Nei giorni scorsi vi è arrivata la newsletter dell’Ordine Psicologi Emilia Romagna dal titolo “Riflessioni sui patrocini”. La comunicazione inizia così ” Recentemente vi è stato un dibattito acceso per la concessione, da parte dell’Ordine, di un patrocinio per un evento…(continua)” . L’evento di cui si parla era un convegno realizzato a Forlì con la presenza di relatori noti per le loro posizioni contro quella che viene definita “ideologia gender” (???)
Di come si sono svolti i fatti in Consiglio abbiamo parlato noi di AltraPsicologia Emilia Romagna, della responsabilità che un Ordine dovrebbe assumersi in rappresentanza della comunità professionale ha parlato Federico Zanon, sul significato reale di un patrocinio come scelta politica e non come mero atto burocratico ha scritto questo ottimo articolo Mauro Grimoldi.
Noi di AltraPsicologia Emilia Romagna abbiamo espresso enormi perplessità sia sui contenuti sia sulle modalità con cui la discussione è stata portata avanti in Consiglio (o meglio NON è stata portata avanti visto che alle nostre sollecitazioni è seguito il silenzio) e nell’uscita non concordata del documento firmato dalla Presidente nel quale si descrive di fatto l’attività del Consiglio come una mera burocratica applicazione di un regolamento. Regolamento che, per inciso, in presenza di una reale volontà politica della maggioranza potrebbe essere modificato dallo stesso Consiglio come abbiamo proposto più volte. Ma non è tutto qui..
Il vero problema
La posizione espressa nella comunicazione della presidente, e qui vorrei portare la vostra attenzione, è assolutamente legittima. Il vero problema sta nel fatto che anche questa azione, come altre, si inserisce in un modo di intendere il ruolo del Consiglio che caratterizza la attuale maggioranza (AUPI/Cultura e Professione con alcuni distinguo non ben chiari neppure a me): la assenza di una visione complessiva sulla professione, la mancanza di strategie di ampio respiro per promuovere il ruolo degli psicologi sul territorio e di un piano organico generale in cui inserire le singole azioni realizzate sul territorio. Insomma, una modalità di intendere il ruolo dell’Ordine e nell’Ordine in cui la visione politica e strategica appare sostanzialmente assente per lasciare spazio quasi esclusivamente ad un’azione burocratica.
Andiamo nel concreto con alcuni esempi:
- il piano formativo promosso dall’Ordine: si realizzano diverse iniziative durante l’anno (molte anche interessanti, intendiamoci) senza una reale indagine dei bisogni formativi degli iscritti, senza un reale collegamento con quelle che sono le potenziali richieste di intervento sul territorio, senza una interlocuzione con potenziali committenti come le associazioni industriali, le realtà sportive, le associazioni familiari ecc. ecc. Risultato? Molti colleghi continuano a formarsi su mille temi ma poi non riescono a spendere le competenze acquisite in attività professionali retribuite!
- la attivazione dei gruppi tematici (benessere lavorativo, sport, psicologia di genere, turismo, autismo, ecc.) che coinvolgono gli iscritti per realizzare… non si capisce bene cosa. Percorsi che partono con il massimo interesse degli iscritti e che poi vedono nella maggior parte dei casi (escludo i gruppi coordinati da Laura Franchomme sull’autismo e da Stefano Pasqui sul turismo che qualcosa hanno realizzato) un lento e frustrante finire nel nulla in assenza di un vero e proprio progetto condiviso. Uno spreco di soldi (i coordinatori dei gruppi percepiscono giustamente un gettone per il loro impegno) e di tempo dei colleghi (che, ricordiamolo, partecipano a titolo gratuito, si pagano il viaggio e rinunciano magari ad ore retribuite). E tutto questo va ad alimentare la già troppo alta percezione di un Ordine distante dai reali bisogni degli iscritti e lontano da quello che, ben amministrato, potrebbe rappresentare per la professione. Una grande opportunità che diventa quindi una grande frustrazione;
- la praticamente totale assenza/inefficacia di azioni di valorizzazione del nostro ruolo professionale presso le Istituzioni (non c’è interazione strutturale nei confronti dei vari assessorati, non siamo interlocutori nei percorsi partecipati di programmazione per le attività nei settori della salute, sport, scuola ecc. ecc.) e presso le diverse realtà sociali ed economiche del territorio (aziende, associazioni sportive, ecc.).
E tanti altri sarebbero gli esempi possibili
Si potrebbe fare di meglio? SI
Sono convinto che un Ordine capace di porre tra le priorità di intervento l’incontro tra le competenze dei colleghi e i bisogni del territorio; capace di aiutare i colleghi ad individuare ed accedere alle risorse disponibili sul territorio attraverso bandi, accordi formali, convenzioni ecc. con un approccio diametralmente opposto a quello della presidente Ancona quando sostiene che non è compito dell’Ordine trovare fondi e lavoro per gli iscritti; impegnato a valorizzare e mettere a sistema le buone prassi e le eccellenze realizzate sul territorio regionale dagli iscritti; capace di mettersi a servizio e a fianco dei colleghi con una presenza attiva e costante su tutto il territorio regionale (oggi le iniziative sono troppo concentrate su Bologna con danno alle possibilità di partecipazione di chi vive e lavora in territori decentrati) sia concretamente realizzabile.
Possiamo avere un Ordine perfetto? Forse no… ma sicuramente con AltraPsicologia potremmo avere in Emilia Romagna un Ordine decisamente più utile agli iscritti di quello attuale. Ne sono convinto.
Gabriele Raimondi