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Se i quaranta colleghi che non sono venuti a votare per completare il quorum fossero riusciti ad arrivare (e ne conosco almeno tre o quattro, che erano malate o avevano gravi problemi familiari) nessuno si sarebbe posto il problema.   Eppure, secondo me, il problema ci sarebbe stato comunque: è un fatto che la percentuale di iscritti all’Ordine che hanno voglia di venire a votare è molto bassa.

Come mai?  Ne parlo con i colleghi che mi chiamano in questi giorni; secondo loro è inconcepibile, dicono che è una mala usanza italiana; insomma, gettano la croce addosso a chi non vota; sottolineano che il voto è un diritto-dovere. Io replico che è un diritto costituzionale e un dovere morale: ossia non si può impedire a qualcuno di votare, ma vota solo chi sente una responsabilità. E se non la sente?  Se non gli piace nessuno di quelli che propongono di rappresentarlo? Si dirà: voti scheda bianca, così dai un segnale.  Ma è ancora un atto di responsabilità, e a me pare che la responsabilità si possa costituire solo all’interno di un rapporto, di un dialogo.  Viviamo in un’epoca in cui è forse più facile responsabilizzarsi nei confronti delle persone vicine; l’Ordine è forse percepito come un’istituzione che non coinvolge fino a quando non se ne ha bisogno.

Anche se fosse così: come mai? In questi quattro anni abbiamo sempre e molto coinvolto i colleghi; ce ne hanno dato atto, ce lo scrivono continuamente.   Non sarà che abbiamo fatto troppo e che questo troppo sia stato dato per scontato?  Tante volte chi è contento smette di darsi da fare per rilanciare e ravvivare un rapporto che già funziona; lo vediamo nella professione, ma anche nella nostra vita privata.

Io sono stata in una posizione privilegiata: ho avuto l’occasione di parlare con centinaia di colleghi; è stata una fatica immensa, ma anche una immensa ricchezza.  Ma  gli altri, quelli – ed evidentemente sono i più  – con cui non ho potuto parlare e interagire, cosa e come pensano?   Mi piacerebbe leggere le loro opinioni e idee.

Valeria La Via