Secondo te, qual è il comportamento elettorale degli psicologi?

Siamo già in periodo elettorale. La cosa ci riguarda da vicinissimo come professionisti (per gli iscritti all’ENPAP si vota dal 26 Gennaio al 1 Febbraio 2013 per il rinnovo degli organi dirigenti) e come cittadini (24 Febbraio per le elezioni politiche).

La mia riflessione parte dalle seguenti considerazioni: la vulgata dei sondaggisti sul comportamento elettorale della popolazione generale dice che l’elettorato effettivo, al netto degli astenuti, si divide grosso modo in:

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  • 1/3 di elettori che votano decisi secondo le proprie convinzioni,
  • 1/3 di elettori che votano facendosi influenzare dalla campagna elettorale,
  • 1/3 di elettori che vota in maniera estemporanea decidendo all’ultimo momento.

Ed allora mi sono domandato: come si comportano gli psicologi durante le elezioni? Come votano? Quanti votano e quanti si astengono? Mi limito qui a esprimere sulla base delle mie conoscenze la mia previsione standard su come il voto degli psicologi si sia fin qui discostato dalle previsioni dei sondaggisti (nelle elezioni interne alla categoria), ecco la mia “torta”:

 

Naturalmente queste sono solo le mie stime, assolutamente arbitrarie e falsificabili, basate sulle elezioni passate, dalle quali si evince come con una percentuale minima (basta controllare la maggioranza di quel 5% degli elettori già decisi) è possibile controllare e occupare militarmente ogni piega della professione. Ed infatti è quanto a grandi linee è accaduto in questi primi 23 anni di ordinamento (con le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti).

Ma vediamo più nel dettaglio da cosa nasce questa (orribile) previsione.

Facciamoci qualche domandina.

Domanda 1: è vero che gli psicologi per loro habitus professionale sono mediamente più razionali e perciò il loro voto è più “esatto” ed esprime una posizione più equilibrata?

Falso. Gli psicologi non sono più razionali, non sono più informati, non sono meno emotivi, meno impulsivi della popolazione generale. In genere non hanno facile accesso alle informazioni scientifiche che sarebbero anche di loro pertinenza che li aiuterebbero a decidere per il meglio (vedi ad esempio Barbara Collevecchio – nostra blogger – in un interessantissimo post sul Fatto online dove ci illustra il fact checking). Sono influenzabili, controllabili, manipolabili tanto quanto tutti gli altri.

Domanda 2: è vero che gli psicologi, grazie ad una maggiore conoscenza dell’animo umano, hanno più coscienza politica e manifestano più esplicitamente di altri il bisogno di occuparsi del bene comune anche attraverso una loro rappresentanza politica?

Falso. Si considerino i seguenti fatti:

La percentuale degli astenuti agli appuntamenti elettorali interni alla professione (votazione per il rinnovo dei consigli degli Ordini regionali e rinnovo dei consigli dell’ENPAP) oscilla tra il 75-80%. Sembrerebbe proprio che gli psicologi farebbero allegramente a meno di ogni rappresentanza politica interna. Ma intanto la subiscono (e come la subiscono!).

La presenza di esponenti della categoria in ambiti politici pubblici (Parlamenti nazionali, regionali, europei, etc,) può essere un altro indicatore, ebbene mai uno psicologo è stato eletto al Parlamento italiano e altrettanto mi risulta altrove (spero in smentite) e anche qui sembrerebbe proprio che gli psicologi farebbero altrettanto allegramente a meno di ogni rappresentanza politica nazionale. Inoltre gli psicologi tendono a dubitare (e a non votare) dei loro colleghi quando si presentano.

Domanda 3: è vero che gli psicologi che conoscono l’animo umano e quindi i limiti dell’individualismo, conoscono bene i vantaggi dei comportamenti collaborativi, cooperativi, sanno quindi facilmente fare squadra?

Falso. È sotto gli occhi di tutti quali e quante difficoltà incontrino gli psicologi a sentirsi parte di gruppalità, di reti professionali finalizzate ad obiettivi lavorativi o sociali. Piuttosto sembrano prediligere gruppalità a forte contenuto di affiliazione/dipendenza, con componenti di affettività familistica. Infatti, non sono rare purtroppo le derive settarie di tali configurazioni così fortemente connotate da queste affettività, ed è una caratteristica italiana il provincialismo, il tribalismo, il clientelismo delle migliaia di organizzazioni formative e associative della professione, l’un contro l’altra armata.

Sembrerebbe proprio che gli psicologi nel loro comportamento elettorale siano stati fin qui mediamente:

  • non particolarmente informati e attenti
  • non particolarmente orientati
  • non particolarmente cooperativi
  • non particolarmente immunizzati da fattori emotivi/affiliativi

Ogni sistema clientelare conta fermamente su altissime percentuali di astenuti e sulle minime fluttuazioni, sui minimi spostamenti, di elettori astenuti ed elettori incerti o estemporanei. Questo è il modo migliore per esercitare il controllo sull’elettorato ben disinformato, ben anestetizzato e manipolabile da piccole percentuali.

Se viceversa gli psicologi andassero a votare in massa, tutte le previsioni si smentirebbero, il sistema clientelare si scardinerebbe e crollerebbe in un sol colpo.

Questo è vero anche sul piano politico più generale.

Tu, invece, che previsione fai?




Essere complici delle "Stamperie"

Senza girarci intorno con le parole, scrivo questo post in uno stato di franca incazzatura, e prego chi lo leggerà di tenerne conto e di fare la tara a quanto segue.

Abbiamo appena saputo che il Presidente del nostro ente di previdenza, l’ENPAP, Arcicasa (AUPI-Costruire Previdenza) risulta indagato per truffa aggravata nella nota inchiesta relativa alla compravendita del palazzo in via della Stamperia a Roma. E la cosa, diversamente da molti colleghi che esprimono una sorta di sterile e vendicativa soddisfazione, non mi fa affatto piacere. Io provo vergogna, mi vergogno profondamente, come psicologo e come professionista appartenente ad una categoria che esprime una classe dirigente come questa.

Amministrare le istituzioni per un mero esercizio di potere e farlo occupandole militarmente troppo a lungo fa male alla salute di chi si specializza in questo esercizio, fa malissimo soprattutto ai cittadini amministrati. Ed inoltre getta discredito ad una professione che certamente già non gode di grande prestigio sociale.

In un altro post segnalavo la catastrofe culturale del nostro paese nel quale sembra essersi compiuta una sorta d’identificazione metafisica tra sfruttatore e sfruttato. Detto in altri termini, una sindrome di stoccolma di proporzioni ontologiche per la quale per un verso si è realizzata una totale anestetizzazione della coscienza politica e civica, della partecipazione democratica, per un altro verso la complicità psicologica dello sfruttato verso l’opportunismo dello sfruttatore è diventata talmente profonda da disinnescare qualunque conseguenza dell’indignazione pubblica, in genere transitoria e impotente.

Gli individui che OVUNQUE s’insediano parassitariamente nelle istituzioni con queste premesse, sentendosi impuniti e non controllati da alcuno, e che si ritrovano coinvolti in scandali, indagini e robette del genere, sono di fatto trascinati da meccanismi di ordinario abbrutimento, di adesione collusiva a consuetudini an-etiche che prima o poi diventano seri problemi giudiziari. Non so se sia questo il caso del Dr. Arcicasa, mi auguro per lui e per noi che non vi sia nulla a suo (e nostro) carico, anche se temo il peggio.

Gli unici antidoti a questo andazzo sono da un lato attivare dei meccanismi virtuosi di controllo, di trasparenza e di garanzia, da parte degli amministrati e dall’altro andare a votare una classe dirigente alternativa e più virtuosa e mandare a casa la vecchia.

Nessuno dei due antidoti è stato mai assunto dagli psicologi, i quali da un lato delegano da sempre passivamente (mosciamente) la loro rappresentanza e quando va bene riescono solo ad esprimere una lamentatio o il solito sfogo rabbioso pantoclastico e qualunquistico quasi sempre privo di qualunque logica e fondamento informativo e dall’altro continuano imperterriti ad astenersi alle votazioni in una indegna percentuale bulgara del 75-80%. Praticamente dei totali irresponsabili.

Ed allora, non sono arrabbiato solo col Presidente Arcicasa che al momento si ritrova in una faccenda giudiziaria e che per questo motivo merita solo la mia umana compassione e che ci trascina tutti nel discredito e nella vergogna, non sono solo MOLTO arrabbiato con l’associazione che lo esprime come nostro rappresentante (l’AUPI, lo storico sindacato dei colleghi pubblici), io sono letteralmente incazzato con il 75-80% dei colleghi che non va a votare e che fa finta cha questi fatti non riguardino loro e soprattutto che lascia il comando della nostra categoria alle solite consorterie e clientele (che con meno del 5% di pacchetti di voti governano tutto e tutti).

E’ all’ingavia di questi grandi numeri che bisogna assegnare la responsabilità di questa umiliante vicenda. Una evidente complicità che ritengo inaccettabile. Basta con i soliti idioti portatori d’acqua con le orecchie di cui siamo stracolmi come categoria.  E dunque colleghi:

  1. Cominciate ad informarvi
  2. Cominciate a partecipare
  3. Cominciate ad uscire dalle logiche clientelari e raddrizzate la schiena (e le natiche) se vi riesce.
  4. Piantatela di esaurire in inutili sfoghi rabbiosi pantoclastici e qualunquistici la vostra indignazione
  5. Alzate le terghe e scomodatevi per andare a votare

Adesso non avete più scuse




Taranto, la tromba d’aria, il mito, l’attualità

Una tromba d’aria sull’Ilva durante i giorni del conflitto tra magistratura e governo per la risoluzione dei decennali crimini che gravano sulla popolazione tarantina, non è certamente una semplice coincidenza.

Non temete per me, non ho un delirio in corso. Dopo molti anni di frequentazione del pensiero delirante, dei suoi nessi incongrui, le estrapolazioni ed interpolazioni tra fatti indipendenti, le sovrainterpretazioni della realtà, non corro questo pericolo, e questa mia affermazione non vuole avere alcun valore scientifico, ma solo mitografico.
Fatta salva la mia salute mentale (forse), il mio pensiero è andato immediatamente, grazie ai miei sopiti studi classici, all’episodio di Laocoonte narrato nell’Eneide. Egli, sacerdote troiano di Apollo, si scagliò violentemente contro l’introduzione nelle mura della città di Troia del noto cavallo di legno che gli Achei avevano costruito e lasciato sulla spiaggia fingendo di abbandonare l’assedio. Ecco cosa dice il veggente secondo la versione di Virgilio:

“O miseri, di che natura è questa così grande follia, cittadini? Credete partiti i nemici? O ritenete [forse] che qualche dono dei Danai manchi di inganni? È così noto Ulisse? O gli Achei si celano dentro al legno, oppure questa macchina da guerra è stata fabbricata contro i nostri muri, per spiare le case e per essere sopra la città, oppure c’è qualche altro inganno; non credete al cavallo, oh Teucri. Qualunque cosa sia, temo i Danai anche se portano doni.”. Æneïs (II, 40-56)

Laocoonte a seguito di questa presa di posizione che rischiava di mandare all’aria il progetto di Ulisse e soci, di lì a poco fa una brutta fine. Durante un sacrificio, ad un certo punto dal mare vengono fuori due enormi serpenti (mandati da Atena) che avviluppano e stritolano i suoi due bambini gemelli e lui stesso assieme a loro accorso nel tentativo di salvarli. Vengono tutti orrendamente trascinati nel mare. I troiani interpretano (male) questo come un segno della volontà divina di accettare il dono. Poi si sa come va a finire…

Le analogie tra le vicende narrate dalla mitologia e quelle dell’attualità riguardanti la città di Taranto sono impressionanti, tanto da pensare al mito come ad una struttura narrativa ricorsiva (anche nella storia) che rimanda a sua volta a precise ricorsività. In questo caso la storia che si ripete è quella di un grande inganno sostenuto da forzature legate ad interessi generali che travolgono quelli locali.

Vediamo nel dettaglio:

Ciò che non vi ho ancora detto è che non sono un osservatore neutrale, sono nato a Taranto e vi ho vissuto i miei primi 18 anni, proprio nel famigerato e miasmatico rione Tamburi, poi mi sono trasferito per studiare a Roma e vi sono rimasto. Voglio dire: conosco abbastanza lo spirito dei luoghi di cui parlo.
Taranto è città antica, greca, cara a Dioniso, dove la cultura popolare è intrisa di un fatalismo imparentato con il senso tragico della vita che riserva a chi è abituato da sempre a subire (da Pirro in poi). C’è qualcosa di dignitoso in questo fatalismo che è anche resilienza, che raramente ho visto altrove, e che emerge da tutte le interviste che si osservano in tv ad operai e cittadini tarantini. Naturalmente l’altro lato della medaglia, quello oscuro, di questo fatalismo è la passività e l’omertà che da sempre caratterizzano mentalità e istituzioni locali.

È proprio qui che, non a caso, è nato l’ecomostro che parassita la comunità locale in cambio di lavoro e PIL da 50 anni. Ma senza produrre una vera ricchezza, una vera crescita civile e culturale. Taranto è una ultraperiferia del peggiore tardocapitalismo, una Bhopal nata nel silenzio generale nei confini nazionali.
Alcuni magistrati vorrebbero cambiare questa tristissima storia e risollevare la testa (e permettere alla loro comunità di fare altrettanto), ma si trovano di fronte a forze “soprannaturali”, detto in altri termini, a ostacoli storici talmente sedimentati che quella tromba d’aria, come ha giustamente detto un operaio da Santoro, con il tempismo con il quale è sopraggiunta è da intendersi come una metafora.
Ma questa volta il segno andrebbe interpretato correttamente e non come fecero erroneamente e tragicamente i troiani.




Gli psicologi diversamente digitali

Qualcuno, non ricordo chi, un giorno mi spiegò che se mostri ad un indio dell’amazzonia che non ha mai avuto rapporti con la nostra civiltà una foto dove in primo piano c’è un uomo e sullo sfondo il landscape di una megalopoli come New York con i grattacieli, ebbene quell’indio non riesce a distinguere alcuna figura umana, ma probabilmente osserva un’accozzaglia indistinta di linee e colori.

Quell’indio non è affatto un idiota, come qualcuno superficialmente potrebbe pensare, semplicemente la sua percezione è strutturata su paesaggi molto diversi dai nostri e non concepisce scenari mai visti, e dunque mentre ti distingue un’impercettibile sfumatura di colore di una foglia a distanza di 100 metri, non riconosce la figura umana sullo sfondo di una città (magari coperto di fango e foglie e sullo sfondo di una foresta, si).

Non riesco a pensare ad un accostamento migliore di questo per dire delle ragioni dello sconsolante analfabetismo che incontro con alta frequenza tra i colleghi, purtroppo di ogni età, in materia tecnologie digitali, web, social network, etc.

Affermazioni quali “ma quando passo il mouse sulle parole e diventa ditino cosa vuol dire?” (collega che riceveva da anni le newsletter di un’associazione che mai aveva aperto); o come “ma io sono autorizzato rispondere alle email che mi arrivano?” (collega partecipante ad una mailing list); o un’altra collega che scrive tutto il contenuto della missiva nello spazio destinato all’”oggetto”, che diventa perciò chilometrico; o ancora un altro collega che risponde con una imbufalita email dopo aver ricevuto la risposta automatica di una petizione online perché in inglese e non nella lingua patria (un vero patriota). Ne potrei raccontare tantissimi di aneddoti, ma ho attivato un meccanismo di oblio automatico, certamente difensivo.

Poi ci sono quei colleghi, spesso giovani, che quando dici loro di cose che accadono sul web, ti rispondono più o meno con lo stesso stridulo corredo emotivo e la stessa sudarella di chi ha aperto la porta dei propri genitori mentre copulano: “oh, no, signora mia, internet è un ambiente di psicopatici, per carità, io non ci vado”.

Vi assicuro che nessuno di questi esimi colleghi è tecnicamente parlando un idiota (diciamo su una posizione non-estrema della curva di Gauss), in genere sono stimabilissimi professionisti, si tratta soltanto di diversamente digitali, cioè di persone che non conoscono il territorio e le regole che lo presiedono, ma si muovono come antichi romani ad una rave party, come la Binetti ad un appuntamento al buio, come Totò e Peppino a piazza del Duomo. Non è colpa loro, poretti, sono nati soltanto un’era fa, cioè non sanno che la psiche collettiva si è riposizionata e ri-ambientata in questi ultimi 15 anni altrove (nella fascia 11-44 anni le percentuali di uso del pc, nel 2010-11, vanno dall’80 al 90%) e quindi sono come quell’oratore che mentre legge enfaticamente un erudito discorso davanti ad una platea, non si accorge che si sono trasferiti tutti nella sala accanto a strafogare il buffet. E quando dico un’era fa, mi riferisco a tutti coloro nati prima degli anni ’90.

Non vorrei apparire troppo spaccone, l’ironia nasconde solo una piccola quota di sconforto categoriale, io stesso sono una semi-pippa, fino a qualche anno fa avrei fatto la figura dell’ignorantone, solo che nel frattempo mi sono incuriosito di questi nuovi mondi, e anche se ora passo come una specie di semi-divinità tecnocratica presso molti miei colleghi, sono in realtà solo un comunissimo smanettone, molto ignorante (ma rimanga fra di noi, preferisco che continuino a pensarlo, mi sento come Colombo con i nativi americani: poche perline colorate e sono tutti contenti).

La psiche collettiva s’è riposizionata, dicevo, nel web, ma ancora troppi psicologi sono in retroguardia a dare scossoni ai pc come si faceva una volta con i televisori a valvole. Alcuni si rifiutano di comprarselo, altri di accenderlo e usarlo. Troppi ancora sfoderano crocifissi a mo’ di esorcismo.

Molti altri per fortuna invece si applicano e combattono i loro atavismi antropologici formandosi e informandosi, facendosi aiutare, applicandosi, come ad esempio mi sta capitando in queste settimane con un caro collega senior ultra settantenne, in verità già frequentatore di spazi web da molti anni, che s’è messo in testa di imparare a usare WordPress per fare un sitarello semplice-semplice (costruire un sito è un’esperienza che consiglio a tutti). Sono settimane che gli sto pazientemente appresso mostrandogli tutti i segreti di questo sistema e lui mi sta indirettamente insegnando a capire che la sua non è cattiva volontà, pigrizia, o deficit cognitivo nel momento in cui non vede ciò che gli sta proprio sotto il naso: è proprio un veto esplorativo oggettivo legato alla sua provenienza non-digitale. Proprio come nella storiella dell’indio e della foto.




Diamo inizio all'Agorà degli Psicologi

Ebbene, credo che ve ne siate accorti: questo sito è cambiato.

Come potete osservare, nel lato sinistro della home page abbiamo inserito l’area blogger, l’area di libera parola e libero scambio. Blogger che provengono dall’interno della professione, altri da altre professioni, limitrofe e non, blogger improvvisati, blogger di lungo corso, blogger più o meno famosi, altri per nulla. Tutti a convergere qui in questo nuovo spazio, ma a fare cosa?

A parlare di tutto, a discutere delle notizie di cronaca, di costume, a parlare dei tanti problemi della professione, delle prospettive, del futuro, a riflettere su tematiche sociali, politiche, filosofiche, ambientali, talora a a scherzare, a prenderci poco sul serio, ad usare l’insostituibile arma dell’ironia, o viceversa ad affrontare tematiche serissime. Tutti i registri comunicativi sono i benvenuti. Insomma tutti insieme ad usare questa nuova agorà per consentire che gli psicologi si autorizzino a parlare in maniera non neutrale di tutto e non necessariamente in quanto psicologi, ma certamente non prescindendo dall’esserlo, ma anche per consentire che altri blogger, provenienti da ambienti diversissimi, parlino agli psicologi dei loro temi, ed essi imparino ad ascoltarli. L’idea non è nuova, il modello di alcune testate giornalistiche (la prima fu l’Huffington Post, ora anche in Italia, e poi ripresa da altri), quello di dare libera parola alla società civile su qualunque tema e in totale autonomia.

Uno spazio di apertura, comunicativa, culturale, mentale. Una camera di ossigenazione dei nostri neuroni. Un’area di libertà priva di censura. Uno spazio di osmosi e di dibattito, di contaminazioni, di perdita e ricerca d’identità. Un’agorà di incontro, di scambio, di apprendimento. Tutto questo e molto altro ancora vogliamo che sia questo flusso di articoli che si alterneranno qui, sulla sinistra del sito di AltraPsicologia, popolato da decine di blogger.

Io mi limiterò a coordinare nel modo più leggero possibile, ed avrò anche io un mio spazio alla pari di tutti gli altri blogger.

Partiamo in sordina senza ancora avere un’idea precisa di chi parteciperà al nostro progetto perché vogliamo darci il tempo di scegliere i nostri interlocutori, ma vogliamo soprattutto essere scelti, ricevere proposte interessanti, come idee e come categoria professionale (ricordiamo che questo sito è di gran lunga il più letto della categoria e raggiunge oltre 60.000 colleghi e non solo). Molti si aggiungeranno strada facendo dunque.

Staremo a vedere cosa succede. E confidiamo che anche tutti voi siate come me curiosi di assistere all’evoluzione di questa agorà.

Buona lettura e buon inizio a tutti noi!