Fra i vari temi aperti dalla recente revisione del codice deontologico c’è il discusso articolo 22.
Discusso, in realtà, solo in un passaggio: quello in cui si prescrive che gli psicologi si attengano alle linee guida e buone prassi.
Questo passaggio è stato introdotto anche sulla base di un’osservazione presentata da Altrapsicologia nel 2023, sulla scia di considerazioni ben precedenti, come quelle presenti in questo mio articolo del 2021:
“L’articolo 5 che tratta del rapporto fra professione e scienza richiederebbe di essere rafforzato con un richiamo più diretto alla necessità di riferirsi, nell’operare professionale e quando ci si rappresenta come psicologi, alla scienza e alle fonti informative istituzionali. C’è ancora troppo esoterismo, nella nostra professione. Troppa autoreferenzialità. Atteggiamenti antiscientifici. Non possiamo permetterci queste derive, perché sono un rischio per le persone che seguiamo.”
All’epoca dell’articolo si era agli inizi del lavoro di revisione del Codice deciso dal CNOP, e noi avevamo già intuito come si sarebbe svolto: in modo artigianale e affidando incarichi in base all’affiliazione politica della maggioranza del CNOP stesso.
Per cui abbiamo voluto fin da subito chiarire che il codice deontologico riguarda tutti, e che non saremmo rimasti a guardare ma avremmo portato contributi pubblici anche qualora non fossimo stati ufficialmente coinvolti.
Così è stato: la commissione è stata nominata avendo riguardo soprattutto agli equilibri politici in CNOP, con una composizione che riteniamo per varie ragioni criticabile. E noi come promesso abbiamo fornito contributi pubblicamente, pure senza essere parte ufficiale del processo.
I lavori della Commissione del CNOP sono dunque proseguiti fino a quando, in una fase ormai avanzata, il 20 febbraio 2023, io e altri esponenti di AP che non avevamo mai avuto alcun ruolo ufficiale nel processo di revisione, abbiamo ricevuto in via informale la bozza del codice revisionato, con l’accordo di poter fornire alcune osservazioni nel più breve tempo possibile.
Perché noi e non ad esempio il dr. Mario Rossi del centro psicologi maltrattati di Canicattì? O la dr.ssa Lisa Bianchi di Psicologi per i Panda? Se si considera la partecipazione come un principio metodologico (nelle consensus conference ad esempio è IL principio) si dovrebbe dare a chiunque le stesse possibilità…
Io spero non sia stato solo per avere poi il sostegno dei nostri presidenti al CNOP.
Comunque, in tempi stretti, senza alcun mandato formale e consapevoli delle carenze metodologiche di questa operazione, abbiamo fornito un documento di osservazioni il 5 marzo, 13 giorni dopo. Si badi ai tempi: 13 giorni per commentare un lavoro di 2 anni.
Si è cercato in quell’occasione di proporre solo l’essenziale, su questioni che potevano essere critiche, ma in qualche modo alla cieca perché purtroppo non avendo partecipato ai lavori non conoscevamo la filigrana dei confronti che avevano portato alla bozza revisionale.
Ed è in questo documento che – fra le varie proposte – abbiamo anche suggerito di aggiungere all’articolo 22 che gli psicologi “nelle attività sanitarie si attengono alle linee guida e alle buone pratiche clinico-assistenziali”. Aggiunta motivata dal fatto che la legge 24/2017 art 5 aveva statuito per gli esercenti professioni sanitarie alcune indicazioni, che avrebbe potuto essere utile riportare alla lettera nell’articolo in quanto sono già un obbligo.
Abbiamo saputo molto dopo che questo suggerimento, a differenza di altri, era stato accolto così com’era dalla commissione e inserito nel testo del Codice revisionato.
Pongo l’accento sul fatto che la commissione non ha accolto integralmente i nostri suggerimenti: ha fatto una cernita, e scegliendo ha quindi assunto essa stessa la responsabilità di ciò che aveva selezionato.
Nel giugno 2023 il CNOP ha poi votato all’unanimità la bozza di revisione da sottoporre a referendum.
In quella votazione i presidenti di AP hanno sostenuto l’unanimità, ritenendo importante non ostacolare il processo di revisione ma vincolando il proprio sostegno ad una condizione precisa: che questa revisione fosse considerata solo un passaggio intermedio verso un lavoro più strutturato.
Con il senno di poi, per come è stata usata quella dichiarazione, avremmo forse dovuto essere più espliciti: questo lavoro è fatto male e nasce da un processo fatto male, ma siccome è urgente adeguare il CD ad alcune norme di legge nel frattempo intervenute, noi lo votiamo riservandoci subito dopo di lavorare ad una vera revisione.
Ne ricavo una massima: mai essere gentili a scapito della chiarezza.
In ogni caso, una volta licenziata dal CNOP, la bozza del nuovo codice deontologico è stata finalmente esposta per la prima volta alla comunità professionale.
Ormai però era in qualche modo blindata, essendo destinata ad essere votata al referendum.
Non vi era, cioè, la possibilità che eventuali osservazioni della comunità professionale potessero essere in quella fase accolte.
E questo è un altro pasticcio metodologico: normalmente (ad esempio nelle consensus conference) la bozza del documento viene pubblicata man mano si procede, e comunque PRIMA di licenziarla in versione finale, non dopo, proprio per raccogliere i commenti di tutti gli stakeholder e usarli per rifinire il testo.
Così non è stato: alla comunità professionale è stato soltanto chiesto di pronunciarsi per un sì o per un no sull’intera proposta di revisione ormai cristallizzata.
Ma la comunità professionale è un corpo vivo, a cui non puoi sottoporre un testo chiedendo di votare SI/NO senza averlo mai visto prima.
E quindi psicologi e psicologhe hanno inevitabilmente commentato.
Sono così arrivate svariate osservazioni sul Codice revisionato.
Fra le varie osservazioni della comunità professionale ve ne sono state diverse sulla formulazione dell’articolo 22, che nella parte sulle linee guida era troppo perentoria e non concedeva nemmeno lo spazio di calmierazione che la legge 24/2017 invece concede.
Senza questa mitigazione, il clinico diventa schiavo e non interprete di una linea guida.
Un’osservazione quindi corretta e di merito, e una fragilità del testo che pure noi, che avevamo originariamente proposto quella formulazione, abbiamo ammesso pubblicamente in un articolo a mia firma:
Il principio in sé è corretto. Peraltro recepisce anche un dovere già presente nella normativa (Legge 24/2017), a cui gli psicologi sono comunque soggetti. È la formulazione scelta a non essere convincente. Il nuovo articolo 22 recita: “nelle attività sanitarie, lo psicologo e la psicologa si attengono alle linee guida e alle buone pratiche clinico-assistenziali”. È un obbligo perentorio. Ma la legge 24 dice che “gli esercenti le professioni sanitarie (…) si attengono [alle linee guida e buone prassi], salve le specificità del caso concreto”. Quel ‘salve le specificità del caso concreto’ cambia tutto, trasforma un obbligo in una indicazione, lasciando ampio spazio all’autonomia del professionista. Che in questo modo può, ma non deve, attenersi alle linee guida e buone prassi in modo assoluto. Secondo la legge 24/2017 non seguire le linee guida non è un’infrazione, è una possibilità del clinico. A cui si collega uno specifico e più stringente regime di responsabilità. Invece, secondo il nuovo articolo 22 è una sorta di obbligo (‘si attengono’) senza eccezioni. Si tratta di una formulazione che, oltre ad essere poco applicabile, configura un contrasto normativo che andrà corretto.
Ora: di fragilità simili la comunità professionale ne ha segnalate diverse, prima del referendum.
Ma invece che fermarsi un attimo e valutare un eventuale ripasso in commissione, il CNOP ha preferito proseguire a testa bassa come un ariete, perfino – a tratti – ingaggiando una specie di gara con quella parte di colleghi della comunità professionale che stava presentando osservazioni anche sensate.
Il tempo ci sarebbe stato, e non sarebbe stato un problema.
E a quel punto, te la vai proprio a cercare.
Ma tutto questo massacro sull’articolo 22 (e su altri articoli che hanno avuto simile destino) secondo me è un esempio paradigmatico delle carenze di processo che ci sono state in questa revisione, a partire dal mancato coinvolgimento sistematico e ordinato di tutta la comunità professionale in tutte le fasi di revisione, attraverso metodologie strutturate (il modello della consensus conference è uno dei tanti).
E sull’importanza del processo non si può dire che AP non abbia detto nulla: sta in tutti i nostri contributi degli ultimi tre anni, perché conosciamo i nostri interlocutori e sappiamo che quello era il rischio principale: un metodo artigianale, estemporaneo, parziale e non tracciato, dove la partecipazione non è un principio metodologico ma il frutto casuale di una catena fortuita di eventi.
A ciascuno le proprie responsabilità.
Condivisibile sia l’analisi che ti porta a concludere “…un esempio paradigmatico delle carenze di processo che ci sono state in questa revisione …” sia la massima da seguire per il futuro “mai essere gentili a scapito della chiarezza”.