Proust e la psicologia del lavoro

di Cristina Contini

E’ tempo di smettere, la virtù della bevanda sembra diminuire. È chiaro che la verità che cerco non è in essa, ma in me. E’ stata lei a risvegliarla, ma non la conosce, e non può far altro che ripetere indefinitivamente, con la forza sempre crescente, quella medesima testimonianza …

Marcel Proust

 

Davanti ad una tazza di thé e ai vecchi libri dell’Università da sistemare, ho vissuto una breve esperienza di “madeleine”, quel momento di memoria affettiva che si ispira al dolce francese che innescava in Marcel Proust i suoi ricordi d’infanzia.

Il mio breve viaggio nel tempo passato è giunto rapidamente al triennio di psicologia del lavoro (all’epoca si sbiennava e si sceglieva la specialità, una sorta di orientamento con un piano di studi abbastanza strutturato), ai tanti pomeriggi trascorsi con i compagni di corso (non eravamo tantissimi e ci si conosceva quasi tutti), alle chiacchierate su cosa avremmo fatto da psicologi del lavoro, “da grandi”.

Ora che sono passati diversi anni, sento ancora il sapore di quell’ottimismo e di quella curiosità verso gli ambiti applicativi della psicologia e s’innesca la mia madeleine ….

Cosa possiamo dire oggi della professione di psicologi del lavoro?

Siamo riusciti ad esercitare al meglio il nostro mestiere? Quali prospettive abbiamo per il futuro? Quanta richiesta c’è di psicologia del lavoro? Come potrà evolvere questa bella professione?

Innanzitutto è bene ricordare che lo psicologo del lavoro è uno psicologo a tutti gli effetti e a tutto tondo. Nella comunità professionale spesso aleggia ancora il pregiudizio “va beh dai il vero psicologo è quello clinico …. tutti possono fare lo psicologo del lavoro …”

Attenzione colleghi, sapete bene che ci sono psicologi sociali, del lavoro, delle organizzazioni (come più vi piace) che sono strutturati in azienda (i più fortunati e forse bravi), alcuni dirigono le risorse umane di multinazionali, alcuni sono consulenti e figure chiave nei processi aziendali …. e poi a volte – ma dai!!! – sono anche psicoterapeuti!

Cosa fanno più spesso gli psicologi del lavoro? Quali gli ambiti occupazionali li accolgono più di frequente?

Ovviamente la crisi ha cambiato molto le carte in tavola e giocare il jolly oggi non è sempre facile … anche i consulenti si sono dovuti scontrare con la riduzione dei compensi, i tempi più rapidi degli interventi a sfavore della qualità complessiva del contributo professionale.

Eppure, si tratta ancora di una professione fertile, versatile e ricca di sbocchi, il cui potenziale varia in base alcontesto ma anche grazie a noi.

psicologia-del-lavoro Ma vediamo un po’ dove lavoriamo solitamente ….

Il settore delle risorse umane– ed in particolare della selezione del personale – ospita la      maggior parte dei colleghi: molti sono liberi professionisti e tutti aspettano che la ripresa economica riporti questo ambito agli splendori del passato (ovvero alle concrete possibilità lavorative ed ai numeri più incoraggianti di occupati nell’area in oggetto).

La formazione – un mondo lavorativo promiscuo e sempre difficile da declinare – è un grande grembo materno che apre le porte a chiunque, tra cui anche gli psicologi del lavoro, ma non necessariamente (sono molti i colleghi che erogano formazione, ma raramente vivono solo di questo)

Lo stress lavoro correlato – un rilevante trend degli ultimi anni – sembra ai più un ambito di nicchia, pur essendo così moderno e necessario …. ma quanti sono effettivamente i colleghi che lavorano in quest’area? Pochi … rispetto a quanti potrebbero essere!

La psicologia dello sport (che meraviglia!), da sempre un settore affascinante ed onirico (un sogno essere il personal psychologist di Nadal, o di Cristiano Ronaldo – chi scrive è donna ma l’elenco immaginario lo lascio al lettore), apre la porta ad una piccola minoranza di psicologi del lavoro

E gli altri cosa fanno?

Restano i colleghi che lavorano nelle aziende e si occupano di clima aziendale, analisi organizzative e dialogano con differenti professionalità, portando molto valore all’impresa.

Solo nelle grandi città, infine, c’è ancora occupazione per gli psicologi del lavoro che scelgono il marketing e/o la comunicazione (ma siamo lontanissimi dal periodo d’oro degli anni 2000).

Si diceva, però, che la nostra valorizzazione dipende anche da noi!

La crisi non durerà per sempre (lo dice anche Radio24!)e noi psicologi del lavoro possiamo e dobbiamo credere in un futuro con maggiori possibilità occupazionali.

Come?

Innanzi tutto facendo conoscere diffusamente la figura professionale dello psicologo del lavoro, all’interno della comunità e all’esterno (quali competenze, quale ruolo, quale valore aggiunto  – rileggiamo ad esempio l’articolo di M. Massaro, novembre 2013), intessendo relazioni con associazioni di categoria e consorzi aziendali, ma non solo …

L’Ordine può avere un ruolo importante nella promozione della psicologia del lavoro, sia intercettando i bisogni dei colleghi che se ne occupano, sia comunicando al mondo professionale più ampio il valore della nostra professionalità e preparazione specifica

Ecco allora che la madeleine mi riporta al presente ed alla consapevolezza di quel che ancora possiamo fare per la nostra professione, grazie ai suggerimenti ed alle esperienze dei colleghi, come durante quei pomeriggi universitari