Lo IAPT è un programma attivo dal 2008 nel Regno Unito, il cui obiettivo principale è evidente fin dal titolo: Improving Access to Psychological Therapies.
IN COSA CONSISTE? Le caratteristiche del programma IAPT sono poche, semplice e precise:
- aumentare l’accesso a terapie psicologiche per l’ansia e la depressione, nell’ipotesi che la salute mentale è un valore in sé e che la sua cura ha un valore monetizzabile in termini di occupazione e costi per malattie anche fisiche.
- utilizzare protocolli standard, che partono dalla classificazione della condizione delle persone e applicano interventi standardizzati per intensità, durata e metodologia.
- avvalersi di terapeuti con una formazione completa, accreditati, che sono tenuti ad adottare i protocolli del programma in fase diagnostica, di trattamento e di rilevazione dell’outcome.
rilevare e considerare un valore anche la soddisfazione delle persone.
ECONOMIA E POLITICA, PRIMA CHE PSICOLOGIA. Lo IAPT è stato possibile grazie ad un forte commitment politico e sociale. Le forze politiche vengono interpellate dal Centre for Economic Performance della London School of Economics and Political Science sulla loro posizione rispetto alla salute mentale e i risultati della consultazione sono resi noti al pubblico.
Significativo che sia un prestigioso centro di studi economici ad occuparsi di questo tema. Perché la questione, nell’ottica adottata in UK, non è di lana caprina ma è invece molto concreta:
“Mental health problems are concentrated among people of working age, whilephysical health problems are mainly problems of retirement (see Figure 3). So the economicsis completely different for mental health and for physical health. Mental illness accounts for40% of all disability (claimants of Employment and Support Allowance) and 40% of allabsenteeism. Its overall cost to the economy is around £70 billion, of which roughly half isborne by taxpayers (Layard and Clark, 2014). Mental illness also adds 50% to the cost ofphysical healthcare (another £10 billion).”
A New Priority forMental Health’, Richard Layard.
GLI INGLESI LO FANNO MEGLIO? Non amo l’esterofilia a tutti i costi. L’argomentazione per cui negli altri paesi va tutto meglio rischia di essere un ritornello generalista. Ma è innegabile che il confronto fra IAPT e attuale situazione italiana sull’accesso alle cure psicologiche e sull’attenzione per la salute mentale è impietoso. Il maquillage ai LEA non basterà certo a sovvertire un sistema strutturato da decenni su divisioni regionali, offerte a macchia di leopardo, protocolli non standardizzati ed esiti raccolti in modo ancora troppo sporadico. Nel nostro paese non c’è ancora nemmeno il terreno di coltura per iniziare un discorso sull’ampliamento dell’accesso alle terapie psicologiche.
E GLI PSICOLOGI ITALIANI? Nemmeno possiamo dirci soddisfatti del dibattito interno alla nostra comunità professionale, ancora alle prese con diatribe fra approcci teorici e linguaggi iniziatici e timori (spesso eccessivi) per un abusivismo ciarlatano e privo di struttura.
MACROTREND. Nel mondo i macrotrend sociali e demografici stanno orientando gli Stati e gli organismi sovranazionali verso un’attenzione sempre maggiore alla salute mentale, all’invecchiamento felice, all’istruzione, alla relazione fra culture e modelli familiari diversi, alla gestione dei sistemi sanitari e di protezione sociale con una sinergia fra pubblico e privato. Il nostro modello di professione mi pare invece ancora poco orientato alla soluzione di problemi sociali così come sono percepiti dai cittadini, e al loro risvolto economico collettivo.
CHE FINE HA FATTO LO PSICOLOGO DI BASE? A distanza di anni, il famoso ‘Psicologo di Base’ è più un essere mitologico dai tratti fumosi, che riemerge dalle nebbie dei boschi incantati in cui vive nei periodi di elezioni degli Ordini, che una concreta iniziativa di servizio ai cittadini.
UN MILIONE DI PERSONE RAGGIUNTE DAI SERVIZI PSICOLOGICI. Siamo dunque ancora lontani dall’adozione di un programma come lo IAPT, che raggiunga quasi un milione di persone l’anno. Ma anche dalla concretezza politica, sociale e professionale su cui in UK si fonda.
Contesto questa frase “avvalersi di terapeuti con una formazione completa, accreditati, che sono tenuti ad adottare i protocolli del programma in fase diagnostica, di trattamento e di rilevazione dell’outcome.
rilevare e considerare un valore anche la soddisfazione delle persone” perché ambigua nel nostro contesto italiano di formazione.
Siccome credo nella buona fede dell’autore, credo sia figlia di automatismi ormai consolidati ma limitanti che impediscono la trasformazione della nostra professione nella direzione (ad esempio) intrapresa nel Regno Unito. Forse — è una mia ipotesi — senza trasformazione del sistema complessivo, niente IAPT in Italia.
Quelli che partecipano a IAPT in UK sono psicologi, anche se da loro chiamati therapists, ma non necessariamente specializzati in psicoterapia.
I protocolli hanno requisiti che a volte superano quelli delle nostre scuole (direi scuolette, perdonatemi..) all’italiana, ma non richiedono il foglio di carta della specializzazione.
Questo è un esempio di un protocollo molto “demanding”, a base psicoanalitica, che fa parte di IAPT.
http://www.annafreud.org/training-research/training-and-conferences-overview/training-at-the-anna-freud-national-centre-for-children-and-families/dynamic-interpersonal-therapy/
Caro collega,
molto più semplicemente, la frase che riporti è la sintesi della descrizione dello IAPT che si trova sul loro sito:https://www.england.nhs.uk/mental-health/adults/iapt/
“IAPT services are characterized by three things:
– Evidenced based psychological therapies: with the therapy delivered by fully trained and accredited practitioners, matched to the mental health problem and its intensity and duration designed to optimize outcomes.
– Routine outcome monitoring: so that the person having therapy and the clinician offering it have up-to-date information on an individual’s progress. This supports the development of a positive and shared approach to the goals of therapy and as this data is anonymized and published this promotes transparency in service performance encouraging improvement.
– Regular and outcomes focused supervision so practitioners are supported to continuously improve and deliver high quality care.”
Possiamo tradurla come vogliamo, ma non possiamo negare che i terapeuti dello IAPT siano soggetti di una forma di accreditamento. Certamente molto diversa da quella italiana, ma comunque una forma di accreditamento.
Sí certo, basta peró intendersi su che cosa significa Terapeuti. Per essere Cognitive Therapist accreditati IAPT e trattare la depressione grave basta una laurea da inferemieri e un anno di corso, come riportato qui. http://webarchive.nationalarchives.gov.uk/20160414160213tf_/http://www.iapt.nhs.uk/workforce/high-intensity/
Aggiungo che quando ha voluto esportare lo stesso training in Italia, Alessandra Lemma ha dovuto scontrarsi con lo scoglio dell’apertura di un training psicoterapeutico a non specializzati. Il primo training si è svolto a Urbino e ho potuto parteciparvi anche da specializzando, poi a Torino due anni dopo è stato chiuso ai non psicoterapeuti. Dal contatto diretto con la Lemma, ho avuto il suo parere “your system is way too complex, that’s your problem in Italy.” Il sistema di formazione è troppo complesso, non le diatribe teoriche. Questo ci imballa.
Ritengo che un primo step importante sia l’istituzione di uno psicologo di base per l’area pediatrica (almeno 0-3 aa.) considerati la molteplicità di variabili presenti nella crescita psicologica di un bambino/a, nella relazione con i suoi genitori, ecc.
In passato si era iniziato a parlare concretamente di una tale ipotesi… ma la situazione economica del paese e non solo hanno fatto sfumare il progetto.
Potrebbe essere un inizio su cui lavorare con impegno, consapevoli delle resistenze che si incontreranno, ma della bontà e importanza del progetto.
Gianni Biondi
Salve,
premettendo che negli UK non esiste obbligatorietà di iscrizione all’Albo e c’è tutta un’altra normativa sulla professione dello Psicologo, come si può pensare che in Italia venga contemplato lo psicologo di base se i medici hanno accesso all’Albo degli Psicoterapeuti, un medico italiano può, dopo la scuola di specializzazione in psicoterapia, iscriversi come psicoterapeuta con il vantaggio di poter somministrare medicinali.
Che dire del fiorire delle scuole di counselor, istituite paradossalmente da noi psicologi a cui hanno accesso tutti.
Io sono una psicologa ma vedo la nostra professione veramente in crisi…
Personalmente ho un medico di base notevolmente preparato e le poche volte che ha affiancato uno psicologo durante la visita non ne ho riconosciuto l’utilità….ma che facciamo due professionisti ed un paziente…mica tutti i pazienti che richiedono cure mediche gradiscono la seconta presenza.
Saluti.
Ricevo da Alessandra Merizzi, collega psicologa e psicoterapeuta che da qualche anno vive e lavora a Manchester (UK) questa considerazione, che inserisco come riflessione sul “verso dove si rischia di andare” o verso dove si sta giá andando nei servizi psicologici e psicoterapeutici alla persona. Parlando del sistema autorizzatorio (che vige da noi) vs. accreditatorio (che vige in UK) Alessandra, che è iscritta in Inghilterra ad HCPC, BPS (come psicologa) e BACP (come psicoterapeuta) dice: “Nessun sistema è perfetto. Comunque anche qui in UK ci son problemi e pure di rilievo. Per esempio recentemente c’è stato l’inserimento della nuova figura del psychological wellbeing practitioner che ha solo 45 giorni di training e può NON essere uno psicologo; questa figura è accreditata e viene messa a lavorare a costi bassi con persone che hanno bisogno di un sostegno professionale di più alto livello. Ancora, i servizi di salute mentale che seguono casi più “lievi”, ossia dove non viene rilavato alto rischio (primary care – IAPT dove si curano depressioni, disturbi d’ansia, trauma, ecc.) si son riempiti di cognitive behavioural therapist, anche loro con una formazione scarsa, ma accreditata, che vengono pagati meno, e lavorano in servizi “veloci”, dove con poche sedute dovrebbero “curare” una persona; i risultati che si stanno vedendo sono numeri alti di burn-out di tale personale, professionisti che lasciano il lavoro per passare ad un altro servizio o che cambiano carriera. Ed ora con i PWP voglio proprio vedere come si metton le cose. Questo è un esempio per dire che pur essendo quello britannico un sistema che sembra funzionare con tanto di accreditamenti e obbligo CPD (formazione professionale continua) ci sono molte falle che portano ad un livello dei servizi che si abbassa sempre di più e ad una squalificazione della professione, creando figure sempre meno formate e più a basso costo, ma accreditate, che prendono il posto di psicologi clinici e psicoterapeuti. In Italia è vero che c’è molto da fare e migliorare, ma attenzione che seguire modelli britannici e statunitensi si rischia di trasformare la cura in un mero business capitalistico.”