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IL POTERE DELLA RETE

Perché collaborare e unirsi è utile alla nostra professione

Come psicologi, dovrebbe esserci ben noto il vantaggio di avere relazioni sociali, di stare in un gruppo, di avere una rete di supporto. Serve alla salute, serve all’umore e, incredibile a dirsi, serve anche al lavoro.

E’ curioso quanti colleghi si lamentino delle difficoltà della professione, ma poi non facciano un primo ed essenziale passo a favore di un cambiamento: stare insieme, confrontarsi, collaborare.

Se vogliamo crescere, non possiamo farlo da soli, ma dobbiamo farlo insieme.

Conosciamo i paradossi del nostro tempo, dove siamo sempre apparentemente connessi, eppure siamo, sostanzialmente, anche sempre più soli. Magari abbiamo 1000 “amici” su facebook, ma qualcuno che ci dia una mano quando stiamo veramente male, è una rarità. Non voglio comunque parlare di questo, su cui ci sarebbe da scrivere un trattato, ma rivolgere un attimo lo sguardo ad una situazione paragonabile in campo professionale.

Come psicologi abbiamo spesso un sito, scriviamo articoli, abbiamo una pagina facebook, una linkedin e, qualcuno, anche un profilo twitter.

Collezioniamo migliaia di “amici” in ciascun social network per pubblicizzarci al meglio, ma poi ci ritroviamo con pochissime connessioni professionali online e nel reale al fine di confrontarci e collaborare concretamente.

Ci disinteressiamo a ciò che capita alla professione intesa come unità, pensando al nostro piccolo orticello, come se le due cose non fossero connesse.

Salvo poi lamentarci quando gli effetti di questo individualismo emergono; e non ci rendiamo conto che siamo noi e il nostro scarso investimento nella colleganza ad indebolirci.

Perché fare gruppo è fondamentale nel nostro percorso lavorativo? Perché ci mette in contatto con altri colleghi ad un livello che sia un po’ più sostanzioso di un “like” o di una risposta ad una richiesta di contatto. Ci fa scambiare informazioni importanti, che potrebbero influire sulla nostra professione, ci permette di formarci in maniera formale ed informale, crea una rete professionale anche di possibili invii. Soprattutto, cosa tenuta in ultimo piano da tutti (per non dire non considerata) ci può far sentire il senso di comunità che, chiusi fra le quattro mura dei nostri studi, scuole o aziende in cui lavoriamo, è difficile percepire.

Il senso di comunità non è un’immagine romantica e anacronistica, di nessuna utilità. E’ una percezione fondamentale, non solo per non sentirsi soli, ma anche per darci spinta nel portare avanti battaglie importanti per noi, oltre che per la comunità (considerato che siamo una professione che ha come mission il benessere delle persone, ciò che limita e impoverisce la professione, conseguentemente limita e impoverisce gli utenti). Ed è essenziale per crearci un senso d’identità professionale forte, quella che, tanto per intenderci, i medici hanno. Questo senso di orgoglio di appartenenza non è solo qualcosa che ci fortifica all’interno, ma un’energia che sarebbe percepibile anche all’esterno, dando un’importanza e uno spessore maggiore alla percezione del nostro lavoro da parte della società.

Il rafforzamento di questo senso d’identità, tuttavia, non può che passare da un sostegno reciproco, pur nelle differenze del nostro lavoro, da un confronto che origini da una base di reciproca stima e apertura verso ambiti di applicazione diversi dai nostri o teorie e tecniche differenti.

Nella nostra comunità, invece, siamo di solito più occupati a sostenere quale ramo della psicoterapia sia più efficace, quale test più utile, quale tecnica lavorativa più cool dell’altra, in qualsiasi settore di applicazione. Questo non solo ci indebolisce internamente (tutto ciò che non permette di arricchirci e di ampliare il nostro orizzonte, finisce per essere una risorsa sprecata e non messa a frutto), ma anche esteriormente, agli occhi della società tutta, che vede una comunità divisa la quale pare sminuire l’apporto degli altri colleghi, quando non coincidenti col proprio.

AltraPsicologia è, per il nostro gruppo emiliano romagnolo così come gli altri sparsi per l’Italia, un’occasione per confrontarci, sostenere noi e la professione, aprire la mente ad ambiti differenti da cui ciascuno di noi può apprendere qualcosa anche per il proprio stesso lavoro, sentire di partecipare ad una stessa comunità e, quando necessario, combattere per gli stessi principi.

Per quanto mi riguarda, sicuramente mi ha dato molto personalmente e professionalmente, facendomi anche applicare in ambiti di lavoro differenti, scambiando idee da prospettive nuove, creative e trasferibili, in parte, anche sul mio lavoro individuale. Mi ha tenuta sempre informata, prima di tutti, sui cambiamenti nella mia professione, in modo da potermi preparare prima o lottare contro, quando necessario. Mi fa sentire che non sono sola, che quando ho un dubbio o un’idea, ho un gruppo ed un’intera comunità con cui condivido aspetti essenziali, con cui confrontarmi.

E non è solo una connessione “ideale”, è una collaborazione pratica, che portiamo avanti da dieci anni, nei campi più disparati e in modi sempre diversi ed innovativi.

Un esempio? L’ultima attività è una rete di psicologia del lavoro avviata dal 22 gennaio, costituita principalmente da colleghi che si sono formati od operano nel settore del lavoro e delle organizzazioni dove ci si confronta, ci si mette in gioco, si propongono idee e si collabora in modo attivo per la condivisione e la creazione di nuove opportunità di lavoro.

Vuoi entrare a fare parte della rete di psicologia del lavoro? Contatta Michele Piattella all’indirizzo michele.piattella@gmail.com , sarà felice di darti tutte le informazioni sul progetto.

Sì, sono “intrappolata nella rete”. E ne sono felice.

E tu, cosa pensi di fare?