L’individualismo nella professione non paga, fare gruppo si.
Come esperti delle relazioni sappiamo bene quali siano i vantaggi del fare gruppo e come esperti delle cognizioni conosciamo bene gli effetti del rimuginio, comprendiamo l’importanza del senso d’identità, dell’agire e non rimanere passivi ma tutta la conoscenza e le abilità sviluppate su questi costrutti svaniscono quando parliamo di tutela della nostra professione.
Mi capita spessissimo di sentire colleghi lamentarsi dell’assenza di lavoro, dell’abuso costante sulla professione da parte di counselor e coach, del pregiudizio che da sempre aleggia sulla nostra categoria e molto altro. Il più delle volte siamo d’accordo su tutto ma il problema è che la nostra comunicazione e collaborazione sul tema si limita a questo: una lamentela sterile tra due individui che si sono incontrati per caso, alla stregua di una chiacchiera da bar su chi vincerà il campionato. Queste però non dovrebbero essere chiacchiere da bar, da queste tematiche dipende il nostro futuro!
Ci chiudiamo tra le quattro mura di uno studio ad aspettare un paziente o un qualche tipo di impiego che bussi alla nostra porta, come se ci fosse dovuto, e ci infuriamo perché qualcun altro sta facendo il nostro lavoro. La cosa più grave però è che badiamo al nostro piccolo orticello guardandoci con sospetto, l’altro psicologo non è un collega con cui condividere e da cui apprendere ma semplicemente la concorrenza, colui che può sottrarmi il lavoro. Credo fortemente che questo modo di fare non cambi le cose e non le cambierà mai.
Per modificare tutto questo bisogna partire da una cosa molto semplice: stare insieme. Ci sono innumerevoli vantaggi in questo, partendo dalla condivisioni di informazioni su ciò che succede nell’ordine regionale, sulle nuove tecniche cliniche o sulle questioni fiscali, creando rapporti professionali che si traducono in preziose risorse lavorative. I colleghi possono trasformarsi da “acerrimi nemici” a collaboratori e alleati con cui possiamo confrontarci per superare le difficoltà che incontriamo sui casi clinici, o addirittura per creare una vera e propria rete lavorativa, inviandosi pazienti a seconda della propria specializzazione o segnalandosi lavori e opportunità. Lavorando in questa maniera ne uscirebbe rafforzata anche l’immagine della professione che diamo all’esterno, una categoria unita e capace, che può rivendicare diritti, combattere gli abusi e fare proposte per il benessere della comunità.
AltraPsicologia è un’occasione per creare spazi di confronto fondamentali per migliorarci individualmente e come comunità professionale, per difendere il nostro lavoro, per creare opportunità di apprendimento e di collaborazione tra colleghi che afferiscono anche ad aree ed orientamenti diversi della psicologia.
Io ho deciso di uscire, di lavorare insieme con i miei colleghi per migliorare una situazione che non mi piace, facendo qualcosa e non restando nel mio studio, ho deciso di difendere la professione che mi sono scelto e per cui tanto ho studiato, lavorato e sudato: io ho deciso di cambiare.
Sono pienamente d’accordo con quanto scritto da Tommaso Colonna…Il gruppo è molto più della somma delle sue parti ed è una risorsa in continuo divenire…Spesso è proprio l’idea di questo continuo cambiamento che, anziché esser visto come una risorsa, spaventa e blocca nella statica sicurezza della propria scrivania…Nel gruppo c’è confronto, a volte anche scontro che io intendo come fase di “effervescenza creariva”. È difficile fare un lavoro di gruppo quando ci si crede onnipotenti. Io lavoro in un equipe e sono in continuo cambiamento. Ciò noni spaventa, anzi mi fa sentire ogni giorno nuova. Più ricca delle altre competenze e delle altre vite.