Referendum C. D.: Quel ‘di più’ che equivale al ‘meno’

Sapevamo bene che sul nostro Codice Deontologico, prima o poi, si sarebbe dovuto intervenire per tre questioni principali.

La prima. L’adeguamento alle disposizioni in materia di consenso informato dettate dalla legge 219/2017 tenendo conto del diritto alla valorizzazione delle capacità di comprensione e decisione della persona minore che deve ricevere informazioni sulle scelte relative alla propria salute. Un adeguamento reso ancora più urgente dall’inserimento della psicologia tra le professioni sanitarie con la Legge 3/2018, la ‘Lorenzin’ per intenderci.

La seconda. La risoluzione del rischioso disallineamento con quanto prescritto dal Codice di Procedura Penale in tema di segreto professionale, principalmente nella formulazione dell’art.12 del Codice Deontologico in cui sembra che la rivelazione in giudizio del segreto professionale sia consentita esclusivamente in presenza di liberatoria da parte della persona interessata, dimenticando che l’art. 200 comma 2 lettera c) del Codice di Procedura Penale, consente al Giudice di ordinare al/alla professionista di testimoniare se ha motivo di dubitare che la dichiarazione resa da tali persone per esimersi dal deporre sia infondata.

La terza. La necessità di dotare il nostro Codice di una presentazione lessicale inclusiva (Il Codice Deontologico delle Psicologhe e degli Psicologi) e aggiornata, sostituendo termini ormai desueti come ad esempio ‘potestà genitoriale’.

Insomma tre questioni puntuali di adeguamento alle leggi vigenti e ad una forma inclusiva. Non un semplice intervento di maquillage, ma neanche un totale stravolgimento. Di certo un aggiornamento logico e necessario dopo quasi 25 anni da quel 16 febbraio 1998 in cui il nostro Codice entrò in vigore.

E invece, sorpresa!

Nel leggere la proposta da sottoporre a referendum, accanto agli aggiornamenti citati, ci ritroviamo di fronte interventi di trasformazione profonda che toccano punti nevralgici dell’impalcatura etica, che finiscono per depotenziare dispositivi importanti in materia di tutela, che introducono premesse di principio di cui non si comprendono bene le modalità di applicazione, che aprono un pericoloso spazio alla discrezionalità in tema di sanzioni disciplinari.

Vediamo alcuni esempi.

IL FONDAMENTO ETICO

Mi è capitato di recente di tenere degli incontri di approfondimento per futuri colleghi, tirocinanti in via di abilitazione. Ero solito iniziare questi laboratori con una riflessione: “Secondo voi qual è l’articolo più importante del nostro Codice Deontologico?”

Nelle risposte alcuni punteggiavano sugli articoli che regolamentano il segreto professionale (dall’art.11 al 17); altri si concentravano sulla consapevolezza dei limiti delle nostre competenze (art.37) e del nostro operato, come sancito ad esempio dall’art. 5 che ci ricorda di usare solo ed esclusivamente strumenti teorico-pratici che sappiamo maneggiare o come prescritto dall’art. 27 che impone allo psicologo la valutazione dell’interruzione del rapporto professionale qualora si ravvisi che il paziente non trae alcun beneficio dal trattamento; altri ancora si soffermavano sugli articoli che richiamano al rispetto dei principi di dignità, autonomia e autodeterminazione come nell’art.18  che ci ricorda di tutelare la libertà di scelta della persona rispetto al professionista a cui rivolgersi.

Alla fine del brainstorming facevo notare ai tirocinanti che nell’art. 4 dell’attuale Codice Deontologico sono sintetizzati tutti questi aspetti come norme generali, come principi da seguire e da applicare ad ogni situazione specifica. Del resto le norme generali servono proprio a questo, ad estendere i precetti a tutti i casi particolari che un articolato ovviamente non sempre può dettagliare.

L’attuale art.4

Nell’esercizio della professione, lo psicologo rispetta la dignità, il diritto alla riservatezza, all’autodeterminazione ed all’autonomia di coloro che si avvalgono delle sue prestazioni; ne rispetta opinioni e credenze, astenendosi dall’imporre il suo sistema di valori; non opera discriminazioni in base a religione, etnia, nazionalità, estrazione sociale, stato socio-economico, sesso di appartenenza, orientamento sessuale, disabilità.

Lo psicologo utilizza metodi e tecniche salvaguardando tali principi, e rifiuta la sua collaborazione ad iniziative lesive degli stessi.

Quando sorgono conflitti di interesse tra l’utente e l’istituzione presso cui lo psicologo opera, quest’ultimo deve esplicitare alle parti, con chiarezza, i termini delle proprie responsabilità ed i vincoli cui è professionalmente tenuto.

 In tutti i casi in cui il destinatario ed il committente dell’intervento di sostegno o di psicoterapia non coincidano, lo psicologo tutela prioritariamente il destinatario dell’intervento stesso.

Riservatezza, autonomia, dignità, autodeterminazione, limiti delle proprie responsabilità…insomma abbiamo tutto! L’art. 4 è una mirabile opera di sintesi dei doveri delle psicologhe e degli psicologi e al tempo stesso sancisce la connotazione laica della nostra professione (non possiamo in alcun modo imporre il nostro sistema di valori nel prestare il nostro lavoro), ci ricorda che nei casi in cui il committente non corrisponda all’utente siamo tenuti a tutelare prioritariamente il destinatario finale del nostro intervento e soprattutto si ispira alla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani dell’Assemblea Generale dell’Onu, scrivendo a chiare lettere che psicologhe e psicologi hanno il dovere di ripudiare tutte le forme di discriminazione.

L’art. 4 è la nostra presentazione alla società, ciò che ci definisce e ci rende riconoscibili, la nostra Carta di Identità.

Veniamo invece alla proposta che verrà sottoposta a referendum.

Articolo 4 – Principio del rispetto e della laicità

Già dal titolo si intuisce come gli estensori della proposta abbiano deciso di conservare solo due dei tanti e sacrosanti principi contenuti nell’articolo 4: il rispetto e la laicità, con buona pace di tutto il resto.

La psicologa e lo psicologo, nella fase iniziale del rapporto professionale, forniscono all’individuo, al gruppo, all’istituzione o alla comunità, siano essi utenti o committenti, informazioni adeguate e comprensibili circa le proprie prestazioni, le finalità e le modalità delle stesse, nonché circa il grado e i limiti giuridici della riservatezza.

Ecco il primo taglia e incolla! Questa parte viene presa dall’attuale art. 24 (che riguarda il consenso informato) e viene spostata all’inizio del nuovo art. 4. Giusto per chiarire sin da subito che quello che attualmente è il fondamento etico del nostro Codice Deontologico, all’indomani del referendum (se confermato), potrebbe trasformarsi completamente in un’altra cosa.

Riconoscono le differenze individuali, di genere e culturali, promuovono inclusività, rispettano opinioni e credenze e si astengono dall’imporre il proprio sistema di valori.

Qui spariscono completamente i richiami alla dignità, all’autonomia, alla riservatezza, all’autodeterminazione! Sparisce l’esplicita ispirazione alla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Non si dice più ‘Psicologhe e Psicologi NON discriminano; si preferisce piuttosto dire che psicologhe e psicologi rispettano le differenze e promuovono inclusività. Punto! E non è una semplice questione riassuntiva, non è neanche un modo per inglobare tutte le differenze individuali, è invece un rischioso cambio di paradigma.
A titolo esemplificativo, provate per un attimo a pensare quanto risulterebbe depotenziato l’art. 11 della Costituzione se anziché recitare “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali…” si trasformasse in “L’Italia promuove la pace e la libertà degli altri popoli”. A prima vista una bella frase, ma nei fatti un tacito via libera a teorie come l’’esportazione della democrazia” o il diritto alla guerra preventiva per ottenere la pace, tanto care al vecchio G.W. Bush.

Tornando al Codice, siamo di fronte ad un cambio di connotati che lascia sullo sfondo il posizionamento chiaro della nostra comunità professionale sulle questioni inerenti i diritti. Un vero e proprio indebolimento di quel solido argine nei confronti di abomini umani prima che scientifici come ad esempio le terapie riparative.

La psicologa e lo psicologo utilizzano metodi, tecniche e strumenti che salvaguardano tali principi e rifiutano la collaborazione ad iniziative lesive degli stessi. Quando sorgono conflitti di interesse tra l’utente e l’istituzione presso cui la psicologa e lo psicologo operano, questi ultimi devono esplicitare alle parti, con chiarezza, i termini delle proprie responsabilità ed i vincoli cui sono professionalmente tenuti.

Prendiamo un po’ di fiato! Questa è l’unica parte che resiste maggiormente allo stravolgimento dell’attuale art.4. e (per fortuna) pur scomparendo il richiamo alla tutela prioritaria del destinatario dell’intervento, quest’ultimo viene almeno spostato all’interno del nuovo Art.32. – Prestazione richiesta da un committente.

UN ASSIST ALL’ABUSIVISMO.

Altra questione che merita approfondimento è l’intervento sull’art.21., uno dei cardini della lotta all’abusivismo, l’articolo che dice a chiare lettere che insegnare strumenti e tecniche a ‘non psicologi’ costituisce violazione deontologica grave.

Ebbene, gli estensori della proposta di modifica hanno pensato di eliminare dall’articolo 21 proprio quei dispositivi fondamentali per limitare il più possibile il proliferare dell’abusivismo.

Nella proposta di modifica si parla “…dell’uso di metodi, tecniche e di strumenti conoscitivi e di intervento propri della professione stessa” e non più di “…tutti gli strumenti e le tecniche conoscitive e di intervento relative ai processi psichici (relazionali, emotivi, cognitivi, comportamentali) basati sull’applicazione di principi, conoscenze, modelli o costrutti psicologici.”

Insomma tutto quello che è specifico della professione psicologica non viene più dettagliato e questa genericità può trasformarsi in un ottimo assist per i colleghi che hanno deciso di formare counselor, pedagogisti clinici, coach di ogni genere e altre “creature fantastiche”.

Ma cosa ancora più grave, dal nuovo art. 21 sparisce la seguente frase:

“Costituisce aggravante avallare con la propria opera professionale attività ingannevoli o abusive concorrendo all’attribuzione di qualifiche, attestati o inducendo a ritenersi autorizzati all’esercizio di attività caratteristiche dello psicologo”

e viene sostituita con:

“Costituisce aggravante il caso in cui l’insegnamento dei metodi, delle tecniche e degli strumenti specifici della professione psicologica abbia come obiettivo quello di precostituire possibili esercizi abusivi della professione”

Capite bene che se ad oggi, con il Codice attualmente in vigore, arriva in Commissione Deontologica una segnalazione a carico di un collega psicologo, formatore di pedagogisti clinici o di qualche fantasioso coach, il rilascio di attestati, qualifiche o la semplice presentazione del corso come un qualcosa di propedeutico all’intervento su processi relazionali, emotivi, cognitivi, comportamentali, costituiscono la ‘pistola fumante’ per procedere a sanzionare il collega stesso.

Un domani invece, con il nuovo art.21, il collega in questione potrebbe cavarsela dicendo semplicemente che i suoi insegnamenti non sono affatto finalizzati a “precostituire esercizi abusivi della professione” e che magari gli attestati che rilascia servono semplicemente per abbellire le camerette dei suoi allievi.

Insomma il nuovo 21 rende la strada verso la lotta all’abusivismo ancora più impervia e sottrae dalle mani della comunità professionale quegli strumenti faticosamente conquistati attraverso le diverse sentenze dei tribunali.

Un vero e proprio autogol.

QUALI LINEE GUIDA?

Facciamo un passetto avanti e dall’art. 21 passiamo al 22, l’articolo che in sostanza ci ricorda di non nuocere e di non utilizzare impropriamente i nostri strumenti professionali.

“Lo psicologo adotta condotte non lesive per le persone di cui si occupa professionalmente, e non utilizza il proprio ruolo ed i propri strumenti professionali per assicurare a sé o ad altri indebiti vantaggi.”

Nella proposta di revisione il testo originario dell’articolo viene conservato con l’aggiunta di una nuova disposizione

“…nelle attività sanitarie (la psicologa e lo psicologo) si attengono alle linee guida e alle buone pratiche clinico-assistenziali…”

Ok, lo psicologa e psicologo sono un professionisti sanitari ed è bene che come tutti i professionisti sanitari si attengano a delle buone pratiche e a delle linee guida, ma di quali linee guida parliamo in questo caso?

Si fa riferimento forse a quelle elaborate dal Sistema Nazionale Linee Guida dell’Istituto Superiore di Sanità come previsto dalla 24/2017 “Legge Gelli-Bianco”? E se si fa riferimento a queste linee guida perché non specificarlo? Forse specificarlo avrebbe significato imbrigliare il Codice in una rete di disposizioni che possono essere soggette a frequenti modifiche? E allora perché infilarsi in un ginepraio quando alla fine abbiamo già un articolo che ci ricorda di non nuocere?

L’inserimento di un riferimento generico a linee guida e buone prassi clinico-assistenziali rischia di trasformare questo articolo in un ricettacolo di segnalazioni strumentali e ci espone ad una rischiosa discrezionalità per ciò che concerne l’applicazione delle sanzioni, soprattutto all’interno di un contesto variegato come quello della psicologia dove i documenti di buone prassi abbondano e non sempre è facile definire il range dell’ufficialità.

IL VOTO

Andiamo alle conclusioni. Alla luce di queste riflessioni in che direzione orienterò il mio voto al referendum che si terrà on-line dal 21 al 25 settembre? – Semplice – direte voi – Voterai favorevole alle modifiche che ti convincono, agli adeguamenti che reputi necessari ed esprimerai il tuo voto contrario alle proposte di modifica che invece ritieni rischiose o addirittura dannose.

E invece no. Non si può fare.

Il quesito referendario, contrariamente a quanto successo in passato, questa volta chiede a psicologhe e psicologi di esprimersi sull’intero pacchetto! Il taglia e incolla di una serie di articoli, la ricaduta di alcune modifiche su altri dispositivi del Codice e lo spostamento di interi commi da un posto all’altro, ci mette nelle condizioni di dover approvare o respingere l’intero articolato.

Così nell’arrovellarmi sul da farsi, mi è tornata in mente una scena di mio nonno che con me bambino, intento a disegnare e poi a colorare coi pennarelli più accesi e ancora a calcare la mano sul foglio, mi disse “Alli voti ‘u cchiù e com’o menu” (A volte il ‘di più’ equivale al “meno”) come a dire “Non strafare, il troppo stroppia, il disegno è già abbastanza vivace ed è bello così. Se calchi ancora la mano, finisci per rovinare il tuo lavoro”.

È un po’ questa la sensazione che mi restituisce la proposta di modifica del Codice Deontologico. Come se dagli adeguamenti utili o necessari (vedi linguaggio inclusivo, consenso informato e obbligo di testimonianza) ci si sia voluti inoltrare in dei cambiamenti più profondi, ma in realtà si è deciso di colorare troppo il disegno finendo per stravolgere i connotati della nostra identità professionale.

E allora preferisco tenermi stretto l’attuale Codice, pur se imperfetto e non aggiornato. Magari metterò nella valigia degli attrezzi un Codice di Procedura Penale per ricordarmi che un giudice può comunque obbligarmi a testimoniare se reputa che il mio rifiuto sia infondato, una copia della Legge 219/2017 dove c’è scritto che il tempo della comunicazione è tempo di cura e dedicherò il giusto tempo e la giusta cura all’esposizione del consenso informato sia agli adulti che ai minori in relazione all’età e al grado di maturità, consapevole che il nostro Codice parlava già di consenso informato ancor prima della 219/2017 e ancor prima della ‘legge Lorenzin’ e poi probabilmente leggerò ogni singolo articolo declinandolo al femminile e al maschile in attesa di un nuovo disegno meno pasticciato.

Voterò con convinzione e liberamente NO.

Perché questa proposta di modifica rischia di perdersi per strada i diritti universali, parte integrante del fondamento etico del nostro codice.

Perché per mettere in campo azioni concrete di tutela bisogna avere in mano degli strumenti sempre più efficaci e qui invece rischiamo di depotenziarli.

Perché ciò che non è chiaro e definito lascia spazio alla discrezionalità, soprattutto in materia disciplinare.

Insomma voterò NO perché questo codice va svecchiato, ma non a queste condizioni, non a costo di snaturarci; il gioco non vale la candela.




La “morte per pena” e la circolare del DAP

Dall’inizio del 2022 ad oggi i suicidi accertati nelle carceri italiane sono 48.

Un dato che supera di gran lunga quello di agosto 2021 (32 suicidi) e si avvicina tragicamente alle cifre raggiunte a fine 2021 (59 suicidi) e a fine 2020 (62 suicidi) quando eravamo in piena pandemia.

Fonte: Ristretti OrizzontiE poi c’è il confronto tra popolazione detenuta e popolazione libera.
Per l’OMS il tasso di suicidio in Italia nel 2019 era pari a 0,67 casi ogni 10.000 persone. Nello stesso anno, il tasso di suicidi in carcere era pari a 8,7 ogni 10.000 detenuti mediamente presenti. Mettendo in rapporto i due tassi, vediamo quindi come in carcere i casi di suicidi siano oltre 13 volte in più rispetto alla popolazione libera. Una forbice enorme e preoccupante che negli ultimi anni è aumentata vertiginosamente.

 

Ad oggi nelle carceri italiane i suicidi sono 20 volte più frequenti rispetto alla popolazione libera.

Fonte: Associazione Antigone

Una ‘morte per pena’, parafrasando Marco Pannella. Nessun boia, nessuna iniezione letale, in compenso un sistema penitenziario che genera disperazione e suicidi ad un ritmo vertiginoso.

Come AltraPsicologia abbiamo aperto un focus sull’argomento lo scorso aprile, nel corso del dibattito ‘Fenomeno suicidario in Italia – Realtà e falsi miti’, con la partecipazione tra gli altri di Rita Bernardini – Presidente di Nessuno Tocchi Caino e dell’On. Cristian Romaniello – primo firmatario della proposta di legge sulla “Prevenzione del suicidio e degli atti di autolesionismo”

Da allora la prepotente urgenza dei suicidi in carcere non ha accennato a placarsi e qualche giorno fa (lunedì 8 agosto) il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ha emanato una circolare con oggetto: Iniziative per un intervento continuo in materia di prevenzione delle condotte suicidarie delle persone detenute

Un documento da seguire nel suo sviluppo, vigilando sulla sua applicazione, come cittadini e come professionisti della salute, nel rispetto del nostro mandato sociale.

COSA PREVEDE LA CIRCOLARE

Innanzitutto si dà mandato ad ognuno dei 16 Provveditorati Regionali dell’Amministrazione Penitenziaria (sono 16 perché alcuni di questi sono interregionali) di verificare che lo stato dei Piani regionali e locali di prevenzione sia in linea con il Piano nazionale per la prevenzione delle condotte suicidarie nel sistema penitenziario per adulti .

Nel fornire raccomandazioni e direttive, il DAP mette in luce le lacune del sistema stesso, riconoscendo, nei fatti, che in alcune realtà i Piani regionali non sono neanche stati stipulati. In questi casi viene sollecitata l’nterlocuzione con le rispettive Autorità sanitarie per la pronta approvazione.

STAFF MULTIDISCIPLINARE E LAVORO DI RETE

La circolare riconosce nello ‘staff multidisciplinare’ (composto da direttore, comandante, educatore, medico e psicologo) ‘la sede ottimale nella quale affrontare, ad opera delle varie professionalità e competenze presenti negli Istituti, l’analisi congiunta delle situazioni a rischio’, ma rileva anche ‘che, oggi, lo staff agisce sulle situazioni rispetto alle quali si è manifestato un evento o una richiesta di aiuto o in cui si è, comunque, riscontrata una qualche criticità. Rischiano, dunque, di rimanere fuori dall’analisi i cc.dd. casi silenti, riguardanti le persone che, all’atto dell’accoglienza in istituto e nell’ulteriore prosieguo della detenzione, non hanno manifestato un particolare disagio. Su questo versante è, dunque, necessario che ogni Direzione, unitamente ai componenti dello staff, abbia una adeguata strategia per intercettare questi soggetti, che rischiano di rimanere “invisibili”.’

Viene quindi sostanzialmente richiamata tutta la comunità che ruota attorno all’ambito penitenziario ad un impegno corale nel cogliere tempestivamente i c.d. ‘eventi sentinella’: situazioni oggetto di informazioni a disposizione della Magistratura, del Garante nazionale, dei Garanti locali, dell’Avvocato o della famiglia; casi in cui le persone detenute fanno rientro in istituto dopo un “fallimento” (come nel caso della revoca degli arresti domiciliari o di una misura alternativa); casi di situazioni familiari fragili e complesse; vicinanza di scadenze delicate, come un processo o la prossima separazione dal coniuge.

“Tali “eventi sentinella” – recita la circolare – possono essere, di volta in volta, intercettati dai componenti dell’Ufficio matricola, dai Funzionari giuridico-pedagogici, dal Personale di Polizia penitenziaria operante nei reparti detentivi, dagli Assistenti volontari, dagli Insegnanti e, più in generale, da chiunque operi a diretto contatto con la popolazione detenuta, ivi compresi i Garanti, comunque denominati”.

Propositi necessari e urgenti, ma bisogna riconoscere che il più delle volte questi accorgimenti sono già parte integrante dello sforzo messo in campo da tutti gli attori nominati nella circolare, basti pensare alle segnalazioni costanti di volontari, familiari, insegnanti, associazioni, avvocati, Garanti, Direttori, ecc.

Uno sforzo che troppo spesso si scontra con la realtà chiusa e refrattaria del sistema penitenziario italiano, dove le informazioni faticano a circolare e ad arrivare a chi di dovere al fine di scongiurare gesti estremi da parte della popolazione detenuta.

CAPITOLO FORMAZIONE

Nella circolare, il Capo del Dap invita i provveditori a garantire una particolare attenzione alla formazione specifica del personale, attraverso cicli di incontri a livello centrale e locale, destinati a tutti gli attori del processo di presa in carico dei detenuti.

Nello specifico si reputa necessario che la Scuola Superiore dell’Esecuzione Penale provveda a organizzare giornate di studio e di confronto collettivo sul tema della prevenzione suicidaria da dedicare ai Provveditori e ad altri Operatori penitenziari. I Provveditori saranno chiamati a organizzare una adeguata e capillare formazione dei Direttori e degli Operatori in servizio nei territori di competenza, favorendo, in tali occasioni, la partecipazione e il coinvolgimento anche del Personale dell’Area sanitaria in servizio negli Istituti.

 

LE RISORSE PROFESSIONALI

Insomma tutto molto bello e giusto, ma se alla circolare non seguiranno interventi per aumentare e razionalizzare le risorse professionali all’interno delle carceri, il rischio concreto è quello di fermarsi ai buoni propositi.

Dal rapporto di metà anno dell’Associazione Antigone emerge che l’erogazione di supporto psicologico nelle carceri italiane si attesta in media sulle 20 ore settimanali ogni 100 detenuti e proprio nelle carceri dove si è registrato il maggior numero di suicidi, le ore di servizio psicologico erogate risultano più basse rispetto alla media nazionale: Palermo Ucciardone 5,14 ore; Monza 6,6 ore; Foggia 10 ore; Roma Regina Coeli 6,8 ore.

Proprio sulla questione delle risorse si soffermano le ultime righe della circolare, in cui il DAP, oltre ad auspicare una effettiva partecipazione delle Autorità sanitarie nazionali e regionali agli interventi prospettati (si spera anche in termini di assunzioni di personale sanitario) richiama la recente introduzione di nuovi capitoli di bilancio per l’incremento di professionisti esperti ex art. 80 O.P. ruolo in cui gli psicologi ricoprono un’importante funzione proprio per la valutazione del rischio suicidario.

La sfida adesso è la traduzione in fatti di queste linee guida, in un’estate torrida, con il termometro del sovraffollamento effettivo che si attesta al 112%, con ancora addosso i segni della pandemia, nel bel mezzo di una campagna elettorale che nel migliore dei casi dribbla abilmente queste tematiche e nel peggiore dei casi si appiattisce sulle posizioni di quelli che vorrebbero ‘buttare la chiave’.

Sarà il tempo (un tempo brevissimo si spera) a dirci se la circolare del DAP sarà una delle tante iniziative in emergenza per gettare un po’ di acqua sul fuoco o se piuttosto getterà le basi per una quanto mai urgente ristrutturazione del sistema penitenziario.




2 Anni di AltraPsicologia per l’Ordine Calabria – Patrimonio di tutti!

Due anni da quel viaggio incredibile per tutta la Calabria, da quelle centinaia di chilometri per ascoltare le richieste di colleghe e colleghi in tutta la regione. Due anni dalla rottura dell'”incantesimo monocolore” che voleva il nostro Consiglio dell’Ordine popolato da 15 componenti, tutti appartenenti ad unico cartello elettorale. Due anni sì, anche se a pensarci bene sembra ne siano passati 30 in termini di emozioni provate, fatica, lavoro, contributi forniti per il bene della nostra professione e del lavoro che amiamo…Più o meno quanti gli anni che ci sono voluti per avere finalmente un’ALTRA voce (anzi altre 7 voci) al Consiglio dell’Ordine degli Psicologi della Calabria.

E allora ripercorriamoli insieme questi 2 anni, in una sorta di bilancio di metà mandato di un gruppo che sta all’opposizione, ma che non smette di dettare l’agenda politico professionale (sgambetti e bavagli permettendo).

MANCA GIUSTO “QUALCOSINA”

Siamo entrati in Consiglio con alle spalle diverse segnalazioni già inoltrate come attivisti del territorio in cui chiedevamo a gran voce l’introduzione di quei requisiti minimi che spettano ad un ente pubblico, ad un organo di autogoverno della professione. Nelle nostre menti riecheggiava quella filastrocca di tanti anni fa, forse un po’ riadattata, di “quella casa molto carina senza soffitto, senza cucina” in cui “non si poteva entrarci dentro perché non c’era il…regolamento! “. La casa di tutte le psicologhe e gli psicologi calabresi, dagli anni 90, andava avanti senza uno straccio di regolamento sul funzionamento del Consiglio, senza un regolamento per i provvedimenti disciplinari, senza un regolamento per la concessione di patrocini. Insomma, si procedeva a fari spenti.

Ma c’è di più. La sezione Amministrazione Trasparente era trasparente nel senso che si poteva guardare attraverso, pressoché vuota, solo qualche bilancio qua e là. I verbali dei Consigli? Mai pubblicati!

E poi diversi colleghi che ci chiedevano che fine avesse fatto la loro segnalazione sul counselor o sul pedagogista clinico di turno e se l’Ordine se ne fosse mai fatto carico. E noi lì a rispondere: “L’Ordine non ha una Commissione Tutela, mancano proprio gli strumenti”.

E ancora: “Perché non possiamo assistere ai Consigli?” e la risposta era sempre quella: “Perché nessuno lo ha mai previsto, nessuno ha mai scritto a chiare lettere – Le sedute sono aperte agli uditori -“.

LE FONDAMENTA

Ecco la situazione era più o meno questa. Adesso tenetevi forte perchè nel giro di due anni si passa dall’età della pietra alle astronavi…anzi no, fermi un attimo, forse il paragone è troppo azzardato, forse è meglio dire che si passa ad un’utilitaria a cui mancano un bel po’ di optional e qualche accessorio essenziale (ecco adesso ci siamo).

Eh sì, perché adesso l’Ordine ha finalmente i regolamenti basilari, possiede un regolamento per i lavori del Consiglio anche se questo regolamento è stato inizialmente licenziato in una versione inguardabile e raffazzonata, poi integrato con le nostre proposte e poi, dopo essere stato approvato all’unanimità, cambiato in corsa dalla maggioranza in Consiglio perchè forse consentiva all’opposizione “troppa libertà di manovra” (che tradotto vuol dire democrazia). I soliti mattacchioni questi della maggioranza, cambiano le regole in corsa, ma almeno ogni Consigliere adesso sa a cosa appellarsi quando deve contestare qualcosa.

Sulla Sezione Amministrazione Trasparente che dire, si è finalmente iniziato a lavorare per colmare un gap inaccettabile, ma mancano ancora diversi documenti fondamentali e soprattutto molti obblighi sono grossolanamente travisati.

Ordine Calabria: trasparenza o propaganda?

I verbali dei Consigli adesso sono pubblici! Certo vengono inseriti sul sito con molta (ma molta) lentezza rispetto all’approvazione, però è già qualcosa.

Adesso esiste una Commissione dedicata alla Tutela, anzi ad essere precisi una Sottocommissione…che poi in realtà non abbiamo mai capito davvero la ratio di questa scelta. In sostanza i componenti della Commissione Deontologica fanno parte anche di questa Sottocommissione che si occupa specificamente di Tutela della professione. Sin dall’inizio abbiamo chiesto la separazione delle due funzioni, come succede nella maggior parte degli Ordini, ma comunque anche qui si tratta di un passo avanti rispetto al nulla cosmico. Adesso professionisti e cittadini sanno a quale organo scrivere per segnalare gli abusivi di cui sopra.

Grazie al materiale che abbiamo prodotto in commissione, sono state depositate diverse denunce per esercizio abusivo della professione. Insomma adesso abbiamo qualche strumento in più, anche se, purtroppo, dalle parti della maggioranza, continua a mancare la volontà politica di andare fino in fondo. Un esempio? Ad inizio 2020 abbiamo prodotto un corposo dossier sui Pedagogisti Clinici (i Counselor 2.0) con esplicita richiesta di portare il documento all’attenzione della Commissione Tutela CNOP (per altro coordinata dal Presidente del nostro Ordine)…Ad oggi, tra rinvii, tentennamenti e giochi di prestigio, la documentazione non è stata ancora portata sul tavolo nazionale.

Le sedute adesso sono finalmente aperte agli uditori, ma senza esagerare, al massimo due per volta, solo se ci si riunisce in presenza, solo se il Presidente non decide che ad alcuni argomenti non si può assistere…Anche questo punto ha subito il cambio in corsa del regolamento a cui accennavamo prima, perchè nella precedente versione, quella con le nostre proposte e approvata all’unanimità, tutte queste limitazioni non c’erano. Lo sappiamo bene, al gruppo di maggioranza di questo Consiglio, la democrazia fa lo stesso effetto dell’aria rarefatta di montagna, fa girare la testa.

SENZA AP CALABRIA

In questo bilancio di metà mandato, non possiamo non dedicare uno spazio a cosa sarebbe successo se AltraPsicologia non avesse eletto alcun rappresentante in seno al Consiglio dell’Ordine, se AP Calabria non avesse potuto assolvere alla funzione di “avamposto” delle istanze della categoria, intervenendo, grazie al supporto di colleghe e colleghi, per scongiurare o mettere le pezze ad alcune decisioni scellerate.

Qualche esempio.

L’Ordine avrebbe continuato ad inviare ad ospedali ed enti locali liste di colleghe e colleghi “inconsapevolmente disponibili” ad effettuare colloqui gratuiti nel corso della pandemia. Per fortuna si è arginata per tempo questa prassi scellerata che confondeva la solidarietà con la gratuità e lo svilimento del supporto psicologico.

Il Consiglio ai tempi del COVID-19 – Cronaca del 4° Consiglio Ordine Calabria 2020

Servizi superflui, utenze dispendiose, spese insensate come l’acquisto sistematico di quotidiani, sarebbero ancora tra le voci fisse dei bilanci preventivi.

Cosa succede all’Ordine Calabria? I documenti, la nostra lettera al Consiglio, gli aggiornamenti…

210.161,23. Questa la cifra delle morosità degli iscritti all’atto del nostro insediamento!

524 iscritti morosi (praticamente un quarto degli iscritti), 265 in arretrato di due anni o più, in diversi casi si arrivava a circa 10 anni di morosità! Dopo anni senza che si muovesse un passo, finalmente in questa consiliatura si sono iniziate ad avviare le azioni che la legge prescrive…e adesso, con un pizzico di serenità in più, possiamo permetterci di adeguarci a quanto consentito dal CNOP e cioè abbassare la nostra quota di iscrizione.

L’Ordine Calabria e i vestiti “nuovi” dell’imperatore…

E poi, quando pensi di averle viste tutte, arriva anche una delibera che in barba alla Legge 56/89, prende i compiti assegnati al Consiglio e li trasferisce ai soli Presidente, Segretario e Tesoriere, svuotando completamente il senso dell’organo collegiale deputato all’autogoverno della professione. I Consiglieri di maggioranza, anche loro spogliati delle loro funzioni, “zitti e buoni”.

L’Ordine Calabria e l’oligarchia dei “divani”…

Noi 7 invece le proviamo tutte: ci opponiamo fermamente in Consiglio, chiediamo un parere legale all’avvocato dell’ente (…ma il Presidente ce lo impedisce) e alla fine siamo costretti a ricorrere in Tribunale.

Ordine Calabria: AP impugna la delibera che priva il Consiglio dei suoi poteri

Sapete tutti com’è andata a finire. Il Tribunale di Catanzaro ha bocciato in toto la delibera “spazza democrazia” ripristinando un po’ di legalità in un ente che dalla sua fondazione, ad ogni rinnovo di consiliatura, proponeva delibere simili, forse nel timore che qualcuno rovinasse gli equilibri del cartello elettorale di turno. Anche questa è una “prima volta” dopo decenni!

Ordine Calabria: il Tribunale di Catanzaro accoglie in pieno il ricorso di AltraPsicologia

 

INCONTRARE LA POLITICA

In soli due anni AP Calabria è riuscita ad attivare un costante dialogo con la politica, incontrando i candidati alle ultime elezioni regionali, elaborando e sottoponendo in diverse sedi istituzionali un documento di proposte programmatiche per la salute e il benessere psicologico dei cittadini (adeguamento dei servizi, voucher per prestazioni psicologiche, sovvenzioni ai centri clinici, Proposta di Legge Regionale sullo Psicologo di Base), organizzando occasioni di dibattito e confronto con i decisiori politici locali e nazionali. Interlocuzioni che non si fermano. Risale al mese scorso la nostra partecipazione all’Agorà Democratica dedicata alla Salute Mentale, ulteriore occasione per portare alla luce le criticità che affliggono il nostro territorio in termini di servizi psicologici e fornire il nostro contributo all’implementazione di azioni strategiche per garantire il benessere psicologico dei cittadini. La strada è lunga, ma sappiamo che la costanza e il lavoro ripagano sempre.

INCONTRARSI, CONDIVIDERE, INFORMARSI, FORMARSI

In questi anni non abbiamo fatto mancare il nostro contributo progettuale all’offerta formativa del nostro Ordine che siamo convinti debba puntare sulla qualità e sulle esigenze degli iscritti. Con non poca fatica, siamo riusciti a mettere in programma un evento di spessore con uno tra i massimi esperti dei Disturbi dell’Alimentazione il Prof. Leonardo Mendolicchio e altre proposte sono in cantiere.

Il nostro cammino è iniziato incontrando e ascoltando colleghe e colleghi del territorio e sulla stessa strada continuiamo. Forse sostituendo un po’ di chilometri con gli appuntamenti on-line, ma quando possibile ne abbiamo approfittato per tornare a vederci dal vivo in sicurezza. Così in questi due anni hanno visto la luce due nostri format: CONDIVISIONI – Mettiamo in rete competenze e AltraPsicologia Calabria TALK ABOUT… che hanno creato spazi di crescita su tematiche specifiche: dalla psicosessulogia, alla progettazione in psicologia e nell’intervento sociale, dalla psicologia delle emergenze, alla psicologia scolastica, passando per la promozione della rete professionale fino alle informazioni essenziali sul sistema ECM con tutte le sue importanti criticità.

PATRIMONIO DI TUTTI

E poi ci sono quei contributi difficili da quantificare se non in termini di emozioni. Ci sono i vostri: “Continuate cos씓Finalmente non siamo più soli”, “Torno in Calabria perchè adesso c’è AltraPsicologia”…C’è una rete che dopo anni ha riscoperto la speranza, che ogni giorno lotta per spazzare via la solitudine professionale, un network in movimento che dà spazio e respiro a nuove collaborazioni e nuove risorse. C’è il lavoro incessante per rendere la nostra vita professionale meno schiacciata dagli adempimenti burocratici e dalle difficoltà del territorio, pronta ad affrontare le sfide che ci attendono in futuro. C’è un patrimonio da custodire e far crescere ogni giorno e in tutto questo: NOI SIAMO QUI PER RESTARE!




Ordine Calabria: il Tribunale di Catanzaro accoglie in pieno il ricorso di AltraPsicologia

25 Maggio 2021, una data che AltraPsicologia Calabria difficilmente dimenticherà!

Il Tribunale di Catanzaro dichiara illegittima e annulla la delibera n.185 dell’Ordine degli Psicologi della Calabria che assegnava alcuni poteri centrali del Consiglio ai soli Presidente, Segretario e Tesoriere, sottraendoli di fatto agli altri Consiglieri democraticamente eletti, un provvedimento in palese contrasto con la legge 56/89.

QUI LA SENTENZA

I FATTI

Una storia iniziata il 3 ottobre 2020 quando all’ordine del giorno del Consiglio viene inserito il suddetto provvedimento approvato con gli 8 voti dei consiglieri di maggioranza e i nostri 7 voti contrari.

L’intera amministrazione ordinaria e straordinaria dell’Ordine;

la cura del patrimonio mobiliare ed immobiliare;

la compilazione dei bilanci preventivi e consuntivi;

la tenuta dell’albo professionale;

la competenza a designare i rappresentanti dell’Ordine negli enti e nelle commissioni, a livello regionale o provinciale.

Tutte queste attribuzioni vengono sottratte al Consiglio e conferite in via esclusiva al Presidente, al Tesoriere ed al Segretario, peraltro con il voto favorevole e decisivo dei tre!

Il Presidente, le cariche illegittimamente insignite di poteri esclusivi e il gruppo di maggioranza all’Ordine, proseguono per la loro strada. A nulla valgono le nostre rimostranze in Consiglio e le nostre comunicazioni che richiamano all’evidente illegittimità della delibera, siamo costretti ad adire le vie legali.

LA “COMUNICAZIONE” DELLA MAGGIORANZA

Nel mentre, una sfilza di comunicazioni sopra le righe tramite i canali del gruppo di maggioranza politica all’Ordine. Articoli che parlano di onorabilità vilipesa, che bollano i nostri comunicati come fake news, si arriva addirittura a sostenere che non esista alcun ricorso in tribunale, qualcuno insinua che alle parole non avremmo fatto seguire i fatti, semplicemente perchè erano scaduti i termini per fare un ricorso al TAR. Sempre seguendo questa traccia, si trascende, ci sentiamo addirittura definire bugiardi e ignoranti… Gli autori di tali invettive avrebbero fatto meglio ad aspettare prima di parlare, perchè magari erano anche scaduti i termini per fare ricorso al TAR, ma non di certo quelli per impugnare la delibera presso il Tribunale Ordinario, come alla fine abbiamo fatto. Alle invettive si accompagnano le minacce di querela.

Così tuonava il gruppo di maggioranza dalle pagine del suo blog:

“Sono passati quindi oltre due mesi dall’ultimo Consiglio e sono rimaste solo parole, zero fatti. Tanto per cambiare. Forse c’era e c’è la paura di perdere ed essere condannati alle spese, oltre all’essere perseguiti per calunnia. Spesso infatti certe sicurezze vacillano pericolosamente varcando la soglia di un Tribunale. Quindi meglio soltanto il rituale tam tam mediatico fatto di opinioni discutibili, insulti e demagogia che non trovano conforto nemmeno nelle leggi tanto tirate in ballo. Stile Trump post elezioni. Solo che, ricordiamolo, accusare qualcuno di compiere azioni illegittime senza avere prove è allo stesso modo perseguibile in Tribunale, altra cosetta che forse si ignora.”

Ecco, ora di mesi da quel Consiglio ne sono passati un po’ di più, la soglia del Tribunale siamo stati costretti a varcarla per ripristinare la legalità all’interno dell’Ordine ed oggi è lo stesso Tribunale a cui ci siamo rivolti a definire illegittima quella delibera.

COSA DICE LA SENTENZA

Su Segretario e Tesoriere

Il Tribunale di Catanzaro impartisce una vera e propria lezione di legalità a chi evidentemente si considera al di sopra della legge. I Giudici osservano che né la Legge 56/89 nè il Regolamento interno all’Ordine degli Psicologi della Calabria prevedono la possibilità che il Consiglio attribuisca o deleghi proprie funzioni al Segretario ed al Tesoriere.

Sul Presidente

Quanto poi alla delega dei medesimi compiti in favore del Presidente, il Collegio Giudicante evidenzia come all’art. 13 della Legge 56/89 (“Il Presidente ha la rappresentanza dell’ordine ed esercita le attribuzioni conferitegli dalla presente legge o da altre norme, ovvero dal consiglio”), il legislatore abbia inteso conferire al Consiglio non già il potere di delegare proprie funzioni al Presidente, bensì quello di attribuire a quest’ultimo compiti, anche non tipizzati, che pur tuttavia esulino da quelli di competenza del Consiglio stesso, elencati nell’art.12 della 56/89. In buona sostanza la delibera risulta illegittima anche nella parte in cui viene delegato il Presidente.

Sull’Ordine Professionale

Il Tribunale chiarisce anche i compiti di un Ordine professionale, sottolineando come questi non possano essere considerati alla stregua di meri adempimenti formali e quindi trasferiti in scioltezza da un organo ad un altro o da un organo a singoli consiglieri che rivestono delle cariche, anche perchè i componenti del Consiglio, votati dagli iscritti, hanno un preciso mandato, assegantogli dalla legge, da espletare all’interno di un organo collegiale, nel nostro caso composto da 15 Consiglieri.

Così i Giudici del Tribunale di Catanzaro:

“Invero, deve ritenersi che il Consiglio Regionale non possa, con propria delibera, distogliere il Consiglio dall’esercizio dei compiti assegnatigli per legge. Si osserva infatti che la funzione principale degli ordini professionali consiste nel tutelare la collettività circa la professionalità e la competenza dei professionisti che svolgono attività delicate nel campo della tecninca, della salute e della legge e, pertanto, l’attribuzione di determinate funzioni ad un organo collegiale elettivo quale il Consiglio, lungi dall’afferire ad un mero adempimento formale, risponde evidentemente a precise esigenze di controllo.”

Sui Regolamenti

Nelle confuse repliche alla nostra impugnazione, viene tirato in ballo il Regolamento del CNOP nella parte in cui si assegnano funzioni amministrative alle cariche del Consiglio Nazionale: Presidente, Vicepresidente, Segretario, Tesoriere. I Giudici, oltre a ribadire che quanto riportato è del tutto inconferente con la materia trattata (una cosa è il CNOP, altra cosa è l’Ordine degli Psicologi della Calabria che ha un proprio regolamento) sottolineano come da un’attenta lettura del citato Regolamento del CNOP si traggano piuttosto elementi a sostegno della tesi di parte ricorrente, ovvero delle nostre ragioni. Il Regolamento del CNOP infatti non prevede alcuna sovrapposizione tra le attribuzioni del Consiglio e quelle delle cariche, come è giusto che sia, proprio perchè la legge non lo consente. 

DELIBERA TOTALMENTE ILLEGITTIMA (MA QUANTA FATICA)

Così, da oggi, la delibera n.185 dell’Ordine degli Psicologi della Calabria che di fatto istituiva un illegittimo “triumvirato” composto da Presidente, Segretario e Tesoriere, viene ANNULLATA da un Tribunale e detta così sembra semplice, ma vi assicuriamo che non lo è stato per nulla!

Il risultato è frutto del grande lavoro del nostro legale l’Avv. Giovanni Rossi del Foro di Reggio Calabria che ha seguito passo passo la vicenda giudiziaria, approntando un ricorso che ha permesso di ripristinare la legalità nel nostro ente. Questa sentenza è frutto della caparbietà di noi 7 ricorrenti, 7 Consiglieri che dalla sera alla mattina si sono visti spogliati delle proprie funzioni, privati della possibilità di espletare il proprio mandato, assegnatogli dalla legge e dagli iscritti all’Ordine. Questa vittoria in Tribunale è frutto del supporto costante del nostro Gruppo Regionale, di tutta l’Associazione nazionale e di tutti gli iscritti ad AP, colleghe e colleghi che ogni giorno lavorano incessantemente PER UN’ALTRAPSICOLOGIA, per garantire l’onorabilità della nostra amata professione all’interno delle istituzioni di categoria e nella società.

E’ la vittoria di tutte le psicologhe e gli psicologi calabresi e per il momento ci fermiamo qui. Da domani penseremo alle doverose letture politiche di quanto accaduto, alle responsabilità di chi per presunzione o per sciatteria ha guardato alle leggi come orpelli di cui potersi sbarazzare, ha considerato la rappresentanza democratica come una zavorra di cui liberarsi al più presto, ha perseverato nell’errore trattando la cosa pubblica come “casa propria”, dimenticando, troppo frequentemente, che l’Ordine è la casa di tutti!




Calabria: l’incredibile storia del RUP e di quei “rompiscatole” dell’opposizione

Oggi vi raccontiamo una storia. I personaggi sono:

un gruppo politico-professionale che ha amministrato l’Ordine degli Psicologi della Calabria per più di 30 anni e che attualmente esprime l’esecutivo del nostro ente con una maggioranza di 8 Consiglieri, tra “vecchia guardia” (pensate il Presidente è al suo quinto mandato) e nuove leve;

altri 7 Consiglieri, tutti alla prima esperienza ordinistica, espressione di un gruppo che va sotto il nome di AltraPsicologia Calabria e che dopo 30 anni di rappresentanza monocolore cerca di lavorare (con non poche difficoltà) ad un miglioramento della macchina del nostro organo di autogoverno, facendo informazione, ascoltando le istanze dei colleghi, chiedendo l’introduzione di regolamenti, vigilando sulle procedure;

il RUP, il “personaggio” principale di una storia che per gli amanti del dramma pirandelliano potremmo intitolare “7 Consiglieri in cerca del RUP” o se invece la preferenza è per i film di Indiana Jones “Gli 8 Consiglieri del RUP Perduto”.

Ma veniamo al punto.

Cosa non è il RUP?

Non è una creatura mitologica, non è il Sacro Graal, non è il nome di un nuovo vaccino anti-covid efficace per tutte le varianti del virus (purtroppo!)

Cos’è il RUP invece?

Per comprendere bene chi è e cosa fa il RUP, dobbiamo necessariamente partire dal suo habitat naturale: la stazione appaltante. Per la legge italiana (Codice dei Contratti Pubblici) la stazione appaltante è una pubblica amministrazione che affida appalti pubblici di lavori, forniture o servizi oppure concessioni di lavori pubblici o di servizi. Ecco nel nostro caso specifico la stazione appaltante è rappresentata dall’Ordine degli Psicologi della Calabria che (fino a prova contraria) è un ente pubblico, nello specifico un ente pubblico non economico, in quanto:

persegue fini pubblici (cura l’osservanza delle leggi concernenti la professione, si occupa della tenuta dell’albo, vigila sulla tutela del titolo professionale, svolge attività per impedire l’esercizio abusivo della professione e in questo modo tutela la salute dei cittadini);

è titolare di poteri autoritativi (ad es. adotta provvedimenti disciplinari);

lo ha istituito lo Stato (l’Ordine esiste in virtù della Legge che regola la professione dello psicologo, la 56/1989);

percepisce contributi pubblici (nel nostro caso le nostre quote di iscrizione in qualità di iscritti);

è assoggettato al controllo di pubblici poteri (l’Ordine è soggetto alla vigilanza del Ministero della Salute).

Insomma per farla breve, l’Ordine è qualcosa di pubblico. Non è un’azienda, non è una fondazione, non è un’associazione, non è un club privato…è un ente che cura dei pubblici interessi.

A questo punto torniamo al nostro caro vecchio RUP.

Le leggi e i regolamenti (l’art. 31, co. 3, d.lgs. 50/2016, meglio noto come Codice dei contratti pubblici e le linee guida N.3 dell’ANAC Autorità Nazionale Anti-Corruzione) ci dicono che ogni pubblica amministrazione è tenuta ad individuare come responsabile per le procedure riguardanti appalti o concessioni una figura che si occupi delle fasi di programmazione, progettazione, affidamento ed esecuzione dei contratti di lavori, servizi, forniture, sia che le procedure prevedano un bando, sia che non lo prevedano. Insomma qualsiasi contratto stipulato o servizio acquistato da un ente pubblico (anche se si tratta di acquisti in economia) deve seguire una procedura e per questa procedura ci deve essere un responsabile, il RUP appunto – Responsabile Unico del Procedimento.

A cosa serve il RUP?

Compito del RUP è quello di vigilare sulle varie fasi del servizio appaltato. Il RUP provvede a creare le condizioni affinchè il processo realizzativo del servizio/lavoro risulti condotto in modo unitario in relazione ai tempi ed ai costi preventivati, alla qualità della richiesta, alla manutenzione programmata e perfino alla sicurezza e alla salute dei lavoratori. Un esempio pratico. Nel caso in cui un Ordine professionale voglia fare un acquisto o rinnovare un proprio servizio, i passaggi sarebbero pressocchè i seguenti: il Consiglio discute della necessità in essere, a seguito della discussione approva una delibera, a quel punto la palla passa al RUP che dovrà, tra i vari compiti, coordinare o svolgere un’indagine di mercato in linea con le le esigenze dettate dal Consiglio (ad es. in termini di qualità, economicità, ecc.) e/o procedere all’organizzazione di una pubblica manifestazione di interesse emanata dall’ente, coordinare tutte le azioni atte a garantire il rispetto delle procedure di affidamento secondo quanto dice la legge, firmare una determina di affido e quindi impegnarsi a vigilare sul mantenimento delle condizioni concordate (ad es. che il lavoro in questione corrisponda alle richieste fatte o che venga consegnato nei tempi sui quali le parti si sono accordate). Tutto questo anche perchè qualora dovessero subentrare disguidi di qualsiasi genere, la responsabilità dovrà essere facilmente individuabile e non opaca e diffusa.

Cosa succede all’Ordine degli Psicologi della Calabria?

Qui entrano in gioco gli altri personaggi della storia. Il gruppo di maggioranza politica in Consiglio (composto da Colleghi che hanno ricoperto per anni ruoli apicali all’interno dell’Ordine) e il gruppo di opposizione, noi di AP Calabria, età media 35 anni. I secondi, ad ogni deliberazione sull’affidamento di un servizio chiedono ai primi: “Scusate chi è il RUP?”.

La risposta del Presidente e della sua maggioranza?

Non c’è bisogno di alcun RUP poichè abbiamo a che fare con l’acquisizione di servizi, forniture e lavori in economia (ovvero al di sotto dei 200.00 euro al netto dell’IVA).

Eppure basterebbe visitare la sezione Amministrazione Trasparente dell’Ordine degli Psicologi della Calabria per trovare un documento che sembra risolvere ogni dubbio il REGOLAMENTO SULLE ACQUISIZIONI IN ECONOMIA E SUL CONFERIMENTO DEGLI INCARICHI PROFESSIONALI E DI CONSULENZA DEL CNOP  (interamente recepito dal nostro Ordine Regionale) che all’art. 2 comma 2 recita:

Il Consiglio dell’Ordine, quando delibera la realizzazione del lavoro o l’acquisizione della fornitura o del servizio in economia, ovvero quando delibera di conferire un incarico individuale, nomina, anche tra i membri del Consiglio dell’Ordine, un Responsabile Unico del Procedimento per le fasi dell’affidamento, della stipula e dell’esecuzione del contratto, nonché per il conferimento degli incarichi individuali, nei limiti espressamente previsti dalla delibera del Consiglio dell’Ordine.”

e ancora all’art.2 comma 4:

“In mancanza di un’espressa disposizione del Consiglio dell’Ordine, il Responsabile Unico del Procedimento è il Consigliere Tesoriere, ovvero, laddove esistente, il Direttore Amministrativo.”

Chiaro no?

Il RUP ci deve essere comunque, l’incarico può essere svolto anche da un Consigliere, se non c’è un espresso provvedimento dell’Ordine il compito spetta al Tesoriere o al Direttore Amministrativo.

Tutto questo in linea teorica…perchè nella realtà in nessuna delle determinazioni economiche dell’Ordine degli Psicologi della Calabria viene indicato un RUP, il nostro ente non ha un Direttore Amministrativo e sopratutto in quasi due anni di consiliatura non abbiamo mai visto una determina di affidamento di servizi o di acquisti firmata dalla Consigliera Tesoriera!

Sito internet, Provider ECM, intermediario teconologico per il passaggio a Pago PA, agenzia interinale per l’assunzione di un nuovo dipendente e tanti altri servizi di cui si avvale o si dovrà avvalere il nostro Ordine, sono stati affidati senza la presenza di un Responsabile Unico del Procedimento.

Ecco la storia si conclude qui, triste, a tratti grottesca come tante altre storie che abbiamo avuto modo di raccontarvi. Una storia che costringe noi 7 Consiglieri di AP a non approvare le deliberazioni di carattere economico del nostro ente. L’ennesima inspiegabile storia di regole costantemente travisate o peggio ancora ignorate, nonostante i costanti richiami. La storia di una maggioranza ordinistica che dovrebbe portarsi dietro un’esperienza tale da evitare agilmente questi pericolosi strafalcioni da dilettanti allo sbaraglio, ma che evidentemente è troppo impegnata ad etichettare noi Consiglieri di opposizione come “rompiscatole” che votano contrario ad ogni cosa.