Nel 2015 il TAR aveva escluso Assocounseling dall’elenco del Ministero dello Sviluppo Economico (MISE) che contiene alcune associazioni.
Si tratta di quelle associazioni private, prive di qualunque riconoscimento pubblico, che rappresentano le così dette ‘professioni non regolamentate’, quelle cui lo Stato ha dato una blanda forma di riordino con il contenitore indistinto della Legge 4/2013.
Il TAR si era pronunciato su ricorso del Consiglio Nazionale (CNOP) e dell’Ordine Lazio, dando loro ragione: aveva così impedito alla famosa associazione Assocounseling di iscriversi all’elenco del MISE.
A sua volta, il MISE insieme al Ministero della Salute avevano opposto alla decisione del TAR un ulteriore ricorso, al Consiglio di Stato.
Che oggi si è pronunciato respingendo la sentenza del TAR e quindi permettendo ad Assocounseling di iscriversi all’elenco del Ministero dello Sviluppo Economico.
Il mondo del counseling in queste ore è in fermento e sta presentando questa sentenza come una vittoria e addirittura un riconoscimento del counselor non psicologo.
Non è così. La sentenza dice qualcosa di molto diverso.
NESSUN RICONOSCIMENTO DELLA PROFESSIONE DI COUNSELOR!
La sentenza, così come sottolineato dal Giudice, NON esprime alcuna considerazione sulla legittimità dell’attività di counseling svolta da non psicologi o sulla sua sovrapponibilità con l’attività di psicologo.
Ciò significa che la sentenza NON entra nel cuore della questione, ma si muove su un piano meramente amministrativo e tecnico rispetto ad una questione secondaria.
Scrive:
“i contenuti della presente decisione nel grado di appello sono circoscritti e limitati alla valutazione della legittimità o meno dell’inclusione della preredetta associazione (ndr: Assocounseling) all’elenco tenuto dal MISE”
e aggiunge che la sentenza non può:
“estendersi ad esprimere considerazioni circa la legittmità dell’attività di counseling e la sovrapponibilità o meno, nell’esercizio effettivo della professione di counseling, con l’attività propria dello psicologo professionale”.
LE FALLE DELLA LEGGE 4/2013.
La Legge 4/2013 è da sempre la norma cui i counselor fanno riferimento per il loro riconoscimento, ed è all’interno di questa legge che il Consiglio di Stato si esprime.
Non prima però di aver sottolineato una serie di storture e inadeguatezze nella legge stessa, caratterizzata da “non limpida ed immediata percepibilità degli obiettivi che il legislatore si è voluto porre con il varo della Legge 4/2013”
Il Giudice, infatti, sottolinea come la ragione per cui Assocounseling debba essere riamessa nell’elenco del MISE sia che non esiste nel testo della legge 4/2013 un ordine di requisiti necessari per essere iscritti all’elenco, e nemmeno dà compito al MISE di fare alcuna verifica se non sugli aspetti formali.
Nella sentenza il Giudice scrive:
“Infatti la formulazione (della Legge) si presenta inidonea a considerare esistente, per previsione normativa, la necessità che l’iscrizione alla quale aspirano le associazioni in questione sia preceduta dalla verifica del possesso di taluni requisiti ritenuti indispensabili per ottenere l’inserimento nell’elenco.
Addirittura i requisiti per l’iscrizione all’elenco non sono affatto indicati in modo dettagliato (…) appare sufficiente dimostrare di aver rispettato le prescrizioni di cui ai successivi art. 5 (l’esistenza di un atto costitutivo o di uno statuto, la puntuale declaratoria del tipo di attività professionale svolta dagli associati, la individuazione di coloro che siedono negli organismi deliberativi e siano titolari delle cariche sociali, la rappresentanza della struttura organizzativa dell’associazione, la dichiarazione che l’associazione non ha scopo di lucro), 6 (l’esistenza di un modello di autoregolamentazione…), 7 (la predisposizione di un sistema di attestazione di professionalità degli iscritti)”.
Insomma, il Giudice è costretto a riammettere Assocounseling nell’elenco amministrativo del MISE perché la legge 4/2013 è così fragile, e priva di controlli e controllori, che non ci sono elementi per impedire a qualcuno, praticamente CHIUNQUE, di iscriversi.
Nella sentenza infatti è scritto:
“in conclusione, la Legge 4/2013 non specifica quali siano le doverose indagini rimesse ai competenti uffici del MISE per vagliare l’accoglibilità o meno dell’istanza di una associazione di imprenditori o professionisti (…) la cui presentazione ha natura di attività prettamente compilativa che si perfeziona con il deposito presso gli uffici del MISE (…)detti uffici non debbano svolgere alcun filtro ai fini dell’iscrizione se non quello di verificare che tutte le dichiarazioni siano state rese e depositate con la documentazione necessaria, senza entrare nel merito dei contenuti di tale documentazione.
Quindi gli uffici del MISE (…) eseguono una MERA attività di acclaramento circa la COMPLETEZZA DOCUMENTALE della domanda proposta dall’associazione”.
Insomma: la legge 4/2013 è priva di filtri e controlli, basta avere uno statuto e qualche iscritto, e chiunque può iscriversi all’elenco del MISE…
NULLA in questa sentenza è detto circa il riconoscimento dei counselor come professione a se stante, né sposta di un millimetro quanto detto nei giorni scorsi dal Ministero della Salute, che ha stoppato la normazione al tavolo UNI dei counselor!
IL FRONTE DELLA TUTELA E IL RUOLO DEL CONSIGLIO NAZIONALE (CNOP).
A questo punto, a maggior ragione, di fronte ad una fragilità normativa così sconcertante, la tutela della salute dei cittadini diventa un presidio da tenere con sempre maggior trasparenza, fermezza e soprattutto chiarezza di intenti e strategia.
Le ambiguità degli inviti al tavolo della Consensus Conference (a proposito, sarà mica ora di chiuderla definitivamente?), le partecipazioni applaudite ai convegni di Assocounseling, gli intenti di “pacificazione” e di condivisione di perimetri portata avanti dal CNOP negli ultimi anni… salvo poi tentare di intestarsi all’ultimo momento le battaglie storiche di AltraPsicologia, sono un rischio non solo per la nostra professione, ma soprattutto per i cittadini.
E’ ora di avere un CNOP senza posizioni opache, e che si attivi concretamente per azioni legali a tutela della professione, in diffida dei counselor e di tutti i loro formatori.
Qui trovi la sentenza completa, con evidenziate in rosso, nella parte finale del documento, tutte le parti più importanti.
Io a questo punto penso che la battaglia sarà più lunga del previsto. Da psicologo, parlavo la settimana scorsa con due counselor incontrati ad un corso di formazione aperto a tutti, e mi dicevano che secondo loro il vero problema della diatriba psicologo-counselor è di natura linguistica. E’ nella definizione linguistica di ciò che fa una categoria e ciò che fa l’altra. Secondo loro sarà necessario che Assocounseling ri-definisca in maniera più puntuale e circostanziata ciò in cui consiste l’attività dei counselor, andando giocoforza a spingersi verso quella che attualmente è l’area del cosiddetto coaching e ri-articolandola in chiave di “consulenza personale”. Quindi un professionista che lavora nell’ambito della comunicazione, del problem solving, di supporto alle decisione e all’orientamento esistenziale, di miglioramento delle performances e di vera e propria consulenza, ossia di trasmissione di informazioni strutturate ed esperte al cliente. Una consulenza personale a 360 gradi, fatta anche magari in studi associati con altri professionisti, dove i clienti possano trovare del problem solvers a loro servizio per le varie tematiche portate. Il tutto operativamente sarebbe valutato con un questionario ampio dove rilevare le aree di intervento richieste. nel caso gli esiti del questionario standardizzato diano un punteggio per area sanitario-psicologico-clinica, evidenziando quindi la presenza chiara di tematiche di stretta competenza dello psicologo, scatterebbe l’obbligo di invio del cliente presso psicologi iscritti all’albo. Loro dicevano che la domanda di benessere e guida esistenziale non può essere ridotta a richiesta di cura e salute, perchè pienezza esistenziale è qualcosa di molto più grande che curare un disturbo. Uno dei due era pure avvocato, e diceva che secondo lui c’erano pure basi giuridiche (che io ignoro). Li ho ascoltati con interesse, ma non ho un risposta. certo, erano counselor ma a naso non proprio sprovveduti.
Sarebbe meglio, a mio parere, occuparsi dei tanti giovani e meno giovani psicologi disoccupati o sottooccupati anziché sostenere crociate contro altri soggetti: counselor, coach, reflector, parlanti, oratori, ascoltatori, pseudopreti, santoni…. Li facciamo tutti fuori? Anche se ciò fosse possibile (ma non lo è), subito dopo nascerebbe un altro soggetto. E poi ancora altri… e altri ancora. Penso che la nostra categoria dovrebbe lavorare ” per qualcosa” e non “contro qualcuno”. Per esempio si potrebbe puntare sulla massima pubblicizzazione della figura dello psicologo, sulla sua pratica sicura, sulle sue competenze certificate da titoli veri e riconosciuti e non da pseudo diplomi privi d’ogni valore legale. Questo bisognerebbe comunicare al cittadino. Si potrebbe anche fare una politica tariffaria che possa favorire una maggiore diffusione delle prestazioni Sono convinto, dopo avere esercitato la professione di psicologo per 40 anni, che fino a quando altri soggetti troveranno il loro “mercato” sarà impossibile qualsiasi “lotta”. Meglio occuparsi del come conquistare consenso con i potenziali utenti, magari con un pizzico di umiltà in più e offrendo prestazioni sempre più differenziate e qualificate. Il continuo nemico da lottare penso che sottragga molte energie alla nostra comunità professionale.
Lavoriamo per la salute pubblica, non [solo] per le prospettive occupazionali degli psicologi. Sapere che il chirurgo che opera suo figlio è un vero medico autorizzato dallo Stato è interesse pubblico.
Ma per tutto questo livore, non c’è una bravo psicoterapeuta che vi possa aiutare?? Siete violenti e svalutanti e credo rendiate un pessimo servizio ai vostri VERI professionisti
L’unico aggressivo mi pare lei, in questo suo commento che pubblichiamo a futura memoria.
altra segnalazione. Vogliamo parlare di questo: http://www.iltuocoach.it/cose-iltuocoach-it/. ? Non è ancora finita la battaglia contro il Counseling, che sia apre un altro universo parallelo. Riflessioni?
Si tratta di due professioni diverse. Non comprendo la natura dello scontro. Il counsellor deve essere il principale sensibilizzatore nella promozione della salute psichica e avvicinamento allo psicologo in tutti i casi di psicopatologia. Deve essere un aiuto agli psicologi! La gente ha ancora troppa paura di noi. Io mi auguro una collaborazione futura molto nutriente. Counsellor e studentessa in psicologia.
Non capisco, sta studiando psicologia? E non le hanno ancora spiegato che lo psicologo non “si occupa” (non in prima persona) di “casi di psicopatologia”? A meno che non sia anche psicoterapeuta? solo chi non ha ancora compreso questo può ancora affermare che parlando di psicologi e di counsellor “si tratta di due professioni diverse”. Costrutto che non sta in piedi, e di cui si dovrebbe ormai dare per scontata l’inconsistenza. Psicologa e psicoterapeuta
Siamo in un regime di libera concorrenza. Compriamo le stesse cose in negozi diversi. Se un counselor lavora bene e ci sa fare può avere dei clienti. Se uno psicologo lavora male non avrà clienti sufficienti nemmeno se non esistessero piu’ i counselor. I fabbri e i falegnami montano entrambi serrature ma i fabbri non dicono ai falegnami di ritirarsi e viceversa. Se un professionista indipendentemente dal titolo sa lavorare lavorerà. Si dice sempre che i counselor sconfinano ma perchè non si dice mai che gli psicologi sconfinano? I counselor non dovrebbero lavorare sul passato e allora gli psicologi non dovrebbero lavorare sul presente E’ un pò come dire che gli stranieri rubano ma rubano anche gli italiani. In definitiva chi lavora male si ritira e chi lavora bene continua