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La vicenda di Meloni e Letta che dissertano di ‘devianze giovanili’ poteva finire lì.

Si era già capito che nessuno dei due aveva idee sensate in merito.

Anzi, si era capito che entrambi partivano dallo stesso erroneo presupposto che ‘devianza’ sia un’etichetta oggettiva che si può applicare ai fenomeni sociali per distinguere quelli ‘devianti’ da quelli ‘non devianti’.

Le due posizioni cambiano solo nell’idea di cosa farne, dei ‘devianti’.

Giorgia Meloni è pulitissima: vanno corretti.

Enrico Letta, forse per provare a differenziarsi, tenta una goffa celebrazione con quel ‘Viva le devianze’ che mostra lo stesso identico pregiudizio: anche per lui esistono dei ‘devianti’.

Nessuno dei due pare orientarsi nelle insidie dei processi di etichettamento, in cui classificazioni di tipo etnico, razziale, morale, comportamentale servono alle lotte di potere fra gruppi sociali.

Il costrutto di ‘devianza’ descrive proprio i processi di conflitto fra gruppi sociali in cui uno – di solito quello che detiene più potere -etichetta l’altro come ‘deviante’ da una norma con lo scopo di assimilarlo per correzione o segregarlo in quanto dannoso e non correggibile.

Il costrutto di ‘devianza’ non è nato per etichettare fenomeni sociali come farebbe un naturalista con le foglie.

Il tema non è quindi cosa contiene la blacklist, quali fenomeni includere.

Il tema è di avere il coraggio (o la cultura) di non usare il costrutto di ‘devianza’ per classificare le condizioni umane.

L’intelligenza di capire che il costrutto ‘devianza’ descrive dei conflitti tra gruppi sociali diversi, non delle condizioni umane.

Ma purtroppo, e qui bisogna fare autocritica, non lo capiamo nemmeno noi psicologi.

L’ORDINE LOMBARDIA E IL CNOP
Cercando maldestramente di fare chiarezza, il Consiglio Nazionale condivide un post dell’Ordine degli Psicologi della Lombardia sulle ‘devianze giovanili’.

Il post originale dell’Ordine Lombardia recita:

“Il tema delle devianze giovanili dovrebbe essere centrale nelle agende di lavoro dei politici in modo da favorire la tutela della salute dei giovani, promuovere resilienza e attenuare le differenze sociali”.

Qui l’Ordine cade nello stesso errore di Meloni e Letta: parte dal presupposto che le ‘devianze giovanili’ esistano.

Cioè che esistano come oggetti naturali, classificabili.

Che se ne possa fare, ancora una volta, una lista.

E, anche, che questa faccenda della ‘devianza’ riguardi i ‘giovani’.

È solo sul ‘cosa farne’ che l’Ordine si differenzia, adottando una posizione di indulgente paternalismo in cui si vuole ‘tutelare la salute dei giovani’ (sono dunque malati?), ‘promuovere la resilienza’ (e che vuol dire?), ‘attenuare le differenze sociali’ (omologando i ‘devianti’ dopo averli etichettati come tali?).

E allora sarebbe da chiedere all’Ordine Psicologi Lombardia di esplicitarci questa lista di ‘devianze giovanili’.

Ed è qui che cadrebbe il palco.

Perché qualunque elenco sarebbe un elenco a sentimento, privo di alcuna oggettività o scientificità e fondato semplicemente su pregiudizi sociali verso persone, gruppi o comportamenti.

A questa richiesta si dovrebbe solo rispondere che ‘devianza’ è un’etichetta usata per agire conflitti di potere fra gruppi sociali.

Che il costrutto ‘devianza’ indica un fenomeno di campo, una partita fra gruppi sociali che si contendono un potere.

Un conflitto in cui nessuno dei due è portatore di un qualche problema, ma entrambi giocando la partita del potere usano anche l’arma di qualificare [negativamente] le caratteristiche dell’altro.

Ma nulla di tutto questo filtra dal post dell’Ordine Lombardia, che invece sposa l’idea che alcuni fenomeni siano in sé delle ‘devianze’ e coniugandole al ‘giovanile’ completa un’operazione di doppio stigma.

Ma si poteva fare peggio. E l’Ordine Lombardia ci è riuscito.

Nel maldestro tentativo di spiegare cosa sia una devianza, l’Ordine chiama in causa la rarità statistica.

Con una posizione fra il pilatesco e l’accademico, viene saltato a piè pari un secolo di antropologia, di sociologia e di lotta alle discriminazioni.

Tutto diventa una questione di frequenza.

Dubito però che l’Ordine, chiamato a rispondere, elencherebbe fra le ‘devianze giovanili’ rarità statistiche come le manifestazioni comportamentali dello spettro autistico, particolari abilità matematiche o gli sport estremi.

Più probabilmente fornirebbe, come tutti, il solito elenco paternalistico e fondato sulla colpa: droga, sesso promiscuo, bullismo, baby gang e tutto il corredo dei cattivi.

Che poi siano da condannare, correggere, integrare o curare, poco importa. Sempre cattivi sono.

DALLA DEVIANZA ALLA CITTADINANZA
La questione della devianza è del tutto analoga alla questione di classificare le etnie, operazione priva di base scientifica e spesso operata per segregare gruppi sociali allo scopo di limitarne i diritti di cittadinanza.

Qui stiamo assistendo ad processo simile: un gruppo che ritiene di essere ‘normale’ individua dei gruppi che etichetta come ‘devianti’.

In particolare, trattandosi di devianze ‘giovanili’, qui sono i ‘giovani’ (qualunque cosa siano) ad essere derubricati, in tempo di elezioni politiche, da cittadini a problema sociale oggetto di attenzione dei ‘veri’ cittadini.

Un’operazione che fonda le sue radici nella mentalità gerontocratica per cui il ‘giovane’ ha qualcosa che non va a prescindere, in quanto ‘giovane’.

Se noi psicologi avvalliamo l’idea che esistano delle ‘devianze giovanili’, stiamo avallando un’operazione di classificazione discriminatoria e classista che non è scientifica, ma sociale e politica.

Il tema di fondo è sempre quello di segregare gruppi di persone in base a comportamenti o caratteristiche che un gruppo di potere definisce anormali.

Fino agli anni 70 lo facevamo con gli omosessuali, per dire: erano ‘deviati’, o ‘invertiti’.

Ora rischiamo di farlo con altri gruppi sociali.

Ad esempio i consumatori di sostanze. I bulli. I profughi. I criminali. Anoressici, obesi, alcolisti, autolesionisti.
Ciascuno compila la propria lista di ‘devianti’.

La Meloni ha una lista più lunga.

L’Ordine Psicologi magari avrà una lista più corta e più ‘politicamente corretta’.

Ma l’operazione di base è la stessa ed è sbagliata.

Occorre proprio uscire dalla logica asimmetrica in cui un gruppo sociale si arroga il potere di classificarne un altro.

Mentre finché usiamo il concetto di ‘devianza’ come etichetta per i fenomeni, la dinamica è che io decido per te chi sei (etichetta), cosa senti (hai un problema), e cosa devi fare (ti serve una cura che io scelgo per te).

E in questo modo tu resti sempre un po’ meno cittadino di me.