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Quando viene chiesto il nostro supporto come consulenti in un’ Azienda è consuetudine trovarsi a colloquio con l’imprenditore o Direttore del Personale – o chi per esso -, per conversare in merito ai progetti o ai percorsi che il nostro cliente auspicherebbe intraprendere a fronte di un dichiarato problema.

 

 

Tutte le volte che mi ritrovo in una circostanza di questo tipo mi domando quale valore aggiunto può portare uno psicologo al problema che il mio interlocutore mi sta prospettando. Ogni volta mi raffiguro un altro immaginario consulente che ha avuto già modo di interloquire con la persona che mi sta parlando e, in quel momento, mi sorge spontanea la domanda:

Quale proposta avrà preventivato di agire l’immaginario consulente non psicologo? Come si differenzia la sua proposta da quella di uno psicologo del lavoro e delle organizzazioni? Quale peculiarità, quale caratteristica dovremmo possedere per portare valore aggiunto rispetto ad un altro approccio consulenziale? E soprattutto … ma sono tutti paranoici come me???

Estremizzando potremmo dire che un consulente potrebbe adottare uno dei due seguenti macro approcci .

L’ approccio tecnico al problema possiamo qui intenderlo come una prassi professionale in cui davanti ad una richiesta di consulenza, si risponde con una soluzione tecnica legata al solo livello esplicito del problema. Con questo approccio si separa artificiosamente l’individuo che ci ha chiamato, dal contesto entro cui anche lui è inserito per trovare una soluzione logica al problema esposto. Il rischio di un approccio tecnico sta nella tendenza ad orientare verso soluzioni preconfezionate, di routine o di moda, dove il problema dichiarato ha già una soluzione che è presente sul mercato o ancora meglio già nell’esperienza del consulente. Questo approccio seppur valido operativamente in alcune circostanze e per alcuni tipi di problemi, tralascia tuttavia uno “spazio di lavoro” di importanza strategica che risulta invece essere di competenza di uno psicologo del lavoro: quello dei vissuti e delle emozioni che sta vivendo il nostro cliente in merito alla questione che ci sta esponendo.

Nell’approccio Psicologico partendo dal problema dichiarato, non si suggeriscono azioni immediate ma si entra invece nel nucleo della situazione lasciandosi il tempo per immedesimarsi nella situazione, analizzando e soffermandosi oltre che sul contesto organizzativo – riti, linguaggio, eventi importanti accaduti … ecc, –  anche sulle percezioni e sul vissuto emotivo del nostro cliente nel momento in cui si rivolge a noi. È questo un valore aggiunto del mestiere dello psicologo che opera in un contesto aziendale, dove il sapere e il saper fare psicologico possono tradursi concretamente in percorsi di sviluppo orientati non solo al problema dichiarato, ma anche alla scoperta del bisogno che nel nostro interlocutore ha attivato la stessa richiesta di aiuto. Ciò permette di operare nella “zona cieca” del cliente, attivando un nuovo processo riflessivo utile a tutto il “sistema” in gioco: Committente/Consulente e Clienti finali.

L’attività dello psicologo nelle organizzazioni si configura quindi non tanto come una Consulenza “in senso puro”, quanto come vero e proprio Intervento. Consulenza deriva dal latino “consilium”, ovvero consigliare, il consulente suggerisce e consiglia il proprio cliente fornendo informazioni e pareri a riguardo del problema esposto.

La parola intervento invece richiama al latino “Intervenio” implica invece un venire in mezzo.  L’intervento fa leva su di un com-prendere (inteso come portare dentro) la realtà emotiva e relazionale con la quale ci stiamo confrontando, per poi restituire una prospettiva multidimensionale che in parte modifica o stravolge la prima soluzione individuata se ci si fosse solo affidati al problema dichiarato.

Questo com-prende è un processo prettamente introspettivo e relazionale che necessita di una competenza “psi” che deve poi tradursi in una strategia e in azioni pragmatiche. L’intervento dello Psicologo nelle organizzazioni si configura quindi come un’attività diagnostica e di lettura degli aspetti meno visibili che definiscono parte del nostro fare professionale. Nel confronto con il committente sarà quindi importante che venga trasmesso il messaggio della correttezza del metodo, ma anche della scientificità che si intende intraprendere, a fronte del bisogno espresso in quel momento dal cliente.

Detto questo resta però da riflettere su di una seconda domanda (a proposito di paranoia) : Come si addestra/forma/sviluppa un fare psicologico? Proveremo a rifletterci insieme nel prossimo articolo.