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Si sente spesso parlare di psicologo di base, in questi ultimi mesi. Le diverse iniziative sparse sul territorio nazionale fanno riferimento ad un unico comune denominatore: la territorialità.

L’Ordine Psicologi Veneto non è immune al tema: sono stati fatti vari proclami relativamente alle possibilità che questa iniziativa sia attivamente sostenuta. Casualmente, questo avviene in prossimità delle ormai vicine elezioni dell’Ordine del Veneto.

Ma il Veneto è peculiare: gli psicologi sul territorio ci sono già, sono nei consultori, nei sert, in neuropsichiatria, nelle cooperative. Esistono esperienze virtuose, con o senza l’aiuto dell’Ordine.

Il problema allora qual è?

La copertura territoriale, essenzialmente. Stato e Regioni prevedono in media uno psicologo per ogni consultorio, largamente insufficiente a coprire le esigenze della popolazione. Tale situazione è dovuta alla mancanza di fondi, o, più correttamente, al fatto che, per scelte principalmente politiche, non si vuole investire in questo settore, per poi magari sprecare risorse altrove, inseguendo scelte miopi che non tengono conto, in una progettualità a più ampio respiro, delle ricadute positive a lungo termine – quanto a salute pubblica e a risparmi per le casse dello stato – della prevenzione in ambito psicologico.

Dato lo scarso interesse dello stato italiano ad investire in questo settore e l’ancor più flebile interesse ad assumere psicologi sul territorio, le cose sono andate in due direzioni: da una parte, gli psicologi hanno comunque avviato esperienze di psicologia ‘di base’ in modo autonomo, e in Veneto questo è avvenuto all’interno del privato sociale, che tutta l’Italia ci invidia. Dall’altra, all’interno dell’Ordine da alcuni mesi si discute – in modo alquanto nebuloso – di psicologi di base. Resta però un problema…

Pagati da chi?

Le esperienze già avviate hanno trovato forme di finanziamento specifiche, sostenute da amministrazioni locali. Mentre le proposte emerse all’interno dell’Ordine restano anche qui nel vago.

Una proposta che fa sorridere è quella emersa negli ultimi consigli: finanziare campagne di stampa, petizioni, raccolte di firme. Come se il valore di un progetto si misurasse in base al can can mediatico, e non invece all’effettivo valore sociale e clinico. Che poi, di fatto, di progetti non se ne sono visti, se non quelli realizzati dagli psicologi che lavorano da tempo sul territorio. Di certo, nulla di originale finora è nato all’interno dell’Ordine.

Ad oggi non c’è dunque alcun progetto chiaro ma solo proclami, che possono essere utili come specchietti per le allodole per attirare più di qualche consenso, ma che semplificano eccessivamente una questione molto complessa, riducendola a slogan pubblicitari confusi e roboanti.

Conseguentemente, il rischio potrebbe essere quello di utilizzare i soldi pubblici per progetti poco utili o mal pensati, secondo un’abitudine tipicamente italiana.

 

Quali priorità?

Almeno due:

La prima è che le esperienze di psicologia di base non dovrebbe essere autofinanziate, ovvero pagato con i soldi degli psicologi, in quanto è un servizio che serve alla collettività; quindi alla collettività – che siano i comuni o le regioni poco importa – deve spettare l’onere della spesa. Le esperienze svolte finora in Veneto grazie al privato sociale dimostrano che è possibile. 

La seconda è che, se il progetto venisse finanziato da noi psicologi, con denaro dell’Ordine, chi l’ha sostenuto (a partire dalle cariche più importanti dei vari Ordini fino ai loro collaboratori più stretti) non dovrebbe entrarci attivamente. Questo, ovviamente, per garantire un interessamento super-partes dei promotori, oltre che, per questioni più generali di correttezza e trasparenza.

Noi siamo favorevoli ad iniziative che aiutino a rafforzare o sviluppare l’immagine dello psicologo nella società attuale.

Ancor più se esse possono avere ricadute positive in termini occupazionali e di miglioramento della qualità della vita per i potenziali utenti. Nessuno di noi si oppone per partito preso, come a volte si vorrebbe far credere.

Ma quando si tratta di utilizzare i soldi di un ente pubblico è necessario essere rigorosi. 

Le proposte, per essere credibili, devono essere elaborate sulla base di progetti chiari e condivisi con altre istituzioni; progetti attuabili, sia dal punto di vista scientifico-metodologico, sia dal punto di vista della trasparenza. Soprattutto, dal punto di vista del rispetto del valore della nostra categoria nella società attuale, che non deve avere bisogno di autofinanziarsi per dimostrare l’utilità sociale del proprio operato.