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Mesi fa sono stato ad un convegno sugli standard del lavoro con i pazienti T.
Molti interventi anche internazionali sul tema. Molti attivisti LGBT chiamati a parlare come relatori. L’intervento che più mi ha colpito è stato però quello, forse un po’ provocatorio nei confronti della categoria degli Psicologi,  di una attivista, Orlando (nome di fantasia):
Vi occupate di persone T solamente fino all’intervento. Poi non se ne parla più. Ma guardate che le persone T esistono anche a prescindere dalla riattribuzione chirurghica del sesso”.

Nei mesi a seguire ho ripensato spesso alle parole di Orlando.
Ho pensato ad ogni volta che sono stato ad un convegno sul tema, spesso patrocinato dall’Ordine degli Psicologi della Campania, oppure ad ogni volta che ascolto o leggo di Psicologia LGBT: si parte sempre dallo stesso punto:  il 17 maggio 1990, l’OMS ha depatologizzato l’omosessualità!
Poi… Via di Minority Stress, Omofobia Interiorizzata, Transfobia Interiorizzata, Linee Guida per i pazienti LG e per pazienti T, etc…

Bello, anzi bellissimo!

Fare formazione e informazione su questi concetti non è mai abbastanza anche perché all’Università, almeno in Campania, esami nei quali apprendere questi concetti non ce ne sono.

Eppure, da allora ho maturato una posizione semplice: Orlando ha ragione!
Forse è arrivato il momento che anche gli Psicologi campani maturino una posizione simile.

In attesa vi dico la mia a riguardo:

Le persone LGBT non sono solo pazienti. Così come gli psicologi non fanno soltanto gli psicoterapeuti.
La mia domanda dunque è semplice: come mai la psicologia che si occupa di LGBT si è appiattita soltanto sulla clinica?

Le persone LGBT lavorano (quando non viene loro negato questo diritto fondamentale in virtù di antichi pregiudizi). Così come gli psicologi non si occupano solo di clinica. Ci sono ad esempio gli psicologi del lavoro: dovremmo, forse, iniziare a dire la nostra al riguardo (Diversity Management);

Le persone LGBT fanno sport e a volte sono costrette a velarsi per non essere vittime di pregiudizi e discriminazioni. Così come ci sono gli psicologi dello sport: dovremmo, forse, iniziare a dire quello che gli psicologi possono fare al riguardo per animare contesti sportivi più inclusivi;

Le persone LGBT si formano, vanno a scuola e accompagnano i figli a scuola. Così come ci sono gli psicologi scolastici: dovremmo, forse, iniziare a dire quello che gli psicologi possono fare al riguardo poiché nelle scuole oltre al bullismo e ai bisogni educativi speciali esiste anche il bullismo omofobico (e tutte le sue declinazioni).

Le persone LGBT frequentano strutture sanitarie e spesso, soprattutto le persone T, subiscono discriminazioni da personale poco attento all’accoglienza. Così come gli psicologi non lavorano solo con gli individui. Ci sono ad esempio gli psicologi delle organizzazioni: dovremmo, forse, iniziare a dire quello che gli psicologi possono fare al riguardo e i percorsi di formazione e sensibilizzazione che potrebbero strutturare con capacità e competenza.

Potrei andare avanti ancora per molto.

Ma il concetto è semplice: bisogna andare oltre la clinica LGBT.

Per farlo è necessario promuovere delle pratiche di reale partecipazione e scambio tra i colleghi; Tavoli di discussione capaci di intercettare psicologi con competenze professionali in ambiti differenti ed eterogenei; tavoli di discussione che abbiano lo scopo da un lato di riconoscere le questioni sulle quali la cittadinanza LGBT+ chiede intervento e dall’altro di individuare le linee di intervento che gli psicologi possono e devono promuovere al fine di dare un reale impulso per una società inclusiva per tutte e tutti.