Cent’anni di Equo Compenso, e va sempre peggio.

“Il Consiglio dell’ordine stabilisce i criteri per la determinazione degli onorari, e devono essere fissati i limiti di un massimo e di un minimo.”

No, non è la nuova legge sull’equo compenso. È il Regio Decreto n. 1578 del 1933 che fissa le tariffe per gli avvocati.

Questo per dire che, nonostante gli annunci roboanti di questi giorni, l’equo compenso non è certo una novità. Entra ed esce dalle professioni da almeno un secolo.

Ma almeno le leggi di una volta erano chiare, lineari: un minimo e un massimo, in qualunque situazione. Stop.

Oggi invece è tutto un distinguo, un ghirigori di casi e condizioni.

E delle varie leggi, direttive europee, decreti e regolamenti che si sono accumulati nel tempo, questa nuova legge sull’equo compenso è solo l’ultima in ordine di tempo, e nemmeno la più illuminata.

Stupisce che dopo oltre un secolo di trattazione della materia, dal Parlamento esca ancora un materiale così imperfetto.

Senza scendere troppo nel dettaglio (rimando al testo approvato del DDL 338-B), voglio solo commentare un paio di evidenti errori/orrori della nuova legge.

Il comma 3 dell’articolo 5 prevede che “gli ordini e i collegi professionali adottano disposizioni deontologiche volte a sanzionare la violazione, da parte del professionista, dell’obbligo di convenire e preventivare un compenso equo (…) e in applicazione dei parametri previsti“.

In pratica, gli Ordini dovrebbero organizzarsi per sanzionare i professionisti che, nel rapporto con le Pubbliche Amministrazioni o con committenti di rilevante dimensione (50 lavoratori o 10 milioni di euro di ricavi), non convengono o preventivano secondo i parametri dell’equo compenso.

Che è un po’ una contraddizione in termini, dato che il comma 1 dello stesso articolo prevede che “gli accordi preparatori o definitivi (…) vincolanti per il professionista, conclusi tra i professionisti e le imprese (…) si presumono unilateralmente predisposti dalle imprese stesse, salva prova contraria“.

Come dire: si presume che sia stata l’azienda a decidere unilateralmente di importi tariffe sotto i parametri, ma la sanzione la diamo anche a te.

Ma poniamo pure che un professionista sia complice, e abbia deciso scientemente di violare i parametri e scriverlo in un contratto.

In un caso come questo, il professionista con Ordine potrà subire una sanzione disciplinare. Il professionista senza Ordine invece resterà del tutto impunito, perché non esiste un organismo che possa sanzionare questi pseudo-professionisti.

Ecco, qui sta tutta l’assurdità della norma: nella disparità di trattamento fra professionisti con Ordine e professionisti di cui alla legge 4/2013, cioè quelli privi di Ordine.

L’equo compenso vincola solo i professionisti con Ordine. E diventa, di fatto, un precetto senza sanzione per i professionisti di cui alla legge 4/2013.

Sul mercato, questo significa creare un indebito vantaggio proprio nei confronti di quei professionisti – o pseudo tali – che ad oggi possono improvvisarsi senza alcun controllo.

Mia zia sarta che – legge 4/2013 alla mano – può fare la counselor esistenziale o la pedagogista cinica dall’oggi al domani, potrà farlo pure in violazione di qualunque parametro, in palese concorrenza sleale di un professionista con Ordine che invece è costretto a rispettare la legge.

Magari non succederà mai che una scuola bandisca un incarico sotto i parametri.

Ma se succedesse, un pedagogista cinico potrebbe partecipare senza alcun timore, mentre uno psicologo si taglierebbe fuori da solo per non rischiare un provvedimento disciplinare.

Ma ancora: nel pieno stile italico dell’imbroglio legale, le varie cooperative di comodo – non soggette alla legge sull’equo compenso – potrebbero intermediare con le pubbliche amministrazioni prestazioni a tariffe sotto i parametri, per poi sottopagare i professionisti che effettivamente svolgono il lavoro.

E poi, che dire di tutte quelle attività professionali in regime di lavoro autonomo (come molti bandi asl, o come i contratti INPS per le commissioni di invalidità) regolate da accordi collettivi o tariffazioni sostanzialmente fisse e determinate a livello regionale o nazionale?

Fra eccezioni, errori di concetto, e l’immancabile latenza nell’emanazione dei decreti che dovranno stabilire le tariffe, probabilmente anche questa legge finirà disapplicata e stritolata dal mercato, come tutte le precedenti degli ultimi 100 anni.

Ma oggi è il giorno degli applausi. Applausi, signore e signori.

E sipario, che domani l’equo compenso ce lo saremo già scordato.