image_pdfimage_print

di Ambra Cavina

Ho una vecchia e cara amica, psicologa e psicoterapeuta esperta, con incarichi di responsabilità. Abbiamo frequentato insieme l’Università, cariche di entusiasmo per la disciplina e per una professione nel cui valore sociale credevamo profondamente. Allora, pensavamo che la Società avrebbe sempre più riconosciuto questo valore e di seguito, le nostre fatiche formative e lavorative sarebbero state in qualche forma ricompensate.

Al nostro ultimo incontro, confrontandoci, ci siamo accorte che entrambe potevamo ancora credere nel valore della nostra professione, ma lei non poteva più credere che ci sarebbe stato prima o poi un riconoscimento sociale della stessa.
Ha esclamato: “Se tornassi indietro, mai più! Troppa fatica, troppa frustrazione, troppa precarietà, poca tutela e nessun riconoscimento, neanche la pensione…solo le tasse, l’Ordine e l’ENPAP!”.
Non entro nel merito della nostra precarietà lavorativa e delle inevitabili frustrazioni professionali, deve aver avuto una settimana pesante!…è una libera professionista da sempre, quindi conosce molto bene una realtà lavorativa fatta di precarietà, flessibilità, dinamismo, ricerca, promozione, passione, formazione costante e spesso tanta solitudine.
Sento l’obbligo di entrare nel merito della tutela della professione e in particolare della previdenza, quindi Ordine ed ENPAP, sento l’obbligo di recuperare il senso di queste due istituzioni. Lo devo a lei e al suo impegno professionale, lo devo ai nostri sogni, perché esistono i sogni dei più giovani con le loro difficoltà occupazionali ed esistono i sogni dei meno giovani con le loro gratificazioni mancate e/o aspettative frustrate e una strada ancora tutta in salita.
Parto dalla previdenza, poiché riconosco una valenza meritocratica e di riconoscimento sociale alla pensione, come a dire a un proprio contributo alla società corrisponde una ricompensa della stessa, il proprio lavoro è socialmente riconosciuto.
Dimentico la psicologia e parto dal “mal comune, mezzo gaudio”: dopo le riforme previdenziali Dini (1995) e Fornero (2011) la situazione previdenziale è diventata più dura per tutti, c’è stato il passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo e l’innalzamento dell’età pensionabile. È stata introdotta la previdenza complementare e progressivamente è diventata prassi comune tutelarsi, aprendo un proprio fondo pensionistico e/o assicurativo.
Naturalmente ottengo un suo ironico: “Dovrei essere sollevata dal fatto che progressivamente si vada al ribasso per tutti? Che sia più difficile per tutti?”. Già, non sono stata una gran psicologa!
Ricomincio…dalla Storia, la storia costruisce l’identità sociale, può restituirle il senso delle istituzioni e fare chiarezza su due enti, l’Ordine e l’ENPAP, che ci appartengono e che pur avendo origine, compiti e struttura molto diversi capita spesso vengano confusi e identificati come una tassa in più da pagare, un tributo per poter praticare la professione.

Il nostro sistema pensionistico, oltre alle forme di previdenza dei lavoratori dipendenti e autonomi, ha previsto forme obbligatorie di previdenza per i liberi professionisti. Le Casse di previdenza sono gli enti previdenziali di riferimento per i liberi professionisti iscritti agli Albi professionali, che sono obbligati ad iscriversi alla propria Cassa di riferimento e a versare regolarmente i contributi previdenziali richiesti dalla stessa. Come gli enti pubblici previdenziali, sono enti impositori in quanto obbligano i soggetti al pagamento dei contributi previdenziali e assistenziali. Le Casse di previdenza, pur essendo autonome, private (D.lg. 509/1994) e finanziate completamente dai propri iscritti, sono sottoposte alla vigilanza del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e di quello dell’Economia. È col D.lg. 103/1996 che viene assicurata la tutela previdenziale obbligatoria nei confronti dei soggetti che svolgono attività autonoma di libera professione.
Le Casse previdenziali nascono con lo scopo di assicurare la tutela previdenziale anche ai soggetti che svolgono attività autonoma di libera professione senza vincolo di subordinazione. L’ENPAP è tra le casse previdenziali nate proprio col D.lg. 103/1996. L’ENPAP stessa si definisce come una fondazione di diritto privato che si occupa della previdenza obbligatoria e della tutela degli psicologi che esercitano la propria attività in forma di libera professione, erogando pensioni di vecchiaia, invalidità e superstiti, nonché indennità di maternità.
Dobbiamo dunque pensare a questo ente come a un diritto e non solo come un dovere, poiché, con tutti i suoi limiti e a dispetto dei recenti scandali, è nata per dare anche a noi, psicologi liberi professionisti, una tutela previdenziale e assistenziale. Lo psicologo libero professionista può avere come tutti l’aspettativa di “attaccare il cappello al chiodo”: deve arrivare ai suoi 65 anni di età, aver versato almeno 5 anni di contributi e moltiplicando il totale dei contributi versati per un determinato coefficiente, dato dall’età, sapere la propria pensione annuale.
Dovrei parlare non solo dei contributi previdenziali, ma anche di quelli assistenziali come malattia/infortunio o maternità. Sulla malattia/infortunio mi limito a citare il diritto all’indennità di malattia, secondo le nuove regole che il sito dell’ENPAP riporta, per cui si può richiedere un indennizzo per i periodi di malattia/infortunio superiori ai 7 giorni.
Dubito della qualità dell’informazione tra i liberi professionisti su quelli che sono i loro diritti, questa è una lacuna che andrebbe colmata, non ci si può lamentare di ciò che non si conosce e di seguito non lo si può migliorare.
Ho ottenuto dalla mia amica un “cercherò di pensare alla nostra Cassa di previdenza come a una piccola INPS…” e io commento “…però una piccola INPS di cui puoi eleggere gli organi amministrativi…” nell’obbligatorietà del versamento contributivo, non va dimenticato il potere del nostro diritto di voto!
L’ENPAP dà tutela e riconoscimento alla professione da un punto di vista previdenziale e assistenziale a livello nazionale ed è sì un ente previdenziale impositore, come l’INPS, ma pur nell’obbligatorietà del versamento contributivo, noi psicologi abbiamo un potere che non si può dimenticare, quello del nostro diritto di voto, noi eleggiamo direttamente gli organi amministrativi che si occupano dei nostri contributi previdenziali. Attraverso le elezioni, noi determiniamo due organi dell’ente previdenziale, il Consiglio di Indirizzo Generale e il Consiglio di Amministrazione.

Una Cassa previdenziale è cosa molto diversa da un Ordine professionale. La Cassa previdenziale mi dà un’idea di quando e come potrò “attaccare il cappello al chiodo”, l’Ordine mi presenta le forme che può avere “il mio cappello” per essere “il cappello da psicologo”.

L’Ordine è quell’ente pubblico autonomo che nasce per una doppia funzione di tutela verso la collettività: è garante per i cittadini della competenza e professionalità dei propri iscritti ed è garante per i suoi iscritti del riconoscimento professionale di fronte ai cittadini. Gli Ordini professionali portano in sé un valore corporativo e collettivo che non va dimenticato, a mio parere è ciò che dà senso alla loro esistenza. Sono enti la cui autonomia e autogovernabilità permette di garantire e ordinare giuridicamente la stessa collettività che li esprime.

Le qualità di autonomia e autogovernabilità di cui gode un Ordine attribuiscono un’enorme importanza al voto dei più che eleggono quei pochi, da cui dipenderà la caratterizzazione dell’Ordine stesso, quindi della collettività dei professionisti di cui l’Ordine è espressione. Il fatto stesso che lo psicologo sia una professione regolamentata dal 1989 con la Legge 56, quindi preveda la costituzione di Albo, Ordini regionali e Consiglio nazionale degli stessi (CNOP), fa sì che abbia un riconoscimento sociale, gli venga attribuito un valore sociale, un potere e una competenza specifici. Viene riconosciuto che lo psicologo è un professionista della Salute dei cittadini e l’Ordine si fa garante della Salute degli stessi.
Se l’Ordine promuove la professione nella società, entra nel dibattito sociale, difende le competenze e gli ambiti professionali, si offre come centro di servizi per i suoi iscritti, si attiva per dare informazione e ascolto agli stessi, crea rete tra di loro, allora l’Ordine tutela e realmente appartiene e caratterizza i suoi iscritti.  Questa è l’idea che AP ha dell’Ordine e un Ordine siffatto è una struttura funzionale ai suoi iscritti e non l’ennesimo “peso” professionale.
Gli Ordini regionali degli Psicologi così come il Consiglio Nazionale fanno vita a sé rispetto all’ENPAP e hanno ben poco in comune.
Riferiscono a due ministeri diversi, quello del Lavoro e della Previdenza Sociale e dell’Economia per ENPAP e quello della Salute per gli Ordini Regionali degli Psicologi. Hanno una costituzione differente, ENPAP prevede quattro organi costituenti, gli Ordini Regionali prevedono solo un Consiglio con un numero variabile di membri, al massimo quindici, in base al numero degli iscritti che rappresentano. All’interno del Consiglio vengono eletti il Presidente, il Vicepresidente, il Segretario e il Tesoriere. L’insediamento del Consiglio è ratificato con decreto del Ministero della Giustizia.
Gli eletti di ENPAP e degli Ordini hanno in comune solo il tempo del mandato e quindi ogni quattro anni torniamo ad eleggere i membri del Consiglio dell’Ordine e ogni quattro anni torniamo a votare per due degli organi di ENPAP. A collegare i due enti esiste solo all’interno dello Statuto dell’ENPAP una clausola che fa riferimento al CNOP, non più di due consiglieri del consiglio di amministrazione di ENPAP possono far parte del CNOP, non esiste, però, incompatibilità di incarichi per i consiglieri tra Ordini regionali ed ENPAP. 

La netta separazione tra Ordine ed ENPAP assicura un funzionamento ben differenziato e non promiscuo o confusivo di due strutture nate e cresciute per scopi differenti, con il solo obiettivo comune di dare garanzie alla stessa categoria professionale, garanzie previdenziali e assistenziali in un caso e professionali/giuridiche in un altro.

Questa funzionale separazione non esclude che si potrebbe creare una maggior collaborazione tra i due enti. Spesso quello che manca agli iscritti all’Ordine è l’informazione su che cos’è, come funziona e che possibilità offre l’ENPAP, c’è un vuoto di comunicazione che andrebbe colmato.
I giovani e i meno giovani non sempre sanno cosa possono chiedere all’ENPAP, AP si fa da sempre promotore di informazione tra i colleghi e anche su questo tema pensa si possa  fare qualcosa di importante.

Sarebbe sufficiente che l’Ordine istituisse qualche giornata di informazione e formazione ai propri iscritti sul sistema previdenziale e assistenziale, su quali sono i loro diritti e i loro doveri di contribuenti. La formazione continua per gli iscritti in modalità online e offline è una delle proposte del programma elettorale di AP e la formazione può riguardare anche aspetti della pratica professionale come quelli previdenziali.
Questi momenti formativi sarebbero occasioni importanti anche per raccogliere gli umori, le idee, le proposte degli iscritti rispetto alla loro situazione previdenziale e assistenziale, l’Ordine potrebbe farsi carico di questo bagaglio di opinioni degli iscritti per poi farne restituzione all’ENPAP. Si potrebbe creare un piccolo vademecum previdenziale sul sito dell’Ordine e un collegamento diretto col sito di ENPAP così da tener costantemente aggiornati gli iscritti. Si potrebbe creare un front office per le questioni previdenziali e assistenziali, lo si potrebbe creare anche solo sul sito dell’Ordine, non che l’Ordine si sostituisca ad ENPAP, ma che offra una prima semplice consulenza.
Fare dell’Ordine un luogo di servizi per i suoi iscritti è uno dei cinque punti del programma elettorale di AP e per me è quello che da maggior accoglienza alle esigenze dei liberi professionisti. Servizi, consulenze, informazione e formazione sono ciò di cui non abbiamo mai abbastanza.

Per il momento sono stata io ad aver colmato la lacuna informativa ed aver accolto il pensiero e lo scoraggiamento della mia amica. Penso che andrà a votare per l’Ordine, non so se lo farà per me, perché mi vuole bene, non so se lo farà perché gli è piaciuta l’immagine di un Ordine dinamico e utile ai suoi iscritti. Io spero lo faccia per se stessa, per i nostri sogni e per quel “cappello” che sempre portiamo con molta dignità.