Un paziente mi parla di un’amica “psicologa” con la quale recentemente ha avuto una discussione per faccende personali. Pochi mesi fa lui le aveva domandato un consiglio per un suo intimo amico, che ha subito gravi traumi nell’infanzia e che soffre di attacchi di panico per i quali assume dei farmaci. Il suo amico ha ridottissime disponibilità economiche, e lui, vergognandosene un po’, pensa di chiedere consiglio a lei, in quanto amica e conoscente del ragazzo. Lei parla – o almeno così dice – con un collega, il quale le consiglia “stante la situazione” che il giovane scelga una terapeuta donna, così lei si autopropone (SIC!). Il mio paziente, che conosce le regole di neutralità, è perplesso perché teme un eccessivo “invischiamento” (lui e lei molto amici, lui e lui – di fatto – partner), ma lei insiste dicendo che, “tecnicamente in questo caso la deviazione dalla norma è possibile”. Inizia un rapporto terapeutico settimanale per circa un mese, durante il quale lei fa interrompere al giovane i farmaci sostituendoli con prodotti “alternativi”. Quando il ragazzo si deve allontanare per un tempo prolungato dalla Lombardia, lei mantiene dei contatti telefonici costanti motivandoli così: “è un momento delicato, se si dovesse interrompere il rapporto lui potrebbe avere un crollo”. Recentemente, il mio paziente e lei hanno, appunto, una forte discussione per loro questioni personali, e lui ora è in dubbio per gli effetti di tale rottura sulla terapia del suo amico, anche perché – mi confessa con molto imbarazzo – l’amica non è una psicoterapeuta… anzi non è neppure “proprio” una psicologa… è una counselor. No comment.
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Scritto da Redazione Altrapsicologia | 14 Set 2013 | Lombardia | 0 |
