinunciando a cercare e fornire informazioni agli iscritti che ne hanno veramente bisogno.

Un altro dato che emerge è il forte disagio manifestato dai giovani colleghi. Abbiamo incontrato diverse persone con le lacrime agli occhi, deluse, sfiduciate e demotivate. In alcuni casi il nostro compito è comunque stato prioritariamente quello di  sostegno. Il lavoro dello psicologo, per come è oggi strutturato, in modo precario, instabile, privo di punti fermi, porta ad un indebolimento e ad una frammentazione dell’identità, che in situazioni di fragilità pregressa conducono ad un notevole disagio. Il disagio depressivo che insorge in relazione a questa situazione prende forme talvolta preoccupanti.

Non citeremo gli elementi più personali emersi in questi colloqui, volendo tuttavia sottolineare che in alcuni casi si tratta di aspetti che sconfinano ampiamente in aree così delicate da ritenere debbano essere sotto la protezione del segreto professionale. Anche questo elemento la dice lunga sullo stato della nostra professione.

In casi non frequenti ci sono state chieste informazioni specifiche: in particolare sui cambiamenti introdotti dalla legge Bersani, in materia di pubblicità, tariffe e adempimenti fiscali.

Inoltre l’interesse di alcuni colleghi è rivolto alla possibilità di avviare una realtà associativa nel terzo settore. Per questo abbiamo pensato ad un percorso specifico, che partirà nei prossimi mesi, su imprenditorialità e progettazione nel terzo settore.

Il servizio vuole essere anche l’occasione per aprire un dialogo diretto con i colleghi, a cui chiediamo un feedback sul servizio già durante il colloquio e a cui proporremo a breve uno strumento di valutazione, in modo da poter introdurre miglioramenti in itinere.

La nostra esperienza con i colleghi finora incontrati ha a nostro parere dimostrato l’utilità dell’iniziativa, ed ha confermato alcuni dei mali degli psicologi che Altra Psicologia da tempo denuncia: la scarsa informazione, l’individualismo, la tendenza a vedere la drammatica situazione del lavoro psicologico come personale e la fatica a ricondurla a dinamiche più ampie e a collocarsi in un contesto complesso.




Indagine sulle aspettative professionali dei giovani iscritti

Ordine degli Psicologi della Lombardia

Commissione Promozione e Sviluppo

La rilevazione delle aspettative professionali e nei confronti dell’Ordine dei giovani iscritti all’OPL è stata promossa dal Consiglio dell’OPL attraverso la Commissione Promozione e sviluppo.

L’obiettivo della rilevazione è stata la valutazione della percezione di utilità da parte dei giovani iscritti di alcuni servizi che l’OPL era intenzionato ad avviare, nell’ambito della facilitazione dell’inserimento lavorativo degli iscritti.

Si è trattato di un’indagine sugli iscritti all’Ordine degli Psicologi della Lombardia di età inferiore o uguale a 40 anni.

Sono stati contattati i 3918 colleghi appartenenti alla fascia di età scelta raggiungibili via mail. Ai giovani iscritti è stata inviata una mail il 12/6/2006. Sono stati considerati i questionari pervenuti entro il 10/7/2006.

Sono stati ricevuti 434 questionari compilati, pari all’11% degli iscritti contattati e al 7,6% del totale degli iscritti di età inferiore o uguale a 40 anni.

Consulta l’intera indagine




Psicologi ed ECM

Solo gli Psicologi che operano nelle strutture sanitarie, pubbliche o private, devono acquisire crediti ECM, come si evince dall’art. 16-Q del DL 502 (Incentivazione della formazione continua):

La partecipazione alle attività di formazione continua costituisce requisito indispensabile per svolgere attività professionale, in qualità di dipendente o libero professionista, per conto delle aziende ospedaliere, delle Università, delle unità sanitarie locali e delle strutture sanitarie private. I contratti collettivi nazionali di lavoro del personale dipendente e convenzionato individuano specifici elementi di penalizzazione, anche di natura economica, per il personale che non ha conseguito il minimo di crediti formativi stabilito dalla Commissione nazionale. Per le strutture sanitarie private l’adempimento, da parte del personale sanitario dipendente o convenzionato che opera nella struttura, dell’obbligo di partecipazione alla formazione continua e il conseguimento dei crediti nel triennio costituiscono requisito essenziale per ottenere e mantenere l’accreditamento da parte del Servizio sanitario nazionale”

, senza alcun contratto con gli Enti di cui sopra, non sono quindi tenuti all’obbligo dei crediti formativi.

Lo stesso TAR del Lazio, nella sentenza n. 14062/2004 del 18 novembre 2004, definisce che:

L’ECM s’appalesa obbligatoria solo per i sanitari dipendenti dagli enti del SSN, o per quelli che con esso collaborano in regime di convenzione o d’accreditamento. Viceversa, per i professionisti che erogano prestazioni sanitarie non coperte dal SSN, il controllo della prestazione connesso alla formazione e all’aggiornamento è rimesso, oltre che al mercato (ossia all’apprezzamento, o meno, del cliente-paziente), agli Ordini ed ai Collegi professionali, onde per costoro l’ECM rappresenta un onere, non già un obbligo“.

http://www.ministerosalute.it/ecm/operatori/operatori.jsp?sez=prof, che testualmente afferma, tra l’altro, quanto segue:

.

Afferma infatti testualmente il Ministero al riguardo:

web http://www.ministerosalute.it/professioni/sezProfessioni.jsp?id=110&label=ps

www.ministerosalute.it alla sezione ECM) . Infatti, l’attribuzione di crediti ad un evento comprende un iter lungo, burocratico e farraginoso(http://www.ministerosalute.it/ecm/organizzatori/organizzatori.jsp?sez=acc) e rischia spesso di non giungere all’esito sperato (l’attribuzione di punti) dopo diversi mesi di attesa a causa di piccoli errori di forma, più che di sostanza. Di conseguenza, i professionisti partecipano il più delle volte ad eventi, pagandoli anche a caro prezzo, senza sapere se, alla fine, essi riceveranno i crediti e quanti ne saranno attribuiti, rendendo in questo modo piuttosto complessa anche l’organizzazione del professionista il quale, per tutelarsi e assicurarsi di rientrare nei limiti richiesti, dovrebbe iscriversi a numerosi eventi in soprannumero rispetto al necessario.

Il culmine del paradosso risiede poi nella mancanza di un registro ufficiale dei punti accumulati da ciascuno, così che nessuno ancora sa con che modalità, su quali basi e da parte di chi potrebbero avvenire i controlli, né quali sarebbero le reali ricadute in caso di non adeguamento alle norme.

Preme inoltre ricordare che, a tutt’oggi, uno strumento formativo fondamentale come la supervisione non rientra fra gli “eventi” accreditabili, a meno che non si organizzi un evento formativo con le caratteristiche e le modalità sopra esposte e che abbia come oggetto la supervisione di casi clinici. E’ evidente come la modalità con cui la maggior parte degli psicologi accedono alla supervisione sia notevolmente diversa da quella necessaria per “trasformarla” in un evento formativo e farla rientrare nel programma ECM.

Nella formazione continua di uno psicologo e psicoterapeuta, le ore di supervisione sono fondamentali per delineare l’apprendimento ed il profilo di competenze del professionista. Le procedure ECM escludono dunque, secondo la nostra valutazione, le parti esperenziali più qualificanti della nostra formazione.

Sarebbe dunque opportuno integrare specificatamente queste modalità formative o meglio prevedere una proceduralità ECM scorporata per le discipline della psicologia/psicoterapia.

Carlotta Longhi e Chiara Santi