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L’apertura di concorsi pubblici in ambito sanitario per Psicologi/psicoterapeuti è come la ricerca di un ago in un pagliaio.  Soprattutto quelli “corretti”.

Facciamo l’ipotesi di aver superato il primo ostacolo legato all’apertura di un concorso e che, per una serie di ricongiungimenti astrali, riusciamo ad accedere alla selezione avendo superato l’ulteriore prova di “italiano burocratese” che ci porta ad aver consegnato tutti i documenti in numero di copie esatte, con relative firme e diciture di leggi che permettano le varie liberatorie e confermino le varie dichiarazione. E qui, effettivamente, si denota lo psicologo/psicoterapeuta inserito nella società moderna, ovvero che non sia limitato nelle proprie competenze in lavori di ufficio. (N.B. ad esempio, ad oggi esiste un formato di curriculum europeo con formato 2013, con grafica in colore azzurro e foto a sx).

Già, quasi dimenticavo, è un bando per psicologi o per psicoterapeuti? Ormai vige la legge comune che “nel caos tentar non nuoce”: anche se non avete abilitazione alla psicoterapia, non ponetevi il problema, al massimo vi segnaleranno come non ammessi per mancanza di requisiti. O vi potrebbe invece andar bene e sarete comunque inserite (vissuto di persona ai tempi in cui ero in formazione), capiterete forse in una lista che attesta competenze differenti. Dopo tutto la differenza non è chiara a tutti e una volta tanto potrebbe giocare a nostro favore! (…per ora l’utenza futura non consideriamola…)

Ora, vi potreste trovare nella seconda fase di selezione che comprende uno scritto/ scritto ed orale/ solo colloquio di selezione/ incontro conoscitivo. Quale preferite? Hanno tutti la stessa validità, è solo questione, dicono, di “volontà di trasparenza della commissione. Commissione composta molto spesso da Medici Psichiatri, Dirigenti Medici e componente di segreteria. E i colleghi Psicologi?

Ed è qui che per me scatta il tasto dolente! Il mio lavoro si basa principalmente sulla relazione e invece mi testano per l’ennesima volta sulle mie competenze teoriche sul mio SAPERE facendomi domande legate ad un orientamento teorico medico (perché quello è l’ambito di appartenenza e il punto di vista dell’esaminatore). Ed il cerchio si chiude poiché al sistema sanitario accedono per la maggior parte quei professionisti colleghi esperti del modello psichiatrico (e non psicologico). Nelle aziende ospedaliere regna, generalmente, una “psicologia- medicalizzata” che tenta di misurare l’immisurabile, che usa strumenti di uno stampo teorico per definire costrutti appartenenti ad altre teorie di afferenza, che invece di accogliere cura, ecc.

E il SAPER FARE? E il SAPER ESSERE? Atteggiamenti, comportamenti, il come ci si pone in relazione che è la componente essenziale dell’entrare in contatto con il paziente/cliente, dell’aggancio, della relazione… che è la psicologia…si perde!

Queste e tante altre domande e riflessioni potremmo fare in merito alla strutturazione dei concorsi pubblici in ambito sanitario, ma per cambiare una cultura sapete occorre prima di tutto osservarla con metodo. Io per ora mi sono prima arrabbiata, poi scioccata, poi divertita e per questo la mia caccia di racconti di colleghi è diventata la mia passione.

Per questo motivo, è emerse l’idea di creare un osservatorio sul tema, per raccogliere tutte le incongruenze che per ora sono inattaccabili da un punto di vista legislativo (dove siamo noi stessi che reggiamo il gioco, ad esempio quando partecipiamo a “teatri concorsuali”, dove veniamo chiamati come comparse a sostegno della liceità di ingressi ufficiali di colleghi già conosciuti dal sistema), ma potrebbero esserlo da un punti di vista teorico e metodologico.

L’idea è di trovare un catalizzatore di informazioni, poter denunciare modalità e metodologie non coerenti con la nostra professione, in quanto fanno decadere la forza contrattuale della professione stessa di cui reclamiamo maggiore presenza.

 

di Verena Boscolo