INIZIARE INSIEME. CRONACA DI UN GRUPPO DI INTERVISIONE TRA NOVELLE PSICOLOGHE

Ho appena chiuso Zoom.

In tempi di coronavirus e isolamento sociale anche il nostro consueto appuntamento si è spostato on line. Si è discusso di come procedono le cose nelle rispettive case di cura, dei casi particolarmente complessi seguiti da alcune di noi, di un ottimo libro scovato per avviare gruppi di mutuo aiuto tra caregiver e di quel corso che vale proprio la pena seguire perché costa poco ed è fatto bene. Alla chiusura della chiamata un unico rimpianto: l’assenza del caffè e dei dolcetti che accompagnavano ogni nostro incontro in presenza.

 

Chi siamo?

Siamo 6 colleghe venete, dislocate in 4 province, che lavorano nel campo dell’invecchiamento e che da ormai 4 anni si incontrano periodicamente per confrontarsi sulle gioie e i dolori del lavoro da psicologhe. Un appuntamento che si interrompe nel periodo estivo per poi riprendere con cadenza mensile a settembre.

Il nostro è un gruppo di intervisione. Una realtà nata da un’idea di Altrapsicologia Veneto per creare uno spazio di incontro alla pari tra colleghi. Non una supervisione né uno spazio formativo quindi ma un’occasione per confrontarsi e fare rete tra psicologi impegnati nello stesso ambito di lavoro.

 

Come ci siamo arrivate fin qui?

Era il lontano 2015, dicembre. La mia prima riunione in Altrapsicologia.

Questo gruppo strano, scoperto per caso nei miei consueti viaggi internauti, mi aveva invitato ad uno dei loro incontri. E io, pivellina appena abilitata, ormai lontana dai compagni dell’università e alla disperata ricerca che qualcuno mi dicesse come si fa la psicologa nel concreto, avevo accettato.

All’Università mi avevano parlato di Piaget e Freud, di DSM, di teorie della comunicazione e psicometria e pure di deontologia professionale. Ma su come mettere in pratica tutto questo nel mondo reale, buio totale. Con il dubbio di essere io un po’ tarda nel cogliere i misteriosi segreti dell’avvio professionale, avevo quindi varcato la soglia dello studio che una collega aveva messo a disposizione quella sera per la riunione, incerta su cosa avrei mai detto a degli sconosciuti, ma fiduciosa che prima o poi avrei incontrato qualcuno che condividesse il mio terror panico nell’affacciarmi al mondo del lavoro.

Dalla riunione sono tornata a casa con qualche certezza in più (allora non ero solo io! Partire all’inizio è una faccenda complicata per tutti!) e una buona idea. Parlando con i colleghi di AP presenti quella sera, tutti più senior di me, avevo compreso più chiaramente una cosa che già si delineava nella mia testa. Fare rete era essenziale per iniziare. Avevo bisogno di confrontarmi con chi stava affrontando lo stesso percorso. Non solo per lamentarci assieme di quanto fosse difficile iniziare, ma soprattutto per condividere primi passi e idee. In un clima dove tutti hanno paura di fare il primo passo da soli, diventa più facile farlo assieme.

Purtroppo non conoscevo nessuno vicino a me che si occupasse di neuropsicologia come me e, per di più, che volesse farlo con gli anziani. Nessuno però mi impediva di cercarli.

Detto fatto con AP progettammo il gruppo e con un annuncio lanciato in rete nel giro di qualche settimana incontrai 5 colleghe come me all’inizio della carriera, discretamente spaesate dal conteso, sufficientemente preoccupate che non ci fosse lavoro ma anche entusiaste e motivate perché di psicologi alla fine ne hanno bisogno tutti, in qualche modo. Il profilo tipico dello psicologo agli inizi.

Un mix vincente che ha funzionato!                    

Chiamalo incontro di cervelli o spazio di confronto il gruppo, nato come realtà di discussione (e incoraggiamento!) sui  primi casi clinici che incontravamo al lavoro, nel tempo è evoluto diventando un momento di condivisione a 360°, che ha accompagnato l’inizio del lavoro in casa di riposo di alcune di noi, la scelta della scuola di specializzazione, la caccia a tirocini che valgano davvero l’impegno e la strada, l’arrivo del sudato diploma, la scelta combattuta di mettere in stand by il lavoro e la sua ripresa faticosa ma gratificante.

Abbiamo decriptato assieme il misterioso mondo delle prime fatture, condiviso la fatica dei concorsi, la ricerca di convegni gratuiti, lo sconforto delle ingiustizie viste e subite, la frustrazione dei momenti in cui non ti senti all’altezza di nulla, l’affannosa ricerca di corsi e libri e strumenti che sembrano non bastare mai.

In altre parole in questi quattro anni abbiamo condiviso il tortuoso avvio alla professione di psicologo.

Non solo a parole, ma anche nei fatti. Perché nel tempo con alcune abbiamo iniziato a collaborare attivamente anche fuori dal gruppo, in progetti nati come idee discusse tra un caffè e un libro prestato e che nel tempo hanno poi preso vita e consistenza, trasformandosi in lavoro vero, quello che alla fine chiudi emettendo fattura e che, a volte, presenti anche ai convegni.

E un po’ alla volta, come naturale evoluzione di un gruppo che cresce e matura, abbiamo scelto di aprirci ad altre colleghe, poiché con l’aumento dell’esperienza e del lavoro cresce parallela la necessità di allargare lo spazio di confronto a nuove teste e nuove idee. Una prospettiva che stavamo attuando da poco e che passata l’emergenza sanitaria speriamo di poter consolidare.

 

Perché ve lo racconto?
Prima di tutto perché è stato un bel viaggio. Di quelli che hanno accompagnato la tua vita per un po’, tra mille altre cose, e del cui valore ti accorgi quando ci ripensi su, a posteriori.

E poi perché questa esperienza mi ha confermato l’idea maturata quella sera, durante la mia prima riunione con AP da novella psicologa.

Iniziare è complicato ma assieme è più facile.

Mi rivolgo soprattutto ai colleghi che si affacciano ora alla professione, con quel terror panico che mi suona ancora così familiare. Fate rete colleghi, in tutti i modi possibili. Non abbiate paura di condividere idee e progetti. Se non avete colleghi con cui confrontarvi vicino a voi, andateli a cercare. Avere una buona idea è il primo passo, ma avere qualcuno a cui raccontarla potrebbe rivelarsi ancora più prezioso.

In bocca al lupo!




Non è uno psicologo per vecchi. (O forse si)

Non solo pizza, pasta e mandolino. Tra qualche anno il bel paese sarà pieno anche di girelli e bastoni. Già ora 1 italiano su 5 ha più di 65 anni. Entro pochi decenni la un italiano su tre sarà un anziano ma, purtroppo, non invecchieremo tutti bene.

L’ultimo rapporto Istat (2015) parla chiaro: siamo tra i paesi più longevi ma con la peggior qualità di vita in rapporto all’età.  E la maggior parte degli anziani vive in casa, in carico a famiglie già gravate da altre difficoltà.

Una popolazione che invecchia è una popolazione che cambia caratteristiche ed esigenze. E in Italia questo sta accadendo ad una velocità sostenuta.  Significa che nel giro di pochi anni ci troveremo di fronte ad una richiesta di Servizi completamente mutata, dove a farla da padrone saranno le esigenze degli anziani, e delle famiglie con anziani. Il tutto in una Società ancora profondamente impreparata ad arginare l’ondata dei Silver Needs. Lo dimostra la paradossale contrazione di risorse economiche nella sanità e nel sociale e la mancanza di una vision chiara sulla terza età nella legislazione degli ultimi anni, trasversale alle diverse correnti politiche.

Mentre cresce significativamente l’interesse per la cosiddetta Silver Economy, il settore dell’economia relativo ai servizi rivolti alla popolazione anziana, il SNN assume sempre meno psicologi, anche in geriatria. Nel futuro (e per molti già nel presente) pensioni basse, problemi di salute, difficoltà di spostamento non favoriranno un’impennata di capelli bianchi nelle sale d’attesa dei nostri studi privati.

Chi risponderà all’ondata dei Silver Needs?

Bella domanda. Al fianco del SSN, se la pone da un bel po’ anche il privato sociale che, con risorse sempre più scarse, da anni tenta di potenziare i Servizi. Se lo chiedono le aziende, dove l’invecchiamento della forza lavoro sta diventando sempre di più una condizione con cui fare i conti. Ma è una domanda a cui stanno provando a rispondere anche settori impensabili: le telecomunicazioni, il commercio, i trasporti. Perché una popolazione che invecchia è anche una popolazione che compra e consuma.

Quindi, ancora una volta, un buco nell’acqua per gli psicologi? Di nuovo un settore dove la nostra arte non sarà abbastanza capita, apprezzata, considerata? Io dico di no. Anzi!

In questo scenario più che mai servono figure capaci di analizzare i bisogni degli anziani e delle loro famiglie, fornire chiavi di lettura del modo in cui il cervello cambia con l’età, pensare e progettare servizi capaci di far fronte ai bisogni crescenti dei nuclei familiari che si scontrano con l’invecchiamento patologico. Perché quando le risorse sono ridotte e la domanda cresce in modo esponenziale, gli investimenti vanno nella direzione di soluzioni efficaci, ragionate, innovative.  C’è bisogno di progettazione, prevenzione, sostegno, riabilitazione, informazione.  E qui lo psicologo potrebbe fare da proverbiale “cacio sui maccheroni”.

La condizione è che anche gli psicologi facciano uno sforzo per ripensare alle tipologie di servizi e alle loro modalità di presentazione ed erogazione nel mercato, uscendo da logiche troppo classiche e inadeguate all’evoluzione del contesto socioeconomico e demografico in corso. Del resto anche se teniamo la testa sotto la sabbia le persone invecchiano lo stesso, e alla velocità che gli pare, affollando con i loro figli e nipoti gli studi di medici di base e assistenti sociali alla ricerca della risposta ai loro bisogni. Che, al momento, non è nemmeno lontanamente sufficiente.

È una chiamata alle armi che nessuno ci farà direttamente, ma che dobbiamo saper cogliere (con una solida preparazione alle spalle, s’intende). Perché siamo noi i professionisti che lavorano, tutti i giorni, con l’analisi dei bisogni, che studiano i fenomeni sociali, che si occupano di contrasto al pregiudizio e allo stereotipo, che lavorano con le risorse umane nelle aziende, ecc. ecc. ecc.

Questo è uno dei settori del futuro, sicuramente quello in cui la domanda è destinata ad aumentare. Un settore che richiederà professionisti capaci di innovare e mettersi in gioco, lavorando in team con le più svariate professionalità.  Perché non sono solo i dottori e gli psicologi a poter dare un contributo al miglioramento della qualità di vita di una società che invecchia.

Senza contare che, se ci pensate, è pure un investimento. Perché a esser vecchi, prima o poi, ci arriveremo tutti.