Siamo (quasi) tutti psicologi “normali”

Vi ricordate come si risolve il gioco che vedete qui sotto?

puntijpg

L’obiettivo è unire tutti i puntini con quattro linee senza staccare mai la penna dal foglio.

Ci avete provato?

Se consideriamo i punti come se formassero un quadrato non ci riusciremo mai: ne rimarrà sempre fuori uno. La soluzione è possibile solo se si riesce ad immaginare qualcosa di diverso di una figura conosciuta che guida e mantiene uno schema “mentale” rigido. In questo modo, uscendo dai “confini immaginari”, le quattro rette, disegnate senza sollevare mai la penna, possono essere rappresentate così:

soluzione-9-punti

 

Abbiamo portato questo esempio per provare a riflettere con voi: l’immagine che noi abbiamo dello psicologo può bloccare la nostra creatività e la possibilità di proporre nuove soluzioni, non solo quando si parla di terapia, ma anche e soprattutto quando vogliamo metterci in discussione come categoria professionale.

Se nel giochino che abbiamo proposto sopra ci concentriamo su un singolo punto potremo analizzarlo più che dettagliatamente, correndo però il rischio di non considerare tutto il resto: gli altri elementi in gioco, le relazioni tra loro e il contesto in cui sono inseriti.

Così quando cerchiamo di definire sempre più il campo e di qualificare sempre meglio le nostre specifiche abilità (come se fossero i nostri puntini) rischiamo di perdere la visione d’insieme.

Più le nostre competenze diventano specifiche, più cerchiamo di arrivare alla “perfezione” attraverso nuove e più sofisticate specializzazioni; più ci vincoliamo ad un modo di pensare e ad un modus operandi, più tentiamo di arrivare ad un senso di sicurezza a discapito della capacità di integrare le conoscenze apprese in modo creativo.

La proposta di specializzazioni sempre più settoriali, se da un lato possono rappresentare l’accrescimento del sapere teorico e pratico, dall’altro ci sembra che, implicitamente, abbiano l’effetto pragmatico di controllare sempre più la disciplina e il mercato, richiedendo via via apprendimenti sempre più specifici. Le conseguenze di un impegno costante, finalizzato a garantire l’accuratezza, sono quelle di favorire un pensiero che si limita alla visione di tipo “microscopico” (attenzione centrata sul singolo puntino) a discapito della globalità.

La maggior parte di noi psicologi continua a formarsi per raggiungere “l’apice” della professionalità, individuabile quando ognuno ha il maggior grado di attestati e attestazioni di competenze e capacità. Tuttavia, in questa corsa alla formazione rischiamo di imbatterci nel rovescio della medaglia: la specializzazione porta ad un pensiero omologato e prevedibile perché simile per tanti professionisti che seguono una specifica disciplina. Per assonanza a noi è venuta in mente la curva gaussiana (la famosa “normale”!): l’apice della curva è quello in cui media, moda e mediana coincidono, ovvero combaciano, si incontrano.

Quale futuro per una categoria professionale educata all’uniformità?

La formazione stessa sembra sia vissuta non tanto come un’opportunità, come l’effetto della spinta ad allargare i propri orizzonti, quanto piuttosto come una necessità: essere il più autonomi possibile e ben armati nei confronti dei “malintenzionati”, come ad esempio chi lavora senza essere iscritto all’albo degli Psicologi.

Questo sentire non solo ci limita, ma ci allontana dalle possibilità di collaborazione tra di noi e ci inserisce in un circuito di solitudine perché dobbiamo essere in grado di far tutto da soli. Non si contempla la possibilità di condividere coi colleghi e costruire un bagaglio, un sapere, se non a “caro prezzo”!

È possibile trasformare questi vincoli in possibilità?

Secondo noi si, creando rete fra i colleghi, in cui la preparazione dei singoli divenga un prerequisito per proporre servizi innovativi e di qualità, dove quest’ultima sia il prodotto della presenza di più e diversi professionisti che, unendo i singoli punti di vista, riescono a creare un nuovo e diverso panorama professionale.

Secondo voi è fantascienza o qualcuno sta già lavorando così?




L’Altro-Psicologo lavora libero in branco

Vi poniamo un quesito: secondo voi lavoriamo come psicologi stile leone o stile api?

Il leone, il re della foresta, è forte, imponente, narcisista e solitario. Sa combattere e sicuramente vincere sulle prede più deboli.

Le api sono piccole e laboriose, si muovono da sole per cercare il nettare, ma di fronte ad un pericolo difficilmente attaccano da sole, anche perché ci rimetterebbero la vita.

Così per difendersi e lavorare si muovono in gruppo! Davanti ad uno sciame d’api sicuramente avete provato paura di essere attaccati. Nello sciame è difficile distinguere le singole api tanta è la loro capacità di coordinarsi l’un l’altra.

Questo è uno di quei casi in cui appare evidente come “il tutto è più dell’insieme delle singole parti”.

In quale stile lavorativo vi riconoscete di più? Simili ai leoni o alle api?

Se rimaniamo all’interno del paradigma aut aut (leone o ape) ci precludiamo delle alternative che possono essere vincenti. E allora potrebbe essere che l’“Altro-Psicologo”, cioè il professionista che esce un po’ dagli schemi, abbia il coraggio del leone e l’abilità di stare in gruppo delle api. Un AltroPsicologo che non debba nascondere le proprie fragilità dietro un’apparente serietà, rigidità o scientificità, ma che sia convinto che la forza stia proprio nella possibilità di fare rete e nella creatività insita in questa professione.

L’Altro-Psicologo secondo noi dovrebbe essere un leone che lavora con altri leoni in gruppo come sanno fare le api: creare la nostra identità partendo dai nostri punti di forza, mettendoli però insieme con umiltà e grande capacità di coordinarsi nel reciproco riconoscimento come sanno fare le api, senza la paura di soccombere alla superiorità del leone che è parte integrante della nostra individualità e professionalità.

Secondo noi è possibile coniugare le nostre eccellenze senza che nessuno rimanga nell’ombra, ma che sia proprio l’unione a dare luminosità alla nostra specificità in un ambiente dove si esprima la qualità.

Vi portiamo un esempio di una forma di collaborazione fra colleghi in cui il riconoscimento delle capacità altrui coincide con la definizione di ricchezza e di ampliamento delle opportunità e non con l’inferiorità o la denigrazione a cui purtroppo la maggior parte è abituata. Ad livello macro, un esempio brillante è la comunità di psycommunity.it.

Attraverso la sua mailing list consente uno scambio peer to peer: qui circolano richieste, risposte, commenti e opinioni sicuramente foriere di nuove ed ulteriori possibilità.

Una collaborazione di questo tipo è molto vicina a quella di una comunità in cui le ricchezze vengono condivise al fine di creare ulteriori possibilità, come forme di micro-crediti reciproci finalizzati a creare possibilità di emancipazione.
In questo modo è possibile creare e scambiare conoscenze e abilità, in un’ottica di crescita dell’intera categoria professionale e non solo come singoli professionisti.

Se condividete questo modo di lavorare, converrete che un obiettivo prioritario dell’Ordine dovrebbe essere l’incoraggiare una nuova gener-Azione le cui fondamenta siano ancorate alla comunità scientifica e professionale che definisce l’identità e le abilità della nostra categoria. Una costruzione giovane che sia abbastanza forte da sostenere la comunità degli psicologi con le specifiche differenze e peculiarità e, al contempo, abbastanza antisismica da reggere di fronte ai cambiamenti che sono in atto nella società.

Ci sono sicuramente moltissimi altri esempi di collaborazione peer to peer. Voi ne avete in mente alcuni?




I nuovi requisiti minimi in psicologia giuridica di OPV: il re è nudo?

Ogni volta che partecipo ai convegni noto che gli incontri formativi sono interessanti non solo per l’apprendimento che ne consegue, ma soprattutto per la socializzazione fra colleghi e lo scambio di idee e di pensieri che vengono solleticati.

Sabato 20 aprile ho partecipato al convegno sulla psicologia giuridica “Un minore nella valutazione della genitorialità”.

Nonostante il tempo meteorologico non fosse dei migliori, sono contenta di aver rivisto due colleghe amiche di vecchia data e di aver conosciuto una giovane collega creativa ed intellettualmente vivace.

Quel sabato erano presenti tanti psicologi interessati all’argomento. L’aula era gremita.

Una cosa che ha attirato subito la mia attenzione è stato che i due presidenti non si sono presentati per i saluti iniziali. Pare che il nostro presidente uscente Nicolussi avesse impegni al CNOP (Consiglio Nazionale Ordine Psicologi), come riportato la dott.ssa Muraro. Pare, però, che sabato 20 aprile non ci sia stata nessuna convocazione del CNOP.

In compenso, una consigliera del nostro ordine (rappresentante il gruppo Cultura & Professione), è stata prestata dalla dott.ssa Muraro come “valletta” per portare in giro il microfono per raccogliere le domande dei colleghi. Mi chiedo: non è che la nostra consigliera fosse in cerca di pubblicità facile?

Eppure c’erano almeno cinque ragazze che, presumo, siano state pagate per svolgere il servizio di accoglienza, compreso anche portare in giro il microfono.

Con alcune colleghe ho riscontrato purtroppo anche spiacevoli anomalie relativamente al pranzo. Il buono pasto del valore di 12,00 euro che ci è stato consegnato non è stato né firmato né timbrato al momento di restituirlo per poter usufruire del buffet, come si fa normalmente con tali buoni. Che strano!

Facendo due conti, il buffet, ci è costato 3.600,00 euro ma, come ho sentito da altre persone, era dietetico: i panini erano po’ secchi e un po’ vuoti…

Non tutti hanno avuto il piacere di condividere questo pasto veloce. Alcuni dei presenti al convegno, infatti, hanno mangiato al ristorante! Che non fosse di loro gradimento il buffet o preferissero mescolarsi e integrarsi agli altri? L’unica cosa certa è che tale pranzo speciale ci è “costato” almeno 40 minuti di convegno nel pomeriggio. Questo ritardo ha sortito un malumore generale.

Nel pomeriggio i lavori sono ripresi alle 15.00. Ha preso la parola la nostra Vicepresidente per illustrare i nuovi requisiti minimi per lo psicologo che lavora in psicologia giuridica. La dottoressa Muraro, responsabile del gruppo denominato “Valorizzazione dello Psicologo consulente in ambito forense” che ha lavorato (per un anno) su questa tematica, ha spiegato che il Tribunale ha fatto richiesta al nostro Ordine di esigere un aumento della qualità della preparazione e della specializzazione degli psicologi.

La risposta del gruppo di lavoro è stata: per essere qualificati si devono frequentare corsi di psicologia giuridica strutturati in 150 ore di teoria e in 150 ore di tirocinio (gratuito per lo psicologo “apprendista”) presso psicologi già abilitati (non esiste ancora questo albo!).Strano modo di valorizzare lo Psicologo… o si è scelto in questo modo di valorizzare qualcosa d’altro? O qualcun altro?

Ascoltavo perplessa. Attualmente ci sono già i requisiti minimi per lo psicologo giuridico sono:

–       anzianità di iscrizione di almeno tre anni al nostro Ordine,

–       frequenza ad un corso di psicologia giuridica,

–       l’iscrizione all’albo del Tribunale (è competenza del giudice nominare il CTU che viene scelto liberamente tra una rosa di candidati).

Non abbiamo bisogno di un inasprimento dei criteri!

Scusate la digressione. Torniamo in aula. C’era tanto caldo. La dr.ssa Muraro finisce il suo intervento che sembra essere stato molto difficoltoso. L’aria condizionata è spenta. Vedo le colleghe che sventolano le brochure per farsi un po’ di fresco, altre che si parlano a bassa voce e una che alza la mano per fare una domanda. “Sono iscritta da poco all’Ordine. I nuovi requisiti sono obbligatori o sono auspicabili per chi opera nel settore?”

Mi è sembrato di vivere dentro la fiaba “I vestiti nuovi dell’imperatore” in cui  un bambino osserva la nudità del re durante una sfilata in pompa magna. L’imperatore, infatti, non aveva quei vestiti preziosi che aveva tanto pagato e desiderato! Vi immaginate l’imbarazzo del re all’esclamazione del bambino? Ecco. La risposta che abbiamo ascoltato conteneva lo stesso imbarazzo: i requisiti minimi non sono ancora legalmente approvati!

Mi sono alzata e sono uscita. Mentre camminavo sotto la pioggia per raggiungere il parcheggio con un collega mi sono chiesta a che cosa fosse servito creare tante specializzazioni all’interno della stessa facoltà di psicologia se poi alla fine, quando sei laureato e hai superato l’esame di stato, ti iscrivi ad un albo che ti abilita, ma ti abilita a che cosa?

Delusa e un po’ amareggiata mi sono arrabbiata con me stessa che nutro sempre la speranza (illusione?) di veder lavorare i colleghi con dignità e retribuzione. E anche perché uscendo ho consegnato il questionario di gradimento e volevano farmelo firmare.Adducendo la motivazione che se lo avevo gradito avrei ricevuto gli ECM, altrimenti no. Mi auguro di aver capito male!

Non è possibile che si dia sempre per scontato di fare lavori professionalizzanti gratuiti!L’apprendimento “in divenire” avviene anche se si è pagati!

Questo Ordine non mi rappresenta! Ammazza le mie speranze!

A me piacerebbe un Ordine formato da un gruppo di professionisti interessato a far crescere la categoriache si occupasse di aiutare praticamente gli iscritti senza pensare esclusivamente alla formazione perenne.

Smettiamola di essere il pane preferito di chi vuole formarci sempre e comunque! La nostra identità (e la nostra dignità!) è in cammino: abbiamo la formazione e il cambiamento nel dna!! Non è questo il problema.

Caro Ordine, non metterci tutti questi vincoli e blocchi perché ci mortifichi e ci penalizzi! Ma non starai mica tutelando gli interessi elitari dei colleghi senior che lavorano nelle scuole di specializzazione?!

Concludo con un pensiero a te caro collega che leggi. Ti informo che al momento i requisiti di cui parlava la nostra Vicepresidente sono ancora auspicabili. Se hai le competenze e sei iscritto da almeno tre anni all’Ordine iscriviti all’albo del Tribunale!

Sicuramente non è semplice essere chiamati, ma ti auguro un in bocca al lupo.. chissà che il giudice non ti nomini presto!!

Nel frattempo iscriviti al gruppo AltraPsicologia Veneto su facebook: insieme proviamo a costruire un nuovo panorama vivibile per tutti! Ti aspettiamo.




Un altro psicologo è possibile?

Durante le belle giornate di sole è possibile trovare in ogni giardino delle formiche operose che viaggiano insieme trasportando cose per loro pesantissime e riuscendo a costruire in gruppo dei cumuli simili a montagne, i loro formicai, in cui lavorano e vivono. Le formiche sono tante, tutte dedite alla vita sociale. Tutte attive. Non si può dire la stessa cosa degli psicologi.

La situazione infatti per molti non è appagante: alcuni psicologi sono inseriti dove serve, operano con passione e dedizione, ma pochi sono riconosciuti con una retribuzione adeguata.

Questo è un lato della medaglia.

L’altro lato vede gli psicologi assenti in quella fascia di mercato in cui c’è una richiestache ha bisogno di un’energia e di una pubblicità mirata e strutturata per essere soddisfatta. Accade, quindi, purtroppo che la domanda ci sia, ma venga accolta il più delle volte da altre professionalità (ad esempio coach, filosofi, counselor…).

Vista la situazione possiamo percorrere due strade:

  1. definire cosa è di competenza esclusiva dello psicologo facendo unamodifica di legge (si vedano gli articoli nella sezione apposita del sito di AltraPsicologia http://www.altrapsicologia.com/tutela-psicologo/);
  2. puntare sulla promozione delle competenze dello psicologo.

Per arrivare a destinazione, ossia per creare un altro-psicologo, occorre percorrerle entrambe. La prima, infatti, è una strategia di difesa perché si concentra a spiegare l’essenza stessa dello psicologo e le sue specificità creando una pista di lancio su cui partire; la seconda, invece, implica un attacco, un’azione che vede ogni psicologo impegnato a farsi conoscere nel campo e tra la gente.

Questo processo di individuazione dello psicologo deve essere accompagnato, sostenuto e promosso dagli Ordini Regionali perché ci si può consolidare e rafforzare innanzitutto grazie alla presenza di luoghi chiave aperti (reali o virtuali) in cui gli psicologi possano non solo riconoscersi, ma anche conoscersi e condividere idee e progetti da realizzare insieme.

Ma… c’è un ma…

La realtà ci mostra, invece, come ci sia un’impasse“mentale” difficilmente superabile.Sembra infatti che gli psicologi (probabilmente anche quelli che ci rappresentanoall’interno dell’Ordine del Veneto) vogliano proteggere l’icona “perfetta” della loro professionalità (caratterizzata dallo stile, dalla pacatezza, dall’osservazione e marginalmente vincolata dalle dinamiche della politica) senza imbrattarla per adattarla alle esigenze della quotidianità e della società. Come se in realtà non si volesse disonorare la propria immagine. Questa è un’assurdità: non viviamo in un mondo ideale, in un empireo lontano e distante dal Pianeta Terra.

Ed è un concezione di sé limitante, di cui dovremmo consapevolizzarci e su cui dovremmo riflettere perstimolare in noi stessi l’apertura a nuove possibilità evolutive.

E’ vero che gli psicologi che oggi cercano di inserirsi nel mondo del lavoro sono figli dello spirito del tempo in cui si sono formati, ovvero dell’università e di tirocini teorici che sono lontani dall’apprendimento pratico. Ma è vero anche che sembriamo di fronte ad un paradosso: come professionisti ci si offre di aiutare gli altri ad elaborare, ad accettare per cambiare e vivere meglio, ma si fatica ad emanciparsi da una concezione che non trova uno spazio fisicoe mentale per un ingresso operativo nel mondo professionale.

Gli psicologi sembrano essere “vittime”della loro immagine perfetta e poco flessibile, che non ha bisogni “in carne ed ossa”e che quindinon consente di nutrirsi né, di conseguenza, di crescere. La nostra categoria sta introiettando sottomessa questo ruolo “angelico” preconfezionato e non cerca soluzioni alternative per presentarsi in modo differente.

Vi ricordate il film “Matrix” in cui al protagonista veniva chiesto che tipo di vita decidessedi vivere? La scelta era tra una vita vera e difficile, ma sicuramente attiva ed avventurosa, e una vita sicura, bella, ma finta. Ho l’impressione che gli psicologiche vogliono lavorare con la “vita vera” abbiano una certa reticenza a fare del bene per denaro perché vivono la diffusione promozionale e il guadagno come un imbroglio o uno sfruttamento della sofferenza altrui.

E invece bisognerebbe iniziare a mettere un con-fine. Si deve mettere la parola fine alla “svendita” degli psicologi o al “volontariato” a tempo indeterminato per tentare di emergere: la situazione non può migliorare se non è la categoria a cambiare per prima, Ordine del Veneto compreso. Sarebbe importante e necessario che ci si focalizzasse di più sulleproblematiche pratiche trovando idee originali per ridurre la distanza tra gli psicologi e l’Ordine, e la distanza tra le problematiche quotidiane della gente e gli psicologi.

Bisogna mettere in contatto la psicologia con la realtà, facendola uscire dai libri. Gli psicologi per primi devono farlo.  E se desiderano essere più influenti perché la strada che percorsa fino ad ora è poco vantaggiosa, occorre provare a fare qualcosa che non è ancora stato fatto con risolutezza.

Per costruirsi una posizione nel mondo del lavoro va presa una posizione chiara, netta e coraggiosa. Non si tratta di recitare una parte o di sentirsi finti perché si interpreta un modello come fanno alcuni coach che risultano poco realistici.

Bisogna, semplicemente, personificare noi stessi.

Credo che iniziare a pensare a come modificare l’atteggiamento e il modo in cui ci si propone possa essere il primo passo.

E voi cosa ne pensate? Sapete coniugare teoria e realtà? Sapete che lavoro fate o volete fare? Avete un obiettivo chiaro da raggiungere o costruire?

Mi piacerebbe sentire la vostra opinione.




Un altro psicologo è possibile?

Durante le belle giornate di sole è possibile trovare in ogni giardino delle formiche operose che viaggiano insieme trasportando cose per loro pesantissime e riuscendo a costruire in gruppo dei cumuli simili a montagne, i loro formicai, in cui lavorano e vivono. Le formiche sono tante, tutte dedite alla vita sociale. Tutte attive. Non si può dire la stessa cosa degli psicologi.

La situazione infatti per molti non è appagante: alcuni psicologi sono inseriti dove serve, operano con passione e dedizione, ma pochi sono riconosciuti con una retribuzione adeguata.

Questo è un lato della medaglia.

L’altro lato vede gli psicologi assenti in quella fascia di mercato in cui c’è una richiesta che ha bisogno di un’energia e di una pubblicità mirata e strutturata per essere soddisfatta. Accade, quindi, purtroppo che la domanda ci sia, ma venga accolta il più delle volte da altre professionalità (ad esempio coach, filosofi, counselor…).

Vista la situazione possiamo percorrere due strade:

  1. definire cosa è di competenza esclusiva dello psicologo facendo unamodifica di legge (si vedano gli articoli nella sezione apposita del sito di AltraPsicologia http://www.altrapsicologia.com/tutela-psicologo/);
  2. puntare sulla promozione delle competenze dello psicologo.

Per arrivare a destinazione, ossia per creare un altro-psicologo, occorre percorrerle entrambe. La prima, infatti, è una strategia di difesa perché si concentra a spiegare l’essenza stessa dello psicologo e le sue specificità creando una pista di lancio su cui partire; la seconda, invece, implica un attacco, un’azione che vede ogni psicologo impegnato a farsi conoscere nel campo e tra la gente.

Questo processo di individuazione dello psicologo deve essere accompagnato, sostenuto e promosso dagli Ordini Regionali perché ci si può consolidare e rafforzare innanzitutto grazie alla presenza di luoghi chiave aperti (reali o virtuali) in cui gli psicologi possano non solo riconoscersi, ma anche conoscersi e condividere idee e progetti da realizzare insieme.

Ma… c’è un ma…

La realtà ci mostra, invece, come ci sia un’impasse“mentale” difficilmente superabile. Sembra infatti che gli psicologi (probabilmente anche quelli che ci rappresentanoall’interno dell’Ordine del Veneto) vogliano proteggere l’icona “perfetta” della loro professionalità (caratterizzata dallo stile, dalla pacatezza, dall’osservazione e marginalmente vincolata dalle dinamiche della politica) senza imbrattarla per adattarla alle esigenze della quotidianità e della società. Come se in realtà non si volesse disonorare la propria immagine. Questa è un’assurdità: non viviamo in un mondo ideale, in un empireo lontano e distante dal Pianeta Terra.

Ed è un concezione di sé limitante, di cui dovremmo consapevolizzarci e su cui dovremmo riflettere perstimolare in noi stessi l’apertura a nuove possibilità evolutive.

E’ vero che gli psicologi che oggi cercano di inserirsi nel mondo del lavoro sono figli dello spirito del tempo in cui si sono formati, ovvero dell’università e di tirocini teorici che sono lontani dall’apprendimento pratico. Ma è vero anche che sembriamo di fronte ad un paradosso: come professionisti ci si offre di aiutare gli altri ad elaborare, ad accettare per cambiare e vivere meglio, ma si fatica ad emanciparsi da una concezione che non trova uno spazio fisicoe mentale per un ingresso operativo nel mondo professionale.

Gli psicologi sembrano essere “vittime”della loro immagine perfetta e poco flessibile, che non ha bisogni “in carne ed ossa”e che quindinon consente di nutrirsi né, di conseguenza, di crescere. La nostra categoria sta introiettando sottomessa questo ruolo “angelico” preconfezionato e non cerca soluzioni alternative per presentarsi in modo differente.

Vi ricordate il film “Matrix” in cui al protagonista veniva chiesto che tipo di vita decidessedi vivere? La scelta era tra una vita vera e difficile, ma sicuramente attiva ed avventurosa, e una vita sicura, bella, ma finta. Ho l’impressione che gli psicologiche vogliono lavorare con la “vita vera” abbiano una certa reticenza a fare del bene per denaro perché vivono la diffusione promozionale e il guadagno come un imbroglio o uno sfruttamento della sofferenza altrui.

E invece bisognerebbe iniziare a mettere un con-fine. Si deve mettere la parola fine alla “svendita” degli psicologi o al “volontariato” a tempo indeterminato per tentare di emergere: la situazione non può migliorare se non è la categoria a cambiare per prima, Ordine del Veneto compreso. Sarebbe importante e necessario che ci si focalizzasse di più sulle problematiche pratiche trovando idee originali per ridurre la distanza tra gli psicologi e l’Ordine, e la distanza tra le problematiche quotidiane della gente e gli psicologi.

Bisogna mettere in contatto la psicologia con la realtà, facendola uscire dai libri. Gli psicologi per primi devono farlo.  E se desiderano essere più influenti perché la strada che percorsa fino ad ora è poco vantaggiosa, occorre provare a fare qualcosa che non è ancora stato fatto con risolutezza.

Per costruirsi una posizione nel mondo del lavoro va presa una posizione chiara, netta e coraggiosa. Non si tratta di recitare una parte o di sentirsi finti perché si interpreta un modello come fanno alcuni coach che risultano poco realistici.

Bisogna, semplicemente, personificare noi stessi.

Credo che iniziare a pensare a come modificare l’atteggiamento e il modo in cui ci si propone possa essere il primo passo.

E voi cosa ne pensate? Sapete coniugare teoria e realtà? Sapete che lavoro fate o volete fare? Avete un obiettivo chiaro da raggiungere o costruire?

Mi piacerebbe sentire la vostra opinione.