L’importanza del tema ‘counseling’ per AltraPsicologia e per la professione è evidente, per le implicazioni legate all’esercizio abusivo della professione e a tutte le situazioni di ambiguità che ne sono spesso derivate.
Rappresentiamo ad oggi la posizione ufficiale di AltraPsicologia su questo tema.
Premesso che:
- sul piano scientifico, il counseling ha i propri principali fondamenti epistemologici in teorie e tecniche di riferimento riconducibili alla Psicologia e alla Psicoterapia. Di fatto il counseling è psicologico;
- sul piano professionale, lo psicologo si occupa ad ampio spettro di tutto ciò che riguarda il funzionamento mentale e il comportamento, primariamente facilita processi di adattamento e cambiamento evolutivo, e quindi promuove salute e qualità di vita/lavoro;
- sul piano sociale, non esiste esigenza di introdurre ulteriori figure “psicologiche”, per altro dequalificate rispetto allo psicologo, a disposizione dei cittadini, in un Paese (l’Italia) che già conta oltre 100.000 psicologi iscritti all’Albo;
- sul piano normativo, la normazione italiana e la giurisprudenza in divenire prevedono e riconoscono l’esistenza del counseling come atto e prerogativa della professione di psicologo.
AltraPsicologia ritiene che:
- non ha motivo – né normativo, né scientifico, né professionale, né sociale – di sussistere in Italia la figura del counselor come professione autonoma;
- elementi e competenze di counseling e di Psicologia possono essere legittimamente apprese da professionisti non psicologi (avvocato, insegnante, infermiere, prete, manager, ecc…) nella misura in cui contribuiscono a migliorare la loro attività primaria. Ad esempio, l’infermiere continuerà a svolgere la sua attività infermieristica, ciò non di meno potrà dotarsi di elementi e competenze di counseling e di psicologia per migliorare la sua professione di infermiere;
- quando l’attività di counseling è finalizzata ad intervenire su processi psichici, emotivi e/o comportamentali del cliente, il professionista abilitato è esclusivamente lo psicologo e l’attività si considera pacificamente atto tipico dello psicologo in quanto ricompresa nella definizione di sostegno psicologico. I professionisti non psicologi incorrono in abuso della professione di psicologo;
- lo psicologo docente o l’Ente di formazione possono effettuare attività di formazione su elementi di counseling a professionisti non psicologi nella misura in cui gli obiettivi didattici e gli esiti professionalizzanti dichiarati chiariscano, senza ombra di dubbio, che il percorso formativo non genera nessuna nuova figura professionale in grado di intervenire su dimensioni psichiche, emotive e/o comportamentali, ed unitamente dichiarino invece che tali apprendimenti “semplicemente” andranno a migliorare e performare la professione, l’attività primaria, che ciascun partecipante porta con se all’inizio del corso e continuerà a portare con sé dopo la fine del corso.
Un’ultima postilla è diretta a quei soggetti che cercano di arrampicarsi sugli specchi mediante l’utilizzo di terminologie non direttamente esplicitate nell’Art.1 della 56/89, ma comunque ad esso chiaramente riconducibili.
Anche laddove la domanda esplicita non venga rappresentata come disagio psicologico, né tanto meno come disturbo psichico, ma si chieda di generare benessere, consapevolezza, potenziamento di risorse, ecc. mediante l’uso di empatia, ascolto attivo, sostegno, ecc. tale attività rimane tipica dello psicologo. Sia perché è scritto chiaramente nella legge istitutiva (laddove attribuisce a noi le attività di prevenzione, abilitazione-riabilitazione e sostegno in campo psicologico) sia perché tale lavoro implica delle competenze di base specificamente psicologiche.
Infatti, per generare benessere, consapevolezza, potenziamento di risorse, ecc. mediante l’uso di empatia, ascolto attivo, sostegno, ecc. sono necessarie:
- la capacità di fare una analisi della domanda (indipendentemente da ciò che ci chiede la persona: valutare quale siano esattamente i suoi bisogni, quali siano coerenti con l’obiettivo condiviso, se esistono e quali sono le necessità non funzionali con le quali non dobbiamo colludere, quali gli aspetti da focalizzare e definire meglio in quanto non ben chiari alla persona, ecc.);
- la capacità di tenere conto dell’intera struttura di personalità della persona, così come del contesto nel quale si muove; in modo da selezionare al meglio, con cognizione di causa, gli strumenti, le indicazioni e le azioni da consigliare – e quelle da evitare – al fine di migliorare la risposta, la compliance, l’empowerment.
Tutte queste valutazioni sono inscindibili da una valutazione complessa della persona che tenga conto degli aspetti emotivi, psichici, di personalità e di relazione che sono possibili solo con un’indagine psicologica e in base ad una competenza specifica che comporta l’abilitazione alla professione di psicologo.
Firmatari
Dott. Federico Zanon, Presidente Associazione AltraPsicologia
Dott. Mauro Grimoldi, Referente Tutela Associazione AltraPsicologia
Dott. Felice Damiano Torricelli, Presidente ENPAP
Dott. Alessandro Lombardo, Presidente Ordine Psicologi Piemonte
Dott. Luca Pierucci, Presidente Ordine Psicologi Marche
Dott. Nicola Piccinini, Presidente Ordine Psicologi Lazio
Grazie. Grazie a chi ha lottato in questi 10 anni per l’identità professionale dello Psicologo.
Ma cosa c’è di non condivisibile in quello che così chiaramente viene espresso in queste poche righe? E’ una domanda che giro agli altri rappresentanti istituzionali della Psicologia che hanno una responsabilità diretta nel perpetrarsi tanto delle condotte abusive dei non Psicologi quanto più di quelle peggiori degli Psicologi che continuano a formare Counselor.
Cosa fate con pedagogisti, educatori, tutor DSA-ADHA-ABA e via dicendo?
Non sono psicologi, eppure il loro lavoro è squisitamente psicologico, e lo svolgono bene, suppongo. La formazione universitaria non fornisce le competenze accennate nell’articolo, crea piuttosto bravi soldatini che aderiscono al paradigma psicologico neuro-attendibile, completamente inutile nelle professioni di relazione d’aiuto.
Il tono del vostro articolo è allarmante: mi ricorda i discorsi di certi politici su immigrati e razzismo. Già, l’odore è proprio quello dell’intolleranza.
Naturalmente io sono iscritto all’Ordine, e come molti psicologi e psicoterapeuti, non condivido una sola parola dell’articolo.
Ci sono counsellor rogersiani e consulenti filosofici davvero molto preparati, e probabilmente altrettanto efficaci nelle relazioni d’aiuto. Cosa fate con queste figure? Al rogo?
Concordo su tutto ciò che hai scritto. Mi fanno ridere queste difese a gran voce della Professione dello Psicologo. Mi fa ridere perché mi sa tanto di una difesa si, ma della propria “poltrona”. Difendete la professione dello psicologo cominciando ad interrogare su quanti la esercitino realmente con professionalità tra gli psicologi. Prima di erigere mura forse è il caso di valutare quanto siamo sane le fondamenta del castello. Ps.: anche io sono psicologa, regolarmente iscritta all’albo.
Gentile Tania,
concordo con quanto da te affermato sulla dubbia professionalità di alcuni colleghi, ma ciò a mio parere, visto che il consesso umano è vasto e variegato, dovrebbe spingere verso una maggiore tutela piuttosto che su liberalizzazioni da far west (o east nel nostro caso). Il concetto base dell’Ordine è in parte odioso ma ogni forma di tutela inevitabilmente dispone dei paletti. Le mura fanno paura ma a me ne fa ancora di più chi gioca, per divertimento per lucro o per patologia, con la vita degli altri
Condivido. Il Pastoral Counseling e il counseling filosofico sono pure quelli una riserva degli psicologi? “Il candidato delinei in modo approfondito i concetti di essenza husserliana e l’essere in Heidegger e le sue ricadute sul counseling filosofico”. Terzo anno di psicologia? Ma valà. Le facoltà di psicologia delle università italiane sfornano masse di ignoranti un tanto al chilo. Leggetevi “L’insegnamento dell’ignoranza” di Michèa.
Carissimo, comprendo le perplessità relative al tono dell’articolo che nasconde il timore per competenze specifiche dello psicologo che si estendano a ulteriori figure non-psicologhe, favorendo ulteriori elementi di confusione nell’opinione pubblica e non solo.
In realtà, il problema non sussiste per delle funzioni che dovrebbero essere presenti in tutte le professioni d’aiuto. Tali funzioni le potremmo sintetizzare in competenze relative ad un adeguato approccio psicologico che dovrebbe far parte del patrimonio culturale, relazionale e non solo di tutte le “professioni d’aiuto”.
Altro discorso è l’intervento psicologico svolto da professionisti abilitati a poter esercitare una tale idoneità.
Il problema cui indirettamente fanno riferimento gli autori è forse l’osservare un fiorire di scuole più o meno registrate che accreditano la funzione di counselor a persone in possesso di titoli di studio tra i più vari.
Tali “nuove” figure, in alcuni casi, sono state chiamate svolgere ruoli specifici dello psicologo. Accade che dopo essere divenuti counselor, si siano sovrapposti ruoli e competenze specifiche degli psicologi clinici, come sembra essere avvenuto in alcuni Ospedali per alcuni infermieri “diplomati” counselor.
Tutto ciò a creato non pochi problemi relativi ad una capacità professionale nel svolgere un ruolo non loro. Bisogna chiarire che, a mio avviso, l’essere solo laureato in psicologia non potrebbe abilitare al ruolo effettivo di counselor: tale è la complessità richiesta per svolgere un tale ruolo.
Concludendo è necessario separare le capacità di un approccio psicologico che dovrebbe essere insegnato in tutte le scuole che agiscono nelle professioni d’aiuto (dagli studenti in medicina agli educatori) dalle specifiche competenze della professione di psicologo, specie se in possesso di specifiche specializzazioni.
Pur intendendo quanto sia delicato e, a volte, difficoltoso separare delle competenze, occorre ricordare che non si può, nell’interesse delle persone, improvvisare approcci che prevedono idoneità, che non possono prevedere pochi mesi di corso.
Su questa impostazione non sono affatto d’accordo. Gli psicologi possiedono certamente requisiti adatti a svolgere la professione di Counseling per propensione (si spera!) e per formazione. Tuttavia, sempre in presenza di propensioni ed attitudini facilitanti lo svolgimento di tale professione, ritengo che tale attività non richieda assolutamente una laurea in psicologia. Penso, semmai, che una formazione interdisciplinare (psicologia, filosofia, comunicazione, economia, sociologia) sia davvero un valore aggiunto a questo tipo di attività che, anzi, talvolta, deve abbandonare la prospettiva psicologica e occuparsi di concreta interazione tra soggetto e contesto.
Macché c’enttra il razzismo è l’intolleranza? Se hai studiato per fare il medico fai medico. È nessuno può fare il medico se non lo è! Sarei proprio curiosa di vedere se domani nascesse una figura di counselor medico….quanta strada farebbe!!!Questa cosa dell’inclusione a tutti i costi è un classico del buonismo più becero. Le regole non sono opzionali per le civiltà, ne sono il cardine. Piuttosto, pensate all’ingiustizia e alla frustrazione che dobbiamo vivere tutti i giorni dopo aver atudiato una vita! Vedere ogni due per tre che ci sono colleghi bravissimi che chiudono i battenti perché non siamo coesi e non facciamo lobby di tutela come fanno negli altri paesi con una politica ordinistica più efficace! Eccheccavolo!! E basta con questa storia che tutti possono fare quel cavolo che gli pare!!! Mi sono stufata di essere “politicamente corretta”
Buonasera sig.ra Maria.
Sono laureato in Sociologia con indirizzo psicologico, ho una lunga esperienza nel volontariato psichiatrico
e da qualche anno sono diventato counselor:
vorrei condividere qualche mio interrogativo,
nel rispetto per la posizione legittima e variabilmente informata di tutti.
Comincio da quelli formali.
Da anni leggo le posizioni di AP e mi sembrano lineari e costanti
ma non capisco perche’ non vengano rivolte solo ai propri iscritti
ed in generale ai colleghi psicologi-psicoterapeuti:
sono loro, preponderantemente, i docenti-formatori-trainer che preparano i counselor
(oltre ai coach ed ulteriori figure) nelle varie Scuole e che firmano l’attestato del livello raggiunto.
Spesso sono proprio loro che gestiscono le Scuole, organizzano Master, eventi, work-shop, scrivono libri e poi li vendono come testi didattici.
Insomma, buona parte degli introiti degli psicoterapeuti sta nella formazione,
aggiungendo che poi, direi giustamente, questa formazione deve essere continua.
Quindi perchè prendersela con i counselor-alunni (paganti) invece che con gli psicoterapeuti-docenti (lucranti)?
I counselor si formano per almeno 3 anni con l’idea di una nuova professione, LEGALE, nel mare magnum delle “Relazioni d’Aiuto”
e poi dovrebbero sentirsi dire che non possono lavorare?
Allora dovrebbero sì denunciare le Scuole!
E poi quale mercato invadrebbero?
Semmai continuerebbero ad alimentare il mercato della formazione!
Voglio proseguire nella linea della denuncia di AP per cui “Il Counseling è materia specifica per psicologi”:
bene, allora perchè non proporre di introdurlo come materia OBBLIGATORIA nel piano di studi delle facolta’ di Psicologia?
Decadrebbero conseguentemente le Scuole di Counseling!
Cosa ne penserebbero le migliaia di vostri colleghi con lavori precari? Scommetto che non sarebbero molto d’accordo…
A questo punto mi chiedo che rappresentatività abbia AP:
scrive a nome della maggioranza dei professionisti italiani o solo degli iscritti?
La “massa” si è espressa o è rimasta in silenzio?
Vengo al quesito sostanziale.
Ma perchè creare conflitti tra professionisti invece di unirsi e riconoscere
che la stella polare del proprio lavoro
dovrebbe essere la qualità dei servizi offerti ai clienti/pazienti ed il perseguimento del loro benessere?
Perchè non battere la scomoda ma serissima strada dell’irrobustimento dei Codici Deontologici
e delle garanzie per gli “utenti” finali dei servizi psicologici forniti?
In tal modo verrebbero filtrate le “shampiste che vogliono fare le psicologhe con qualche fine-settimana di studio”
ma anche i laureati in psicologia con esami superati “segnando solo crocette”
e, soprattutto, senza nessuna esperienza relazionale o alcun percorso personale, ed ancora i super-professionisti che “piegano” i pazienti ai loro paradigmi invece che entrare in empatia con loro.
Perchè non lottare insieme affinchè il supporto psicologico non diventi parte integrante del SSN?
Quanti costi sociali (e sanitari) verrebbero risparmiati?
Lo spazio ci sarebbe per tutti: sia per i professionisti dell’ambito clinico
che per quelli specializzati negli aspetti relazionali.
Spero di rivere qualche feedback.
Auguro salute e lavoro a tutti.
Bravissimo.
ottimo commento
Concordo con Graziana, anche un laureato in pedagogia o in scienze della formazione da degli esami di psicologia e conosco psicologi che pur avendo un pezzo di carta non sono assolutamente pronti a mio parere a esercitare la professione tanto meno il counseling mentre ho avuto maestri e colleghi counselor da cui ho appreso molto. Io vedo molta rigidità e arroganza da parte della nostra professione e vorrei che per una volta qualcuno rispondesse a queste due domande: chi si occuperà degli psicologi e degli psicoterapeuti (tantissimi) che attualmente formano i counselor perché non hanno altre occasioni professionali e chi risarcirà le persone che in buona fede hanno investito soldi e tempo per formarsi come counselor? Mettiamoci umilmente nei panni degli altri e iniziamo a tutelare la professione usando non solo la testa ma anche il cuore…
Magari usiamo anche la legge. Dato che è uguale per tutti.
condivido pienamente la posizione di AP. Bravi!
Sono completamente d’accordo. Il punto di vista è chiaro e ben esplicitato. invito i colleghi che sono d’accordo a sottoscriverlo. Qui è in gioco la tutela della nostra professione e degli utenti.
Che ci siano scuole tenute da psicologi per la formazione in counselor non da adito a riconoscere una professione che rientra palesemente nel ruolo di psicologi che studiano almeno 5 anni, tirocinio di 1 e poi psicoterapia per altri 4.
Concordo con la denuncia rivolta a quegli stessi psicologi che per guadagno hanno inventato corsi paralleli e certificazioni non condivise con L ‘ordine stesso. Allo stesso modo sono spiacente nell impossibilità di riconoscere le figure di counselor , (l’esempio dei medici è calzante)
Sono assolutamente d’accordo con AP. Ci vuole chiarezza e ci vogliono confini chiari. Buon lavoro!
Anch’io condivido pienamente la posizione di AP, ottimo.
E’ pur vero che sono proprio i nostri colleghi a fondare e promuovere scuole per la formazione e l’attività di counselor. Forse l’Ordine dovrebbe essere ancora più esplicito anche con quest’ultimi
Mi presento: psicologa psicoterapeuta ad orientamento psicodinamico. Università anni di specializzazioni,formazione continua, 26 anni di professione. Negli ultimi anni ho avuto esperienza di clienti in estrema difficoltà che uscivano da un approccio con consoler. Si accoglienza si empatia si ascolto, ma zero strumenti da mettere in campo per una sana elaborazione del disagio del vissuto del dolore dell’altro. Consouler infermieri farmacisti sociologi. Pienamente d’accordo con l’articolo.
Salve, sono uno psicologo e psicoterapeuta.
Secondo me il timore degli psicologi riguardo queste nuove professioni d’aiuto tradisce la paura di perdere potere, poltrone e identità. All’ Università ci hanno cresciuti pompandoci la psicologia sotto l’aspetto della tecne’, quando alla fine, di solito durante la scuola di specializzazione (…molto tempo e soldi dopo!!!…), veniamo a conoscenza per esempio del paradosso della psicoterapia, per cui a portare al cambiamento sarebbero i cosiddetti fattori aspecifici del contratto terapeutico…
Quindi di che parliamo quando alziamo gli scudi sull’imprescindibilità della nostra epistemologia??…
A mio avviso più che indignarci contro chi puerilmente consideriamo usurpatore, dovremmo riconsiderare quello che facciamo, il nostro lavoro di aiuto. Considero auspicabile cominciare a sviluppare un senso identitario non più basato su poche e misere nozioni apprese durante la formazione universitaria dello “psicologo moderno”; bensì sulla propensione ad interessarsi all’Uomo da diverse angolazioni (sociologia, filosofia, storia, economia, ecc.) e sulla consapevolezza che si tratta di un lavoro artigianale fatto di interessamento all’altro e di tempo dedicato.
Salve sono una psicologa psicoterapeuta. Leggendo tutti questi commenti rimango veramente sorpresa del fatto che quasi quasi dovremmo essere noi psicologi ad essere indignati della nostra formazione, delle tasse che paghiamo, della costante fatica in termini economici e temporali rispetto al tentativo di collocarsi stabilmente nel mercato del lavoro e in termini di riconoscimento sociale..quasi quasi siamo noi che abbiamo sbagliato percorso formativo e che non siamo preparati e pronti per spenderci in diversi contesti! Io veramente non capisco..l’esempio del medico citato poc’anzi penso sia calzante..ci meravigliamo tanto se il santone di turno chiede soldi per togliere mali immaginari ma di chi abusa di una professione che non gli appartiene rimane del tutto legittimato a poterla svolgere! pero sarei curiosa di sapere se i cari colleghi che difendono con tanto ardore la puffolandia di para professioni psicologiche si farebbero estrarre un dente o operare a cuore aperto da un tecnico o da un infermiere! Ovviamente nulla togliendo a queste professioni citate che sono necessarie e fondamentali ma penso che qui si parli di confini, di regole che permettono infatti a tutti (compresi infermieri e tecnici odontoiatri) di svolgere il proprio lavoro e quello degli altri!
Ho letto discorsi intorno al tema del perdere la poltrona e potere..ma chi parla si rende conto delle condizioni economiche e lavorative in cui gravano quei famosi 100.000 psicologi iscritti all’albo?? e oltretutto in questo scenario moderno bisogna fare i conti con la possibilità che qualcun altro senza alcun titolo occupi posizioni che dovrebbero essere coperte da psicologi??
in tutte le professioni vi è la possibilità che qualcuno sia meno competente dell’altro, ma da qui a passare il messaggio che allora possiamo dare il via libera a presunti operatori del benessere e delle relazioni di aiuto penso sia assolutamente nocivo e denigrante verso noi stessi. Verso chi ha studiato per anni e senza offesa non con misere nozioni, verso chi ha investito in termini economici, temporali su questa professione. Purtroppo è proprio da queste posizioni che noi legittimiamo altre pseudo professioni a prendere la nostra direzione, perché finche siamo convinti che il nostro lavoro sia fatto di interessamento all’altro e di tempo dedicato anche i parrucchieri diventeranno degli ottimi psicologi.
il così tanto e auspicato cambiamento così come la così tanta e auspicata integrazione tra professione hanno a che fare secondo me piuttosto con la paura meramente mascherata di credere di non avere modelli di intervento e questo di conseguenza legittima e rende tutti più o meno in grado di fare questo lavoro. ma la realtà è un altra, la realtà che noi abbiamo una tecnica così come auspicabile per ognuno di noi una modalità di intervento che non vuole dire essere dei soldatini nelle mani delle grandiose scuole di specializzazione ma che ha a che fare con la consapevolezza di avere una teoria della tecnica che attraversa l’intera relazione che si instaura con qualsiasi cliente, e che aimè non è confezionabile in un corso parallelo magari della durata di 2/3 anni
grazie!!! era quanto avrei voluto dire. TUTTO proprio TUTTO ciò che volevo dire!
risottolineo che ammettere che alcuni di noi non sono molto competenti non significa che possiamo far fare questo lavoro a chiunque lo desideri…o meglio possono, facendo però il percorso di studi universitari e oltre! non con un corso di 3 anni aperto anche all’elettricista, non è etico e questo lo sanno bene gli psy che hanno aperto queste scuole… venduti al dio denaro… hanno venduto la nostra professione e la stessa salute dei clienti/pazienti.
Rispondo brevemente a Silvia…
Credo che l’esempio del medico non sia affatto calzante. Mentre la figura del dentista o del gastroenterologo satura il bisogno di conoscenza e di cura del cliente, questo non avviene per lo psicologo. Non a caso non nascono figure professionali come “l’estrattore dentale paradentistico” o il “consulente delle flatulenze”…
Riguardo alla mente la questione è essenzialmente diversa. La psiche non si contiene facilmente nelle mani di pochi. Per di più vari possono essere i bisogni del cliente: dall’individuazione degli schemi centrali del Sé, all’ aiuto nella programmazione dei propri obiettivi di vita. Non c’è un’ortodossia…ognuno di noi si sceglie un modello d’intervento per sentirsi più tranquillo e più al riparo; per il resto c’è il cliente davanti a noi, con i suoi bisogni e le sue competenze (per cortesia smettiamo di considerare i pazienti come degli sprovveduti facilmente manipolabili!!…)
Grazie
Sono psicologa psicoterapeuta da tanti tantissimi anni , quindi posso dire di avere acquisito ampie esperienze in ospedale e sul territorio, ma è pur vero che non c’è limite alla” conoscenza.” Ritengo abbastanza interessante far sapere quanto mi è accaduto recentemente . Accetto una richiesta per psicoterapia di una signora che capisco subito necessitare di GRANDE LAVORO ( sintetizzo dicendo psichicamente disastrata ) . Alla quarta seduta scopro che la pz. ha frequentato un corso di counselor , come a dire: Andare a capire i problemi degli altri senza avere capito prima i tuoi e che attualmente svolge attività di supporto psicologico ad una radio abbastanza conosciuta. Alla mia domanda come faccia a rispondere alle richieste di aiuto che le vengono dirette, dice scopiazzo a destra e sinistra.
Lascio tutti i commenti alle persone di buon senso.
Sono pienamente d’accordo con Silvia e tutti coloro che hanno opinioni analoghe.
In tutte le professioni ci sono persone valide ed altre meno, ma almeno una CHIARA formazione specifica data da una LAUREA e da successivi iter indispensabili e necessari alla tutela degli utenti ci deve essere. A parer mio siamo in un’era di confusione : Corsi triennali conferiscono lo stesso titolo di Dottore che un tempo era consentito solo a chi lo aveva conseguito dopo un minimo di quattro o cinque o più anni di Università e non c’erano dubbi sull’iter formativo di chi quel titolo portava. Il valore di un professionista deve essere comunque ufficializzato da un Corso di Laurea e da una successiva formazione che non necessiti di chiarimenti, che non crei sovrapposizioni; non importa se un Infermiere, per es., saprebbe essere più empatico di uno Psicoterapeuta. Sarebbe un ottimo infermiere che sa entrare in un rapporto umano e sensibile con i pazienti, ma la cui attività non potrà comunque sostituire una psicoterapia. Queste attività (come il counselor e altre) …facsimile…. sono state create per dare maggiori possibilità lavorative ai giovani, ma non hanno tenuto conto della confusione che hanno creato e dei rischi per la tutela della salute psicofisica di chi ha bisogno di aiuto.
Sono una psicoterapeuta di formazione psicoanalitica e ho chiesto ad una counselor (ragazza seria e preparata) delucidazioni sulla sua professione: “la persona viene da me con un problema e io l’aiuto a risolverlo, solo quel problema, non mi occupo d’altro. E’ chiaro che se insorgono altri problemi, se ne parla….” MAH!!! Quanta confusione!!!!!
Non riporto poi quello che è emerso da unseminario di Coaching cui ho assistito….
Ciò che dice Cristiano Calvaresi non fa una piega. Mi è capitato, e mi capita spesso di vergognarmi di alcuni colleghi. Certo che sono, per la maggior parte, psicologi a formare counselor!!! Lo sappiamo benissimo di avere “le serpi in seno” ma come si fa?? L’ultima del tavolo che l’Ordine Nazionale ha messo su con questa gente……mi ha inorridito. Se non avessi ricevuto la mail informativa di Piccinini non ne avrei saputo nulla.
Io non mi siedo al tavolo con figure che non riconosco…..per fare cosa? Legittimarli? Ma andiamo,!!!
Mi dispiace, ma non posso riconoscere figure che si sono fatte spazio in modo così viscido, sgattaiolando nei vicoli bui accompagnati da un manipolo di “psicologi spalloni” alla faccia delle persone oneste che hanno studiato per anni.
Certo, ci è toccato pagare anche le spese dell’allegria compagnia psicologi/counselor/per la maggior parte amici dei counselor…..salvo toglierci l’abbonamento EBSCO senza avvertire!!! Perché costava troppo!!! Questa è la risposta con cui se ne sono usciti, sia a Roma che a Firenze. Era l’unico beneficio al quale legavo il pagamento della quota annuale!!
Ma di che stiamo parlando???
La vera battaglia per gli Psicologi non è certo quella verso i counsellor e le professioni di aiuto e sostegno alla persona, come vorreste farci credere…o forse vi fa comodo crederlo per voi stessi, per non affrontare il vero drago ( e perdere) :l’unica vera battaglia e’ quella contro chi ogni 3×2 afferma che le scuole di specializzazione per psicoterapeuti e la Psicologia Clinica dovrebbe essere settore esclusivo dei Medici.E che sta via via togliendo gli Psicologi dalla Pubblica Sanità . Così la Psicologia spasimo da sempre per accreditarsi il beneplacito della classe medica, che è ad oggi la maggiore responsabile della mancanza di lavoro degli Psicologi, perché i medici hanno sempre mantenuto una posizione top down nei confronti degli Psicologi e difficilmente li promuovono ai loro pazienti, semplicemente li inviano ad altri medici o prescrivono loro un farmaco . Tant’è che oggi gli Psicologi dove si promuovono e con chi creano alleanze? Coi farmacisti. Quando mi iscrissi io alla facoltà di Psicologia, ci fornivano i bollettini informativi delle varie facoltà e già nel 1992 era sottolineato in grassetto che gli Psicologi erano troppi. Mi consigliarono di iscrivermi a Medicina, affermando che poi potevo comunque fare la Psicoterapeuta e che avrei avuto molta più credibilità nella società. E il più fervido sostenitore di questa tesi era proprio il mio farmacista di fiducia. Il problema relativo al futuro degli Psicologi è fortemente legato al futuro della Medicina, che presumibilmente assorbira’ in sé tutto l’ambito mente – corpo, giacché sappiamo che non vi è tra mente e corpo alcuna distinzione reale. Allora quel che rimarrà della Psicologia sarà in buona parte sovrapponibile con altre discipline e dipartimenti legati alla dimensione umanistica e sociale, alle risorse umane e al marketing, ovvero competenze aspecifiche di innumerevoli professionisti anche non psicologi e che lavorano in modo interdisciplinare e in equipe, dimostrando che la collaborazione è non solo possibile ma inevitabile e fonte di sopravvivenza.