Due nuovi eventi…tutti bresciani! :-)

C’è davvero bisogno di psicologia in città e dove non arriva OPL arriva AP! Per i nostri amici bresciani sono stati pensati due eventi speciali, condotti dal Presidente dell’Ordine Psicologi Lombardia, Mauro Grimoldi. Parleremo di come gli psicologi possono promuoversi sul mercato del lavoro ma anche come possono difendersi da chi, abusivamente, fa il nostro mestiere..

Ecco le date degli appuntamenti, l’ingresso è libero.  SPARGI LA VOCE! 😉

Mercoledì 2 aprile h 18:30
Teatro S. Carlino Corso Giacomo Matteotti, 6/A a BRESCIA
Gli psicologi e gli altri. L’epidemia di abusivismo psicologico e le soluzioni possibili! Qui maggiori dettagli.

Mercoledì 2 aprile h 19:30
Teatro S. Carlino Corso Giacomo Matteotti, 6/A a BRESCIA
Self marketing per psicologi. Come trasformare il proprio nome in un brand nell’era digitale rispettando decoro e dignità. Qui maggiori dettagli.




Lettera aperta di una psicologa delusa

Dopo aver chiesto il suo permesso ed averla resa anonima abbiamo deciso di pubblicare la lettera di una collega che, come tanti di noi, fatica a trovare lavoro nonostante le numerose competenze professionalizzanti acquisite nel tempo. C. mi ha scritto nel tentativo di andare oltre la situazione difficile che sta/stiamo vivendo, nel tentativo di fare qualcosa, cercare una possibile soluzione: la collaborazione e la comunicazione tra colleghi.

E tu cosa ne pensi ? Ti ci ritrovi ?

 

Cara Dott.ssa Cristina,

più volte mi sono ritrovata a voler condividere con voi colleghi la mia situazione professionale, più volte ho aperto la posta elettronica e piu volte mi sono interrotta. Forse sarà stata la sensazione di fare un altro buco nell’acqua, o forse una mancata stima in quella professione per la quale abbiamo fatti molti sacrifici e nella quale abbiamo investito tutto il nostro impegno e dedicato tutta la nostra passione.

Mi presento. Sono C. , psicologa, ho 33 anni e da gennaio… sono costretta a lavorare in un negozio per mantenermi e, cosi, coltivare un progetto di vita personale, che da tempo aspetta che la mia situazione lavorativa, diciamo, si “stabilizzi”.

Laureata con lode mi sono buttata nel tirocinio professionalizzante con tutto l’entusiasmo del mondo, poi mi si presenta davanti una prospettiva di lavoro in uno studio associato. Ero inesperta e tanto volenterosa e accetto. Investo soldi, tutti quelli che avevo, ne rientrano molti di meno e il rapporto di colleganza finisce con un assistenza legale. Mi dico: Ok, ci può stare, si ricomincia. Mi sono data da fare, ho fatto concorsi, libera professione con la quale non coprivo le spese, collaborazioni con cooperative che mi pagavano 7,50 euro all’ora (le donne delle pulizie prendevano più di me) finché stanca della costante ed estenuante PRECARIETA’ ho accettato un altro tipo di lavoro, nel quale il mio titolo di studio non serve a nulla ma che mi permette di vivere e magari, anche sposarmi e comprare casa.

Sono sicura di raccogliere il pensiero di altre mie giovani colleghe, che spesso mi confidano questo disagio costante del non sapere cosa farne della tanto amata laurea in psicologia. Ed ecco che alcune fanno le impiegate ed altre le commesse, ma con il costante rammarico e la costante frustrazione di aver ricevuto un ingiustizia dalla vita. Il coraggio di scriverti è nato dall’assiduo impegno da parte dell’ordine e di colleghi in merito alle elezioni e alle candidature. Le più banali: Perché non muoversi cosi tanto anche per la tutela della nostra professione?

Tutelarci non significa abolire la figura del counselor, ma anche permetterci di lavorare. Perché richiedere sempre la specializzazione in psicoterapia? Come farla se non si lavora? Perché ad ogni concorso giravano nell’aria ancor prima i nomi dei vincitori?

Tante domande, molte domande..forse troppe domande che non hanno mai ricevuto risposta.

Questa lettera nasce da un bisogno di condivisione, non ti (mi permetto di darti del tu) si chiede di salvarci e di porre rimedio ad ogni problema. Il mio contatto nei tuoi confronti esula completamente dalle varie campagne elettorali alle quali ho assistito, e per le quali ho deciso volutamente di non andare a votare. Ti ho scritto dopo aver ricevuto la tua ultima mail, nella quale ho voluto percepire, tra le righe, la necessità di andare oltre al non raggiungimento del quorum, di fare qualcosa per noi psicologi. E, nel mio piccolo, credo di averlo fatto. Raccolgo quella fetta (grande) di giovani colleghi disoccupati , e vorrei davvero riaccendere una piccola speranza.

Mi fermo. Quanto ho scritto? Molto. E ne avrei ancora altrettanto.

Grazie della lettura

Buona Vita

C.

 




Quorum mancato. Perché?

Se i quaranta colleghi che non sono venuti a votare per completare il quorum fossero riusciti ad arrivare (e ne conosco almeno tre o quattro, che erano malate o avevano gravi problemi familiari) nessuno si sarebbe posto il problema.   Eppure, secondo me, il problema ci sarebbe stato comunque: è un fatto che la percentuale di iscritti all’Ordine che hanno voglia di venire a votare è molto bassa.

Come mai?  Ne parlo con i colleghi che mi chiamano in questi giorni; secondo loro è inconcepibile, dicono che è una mala usanza italiana; insomma, gettano la croce addosso a chi non vota; sottolineano che il voto è un diritto-dovere. Io replico che è un diritto costituzionale e un dovere morale: ossia non si può impedire a qualcuno di votare, ma vota solo chi sente una responsabilità. E se non la sente?  Se non gli piace nessuno di quelli che propongono di rappresentarlo? Si dirà: voti scheda bianca, così dai un segnale.  Ma è ancora un atto di responsabilità, e a me pare che la responsabilità si possa costituire solo all’interno di un rapporto, di un dialogo.  Viviamo in un’epoca in cui è forse più facile responsabilizzarsi nei confronti delle persone vicine; l’Ordine è forse percepito come un’istituzione che non coinvolge fino a quando non se ne ha bisogno.

Anche se fosse così: come mai? In questi quattro anni abbiamo sempre e molto coinvolto i colleghi; ce ne hanno dato atto, ce lo scrivono continuamente.   Non sarà che abbiamo fatto troppo e che questo troppo sia stato dato per scontato?  Tante volte chi è contento smette di darsi da fare per rilanciare e ravvivare un rapporto che già funziona; lo vediamo nella professione, ma anche nella nostra vita privata.

Io sono stata in una posizione privilegiata: ho avuto l’occasione di parlare con centinaia di colleghi; è stata una fatica immensa, ma anche una immensa ricchezza.  Ma  gli altri, quelli – ed evidentemente sono i più  – con cui non ho potuto parlare e interagire, cosa e come pensano?   Mi piacerebbe leggere le loro opinioni e idee.

Valeria La Via




La staffetta dei concorsi..

L’apertura di concorsi pubblici in ambito sanitario per Psicologi/psicoterapeuti è come la ricerca di un ago in un pagliaio.  Soprattutto quelli “corretti”.

Facciamo l’ipotesi di aver superato il primo ostacolo legato all’apertura di un concorso e che, per una serie di ricongiungimenti astrali, riusciamo ad accedere alla selezione avendo superato l’ulteriore prova di “italiano burocratese” che ci porta ad aver consegnato tutti i documenti in numero di copie esatte, con relative firme e diciture di leggi che permettano le varie liberatorie e confermino le varie dichiarazione. E qui, effettivamente, si denota lo psicologo/psicoterapeuta inserito nella società moderna, ovvero che non sia limitato nelle proprie competenze in lavori di ufficio. (N.B. ad esempio, ad oggi esiste un formato di curriculum europeo con formato 2013, con grafica in colore azzurro e foto a sx).

Già, quasi dimenticavo, è un bando per psicologi o per psicoterapeuti? Ormai vige la legge comune che “nel caos tentar non nuoce”: anche se non avete abilitazione alla psicoterapia, non ponetevi il problema, al massimo vi segnaleranno come non ammessi per mancanza di requisiti. O vi potrebbe invece andar bene e sarete comunque inserite (vissuto di persona ai tempi in cui ero in formazione), capiterete forse in una lista che attesta competenze differenti. Dopo tutto la differenza non è chiara a tutti e una volta tanto potrebbe giocare a nostro favore! (…per ora l’utenza futura non consideriamola…)

Ora, vi potreste trovare nella seconda fase di selezione che comprende uno scritto/ scritto ed orale/ solo colloquio di selezione/ incontro conoscitivo. Quale preferite? Hanno tutti la stessa validità, è solo questione, dicono, di “volontà di trasparenza della commissione. Commissione composta molto spesso da Medici Psichiatri, Dirigenti Medici e componente di segreteria. E i colleghi Psicologi?

Ed è qui che per me scatta il tasto dolente! Il mio lavoro si basa principalmente sulla relazione e invece mi testano per l’ennesima volta sulle mie competenze teoriche sul mio SAPERE facendomi domande legate ad un orientamento teorico medico (perché quello è l’ambito di appartenenza e il punto di vista dell’esaminatore). Ed il cerchio si chiude poiché al sistema sanitario accedono per la maggior parte quei professionisti colleghi esperti del modello psichiatrico (e non psicologico). Nelle aziende ospedaliere regna, generalmente, una “psicologia- medicalizzata” che tenta di misurare l’immisurabile, che usa strumenti di uno stampo teorico per definire costrutti appartenenti ad altre teorie di afferenza, che invece di accogliere cura, ecc.

E il SAPER FARE? E il SAPER ESSERE? Atteggiamenti, comportamenti, il come ci si pone in relazione che è la componente essenziale dell’entrare in contatto con il paziente/cliente, dell’aggancio, della relazione… che è la psicologia…si perde!

Queste e tante altre domande e riflessioni potremmo fare in merito alla strutturazione dei concorsi pubblici in ambito sanitario, ma per cambiare una cultura sapete occorre prima di tutto osservarla con metodo. Io per ora mi sono prima arrabbiata, poi scioccata, poi divertita e per questo la mia caccia di racconti di colleghi è diventata la mia passione.

Per questo motivo, è emerse l’idea di creare un osservatorio sul tema, per raccogliere tutte le incongruenze che per ora sono inattaccabili da un punto di vista legislativo (dove siamo noi stessi che reggiamo il gioco, ad esempio quando partecipiamo a “teatri concorsuali”, dove veniamo chiamati come comparse a sostegno della liceità di ingressi ufficiali di colleghi già conosciuti dal sistema), ma potrebbero esserlo da un punti di vista teorico e metodologico.

L’idea è di trovare un catalizzatore di informazioni, poter denunciare modalità e metodologie non coerenti con la nostra professione, in quanto fanno decadere la forza contrattuale della professione stessa di cui reclamiamo maggiore presenza.

 

di Verena Boscolo




Un’etica senza psicologia

Desidero raccontarvi di fatti che ci riguardano da vicino come psicologi. Avvenimenti gravi e significativi che hanno segnato uno dei momenti di involuzione della nostra professione. Ancora una volta chi poteva parlare ha taciuto, facendoci perdere posti di lavoro e rappresentanza a livello istituzionale nazionale.

Partiamo dall’inizio: cos’è un Comitato Etico?

Poche persone saprebbero rispondere con certezza, le prime cose che vengono in mente ai più sono forse le sperimentazioni dei farmaci e le cellule staminali. Ebbene secondo il Decreto Ministeriale del 1998 il Comitato Etico è un organismo indipendente, senza scopi di lucro, costituito nell’ambito di una struttura sanitaria o di ricerca scientifica e composto secondo criteri di interdisciplinarietà. Per le sue decisioni ed attività fa riferimento alla Dichiarazione di Helsinki del 1964, alle norme di “Good Clinical Practice”, alle leggi nazionali ed internazionali e, dove applicabili, alle raccomandazione del Comitato Nazionale di Bioetica.

Il Comitato Etico, relativamente alla sperimentazione clinica dei medicinali, deve:

  • Verificare l’applicabilità della sperimentazione proposta valutandone il razionale
  • Valutare l’adeguatezza del protocollo (obiettivi, disegno, conduzione, valutazione dei risultati)
  • Valutare la competenza e l’idoneità dei ricercatori
  • Valutare tutti gli aspetti etici, con particolare riferimento a: consenso informato, tutela e riservatezza dei dati per salvaguardare i diritti, la sicurezza ed il benessere dei soggetti coinvolti nella sperimentazione clinica.

Si tratta quindi di un ambito delicatissimo in cui la psicologia -e gli psicologi- hanno molto da offrire. Sono innumerevoli i test psicologici somministrati e i colloqui di counseling effettuati ai soggetti coinvolti nelle sperimentazioni, senza parlare dell’impatto che le diagnosi hanno sulla vita e il benessere emotivo delle persone, spesso abbandonate a loro stesse dal momento che le aziende farmaceutiche si limitano a proporre la sola somministrazione delle molecole.

 

I fatti che ci interessano

Negli corso degli anni, sul territorio italiano, sono stati istituiti migliaia di Comitati Etici. Un numero così elevato da spingere l’allora ministro Balduzzi ad intervenire attraverso un decreto legge per porre un ordine a tutto questo. Nel 2012 egli decise di eliminare tutti i Comitati Etici esistenti ed istituirne di nuovi, istituendone uno solo ogni milione di abitanti (un m-i-l-i-o-n-e di abitanti!).

Sono tantissime persone ed è una responsabilità enorme per un solo comitato!

Con il suo decreto, al cui interno si delibera anche sulla composizione dei nuovi Comitati Etici, Balduzzi delegò le singole regioni a definire la composizione di questi Organismi (agli interessati: pag.10 e pag.50 del decreto).

Questo documento serviva a porre un ordine nella ricerca sperimentale svolta sull’uomo, definendo le figure incaricate di decidere se una ricerca fosse valida, etica e degna di essere intrapresa. Il decreto quindi dava il potere alle regioni di elencare le figure professionali che si sarebbero dovute occupare della salute delle persone.

 

Le conseguenze – cosa abbiamo perso

Delegando le singole regioni a legiferare sulla strutturazione dei Comitati Etici, abbiamo dovuto attendere che le varie Giunte si esprimessero rendendo pubblica la composizione dei nuovo Comitati Etici.

Ora ci siamoe ed ecco cosa è successo.. in calce all’articolo* troverete alcuni dei decreti regionali in materia, ma per chi non avesse l’ardore di leggerli tutti farò un breve riassunto:

Nella maggior parte delle regioni non è prevista la figura dello psicologo nei Comitati Etici (viene però istituita obbligatoriamente quella del rappresentante delle associazioni di volontariato.. eh bhe, questa sì che è una figura chiave per un Comitato Etico!…)

Nelle regioni più “evolute” si è però deciso di lasciare aperto un varco con una dicitura ambigua: “Uno spazio nel Comitato Etico sarà riservato ad un rappresentante delle discipline sanitarie, non medico”. Ora, tutti penseremmo subito che uno psicologo sarebbe la figura d’eccellenza per ricoprire questo incarico. In fondo siamo una professione sanitaria sotto la giurisdizione del Ministero della Sanità.

E invece no! Ho chiamato personalmente quasi tutti i Comitati Etici per chiedere informazioni e nessuno ha inserito in quello spazio uno psicologo, preferendo invece nominare un infermiere al suo posto!!

 

SENZA PAROLE !!

 

Si tratta di una grave forma di mancanza di considerazione per i diritti del cittadino nonché di profonda ignoranza. Stupisce quanto il nostro sindacato AUPI sia stato assente anche in questo frangente. Scontato poi il fatto che non si sia degnato di rispondere alle mail in cui chiedevo se- e che tipo- di provvedimenti avessero intrapreso al riguardo. Spetta infatti a chi come loro ha il privilegio di un dialogo diretto coi Ministeri il tutelare la nostra professione. Ma non l’hanno fatto, per l’ennesima volta!!

E per l’ennesima volta ci ritroviamo a dover avere che fare con persone che giocano a fare i politici ma che quando si tratta di esporre i “Facta” hanno ben poche “Verba” da dire. Come Ordine ci dedicheremo a supplire a quanto non viene fatto da altri.

 

*Delibera Comitati Etici: LAZIO LIGURIA LOMBARDIA PIEMONTE TOSCANA VENETO

 

Author: Cristina Vacchini